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Università di Sassari

Dipartimento di Architettura, Design, Urbanistica di Alghero Email: [email protected]

Abstract

Si propongono nel paper alcune considerazioni a sostegno dell’esigenza di ripensare il ruolo del progetto urbano come strumento di promozione del protagonismo degli abitanti e si illustra in che termini e sotto quali condizioni l’approccio dell’Urbanismo Tattico può contribuire alla definizione di una risposta “praticabile” a questa esigenza. L’Urbanismo Tattico è un approccio alla rigenerazione urbana dei quartieri che si basa su azioni e trasformazioni a breve termine, a basso costo e agilmente replicabili e scalabili, intenzionalmente ideate e sviluppate al fine di istigare un cambiamento a lungo termine attraverso un processo di interazione con il sistema sancito di pianificazione e governo della città.

Questo approccio riconosce il legame tra partecipazione, conflitto e processi di empowerment e si rivela, dunque, particolarmente utile nei processi di trasformazione degli spazi della quotidianità orientati a promuovere la qualità della vita urbana dei gruppi di abitanti più svantaggiati. Nella parte conclusiva del paper, grazie al racconto di due esperienze che si concentrano sulla promozione della qualità della vita urbana di bambine e bambini, si cercherà di illustrare come.

Parole chiave: Neighborhood, Inclusive Processes, Participation.

1 |Urbanismo Tattico come processo e strumento abilitante

Nel testo «Tactical Urbanism. Short-term Actions for Long-Term Change», Mike Lydon e Antony Garcia introducono l’approccio dell’Urbanismo Tattico a partire da un insieme di interessanti, talvolta contro- intuitive considerazioni.

Gli autori si concentrano su tre aspetti principali.

Il primo fa riferimento alla necessità di riconoscere la disfunzionalità delle norme, delle procedure e degli strumenti convenzionali della pianificazione urbana. Nello specifico, a partire dalla constatazione che una parte preponderante delle previsioni dei Piani non trova attuazione nell’arco di tempo del loro “funzionamento”1, Lydon e Garcia richiamano la necessità di dotarsi di strumenti per intervenire

rapidamente e agilmente per risolvere problematiche di tipo spaziale emergenti da affiancare agli strumenti della pianificazione urbanistica e della progettazione a lungo termine.

Il secondo aspetto fa riferimento alla limitatezza della tradizionale cassetta degli attrezzi dell’urbanista, con particolare riferimento agli strumenti necessari per garantire e promuovere un coinvolgimento reale degli abitanti nei processi di trasformazione e gestione della città.

Il terzo e ultimo aspetto richiama l’inadeguatezza, l’inefficienza e l’insostenibilità degli onerosi, sia in termini di costi e che in termini di tempi di realizzazione, mega-progetti (le cosiddette “grandi opere”) e degli scenari di trasformazione a lungo termine dei Piani come unici strumenti e fattori di sviluppo (sviluppo, non crescita) della città.

Parallelamente, gli autori sostengono con forza l’opportunità di riconoscere il ruolo imprescindibile dei micro-progetti a basso costo e a breve termine come strumenti per garantire e promuovere la qualità, l’accessibilità e l’usabilità della città quotidiana e di prossimità: la città che gli abitanti conoscono, praticano, curano e (in qualche caso) rivendicano.

La definizione di Urbanismo Tattico – una definizione aperta e operativa – viene dunque costruita a partire da un’attenta rilettura di un insieme diversificato di pratiche collettive orientate a produrre trasformazioni urbane condivise, a breve termine, a basso costo e ad elevato potenziale di replicabilità. La rilettura si focalizza in particolare sui processi, e non solo sugli esiti, perché è intenzionalmente finalizzata a svelare la reale ed effettiva capacità di queste pratiche di produrre non solo trasformazioni spaziali ma

1 Gli autori affermano che le previsioni dei Piani non attuate siano pari a circa l’80% del totale. Il dato fa riferimento al contesto

statunitense. Sarebbe estremamente interessante e utile conoscere il dato per il contesto italiano, ma è ragionevole comunque ipotizzare che non si discosti troppo da quanto riportato da Lydon e Garcia.

anche e soprattutto interferenze, intrusioni e forzature, minime ma significative, nel campo delle norme, delle procedure e degli strumenti convenzionali della pianificazione urbana.

Possono essere chiamate “tattiche”, pertanto, tutte quelle azioni e trasformazioni low-cost e low-tech, che si originano dal basso, che possono essere rapidamente e facilmente replicate e scalate, e che sono intenzionalmente ideate e sviluppate al fine di istigare un cambiamento a lungo termine attraverso un processo di interazione con il sistema sancito di pianificazione e governo della città.

L’interazione di queste azioni e trasformazioni con il sistema sancito di pianificazione e governo della città è elemento imprescindibile affinché esse possano essere definite “tattiche” e può ovviamente essere, a seconda dei casi e dei contesti, prevalentemente antagonista o prevalentemente collaborativa.

Questa definizione ha inevitabilmente molto a che fare con le considerazioni a sostegno dell’esigenza di ripensare il ruolo del progetto come strumento di promozione del protagonismo degli abitanti, a partire da quelli più svantaggiati: i bambini, gli anziani, le donne, le persone con disabilità.

L’Urbanismo Tattico può infatti essere considerato una risposta “praticabile” a questa esigenza. Certamente non l’unica risposta e non una risposta sufficiente. Ma, forse, una risposta necessaria, soprattutto se l’obiettivo che ci si pone è quello di trasformare in senso inclusivo una città i cui tempi ed i cui spazi sono attualmente disegnati, organizzati e governati principalmente in funzione delle esigenze di un idealtipo di abitante (adulto, maschio, sano, ricco, istruito e automunito), tanto dominante quanto poco rappresentativo.

Nel suo interessante contributo «Removing Unfreedoms. Citizen as Agent of Change in Urban Development», pubblicato nel 2005, Jane Samuels pone una questione assai rilevante ai fini della riflessione qui proposta: «There is a distinction between a search for ways to improve the lives of citizens, and the search for ways that enable citizens to live the life that they value and that remove the obstructions that look down on and coerce people to live a life that others value».

Se si considera la distinzione che Samuels propone tra la ricerca di soluzioni per migliorare la vita degli abitanti e la ricerca di percorsi che “abilitino” gli abitanti stessi a vivere la vita cui attribuiscono valore come sostanziale, allora è indispensabile ripensare il progetto urbano come strumento di promozione del protagonismo degli abitanti – soprattutto di quelli più svantaggiati, meno “capaci” (à la Sen) di usare la città per accrescere il proprio benessere – come esito e al contempo mezzo dei processi di trasformazione urbana.

L’Urbanismo diventa tattico quando è in grado, come afferma Lydon (2015), di operare attraverso “un salutare equilibrio tra il pianificare e il fare”. Quando, cioè, oltre a pianificare la città attraverso politiche, piani e progetti a grande scala e a lungo termine, è in grado di garantire e favorire la reale possibilità per gli abitanti di (ri)fare la città - micro-trasformando, co-gestendo e prendendosi cura degli spazi e dei servizi collocati sotto casa, a scala di quartiere - e così contribuire consapevolmente e responsabilmente alla costruzione di scenari di sviluppo condivisi.

Precisamente in questo senso l’Urbanismo Tattico può essere interpretato come un processo e uno strumento abilitante.

Un processo e uno strumento di cui gli urbanisti possono avvalersi per rendere più creativi, inclusivi e intelligenti i progetti urbani, in particolare quelli alla scala di quartiere, e per innovare non solo la loro tradizionale cassetta degli attrezzi, ma anche le procedure, gli strumenti e – nei casi di maggior successo2

i dispositivi normativi che governano i processi di trasformazione della città.

Ma anche e soprattutto un processo e uno strumento che gli abitanti possono effettivamente (non solo in teoria) utilizzare per riappropriarsi della città, conoscerne limiti e possibilità d’uso, immaginare le trasformazioni possibili e poterle quindi rivendicare.

Queste considerazioni valgono a maggior ragione per gli abitanti più svantaggiati di cui si è detto, che è estremamente difficile (forse impossibile?) intercettare e coinvolgere realmente attraverso le tecniche, i modi e i tempi della “partecipazione progettata” (Calvaresi, Cognetti, 2010; Paba et al. 2009) e che possono, invece, diventare promotori e protagonisti del ripensamento degli spazi della loro città

2 Un esempio di grande interesse in questo senso è il processo, che si potrebbe definire tattico, che a partire da un’azione

dichiaratamente conflittuale nei confronti delle istituzioni (l’occupazione di un immobile) ha portato all’approvazione da parte del Comune di Napoli, il 29 dicembre 2015, di una delibera che ha recepito la “Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano” dell’ex Asilo Filangieri che estende la categoria di “bene comune” anche agli spazi utilizzati da una collettività precisamente in virtù di questo loro uso collettivo.

quotidiana e di prossimità partecipando alla costruzione e alla realizzazione di azioni e trasformazioni tattiche3 e sperimentando così il legame tra partecipazione, conflitto e processi di empowerment.

La progettazione partecipata viene comunemente considerata come un processo finalizzato a facilitare la risoluzione o il sopimento dei conflitti, espliciti o latenti. Ne deriva un’interpretazione del conflitto esclusivamente come problema e non anche e soprattutto come esito, oltre che risorsa, della partecipazione. Condividere consapevolmente e responsabilmente la finalità tattica delle azioni e delle trasformazioni urbane - ovvero condividere la scelta di operare non solo per vedere riconosciuti qui e ora i propri diritti urbani negati ma anche per innescare e alimentare un percorso a lungo termine finalizzato al raggiungimento di una sempre più ampia ed estesa giustizia spaziale - consente infatti agli abitanti di auto- promuoversi come attori capaci di presidiare il cambiamento, quando necessario e utile anche attraverso azioni conflittuali.

2 |Urbanismo Tattico, bambini e conflitto4

La città contemporanea non è una città a misura di bambino e non è in grado, dunque, di garantire ad una parte importante dei suoi abitanti la possibilità di esercitare pienamente il proprio fondamentale diritto alla città. I bambini infatti sono stati progressivamente “relegati” in spazi dedicati, iper-progettati e iper- attrezzati per poter efficientemente indirizzare e controllare (e conseguentemente omologare) le loro attività e progressivamente espulsi dagli spazi pubblici e dalle strade della città e privati così della possibilità di muoversi e giocare autonomamente e liberamente, anche all’interno del proprio ambiente locale, del proprio quartiere.

Partendo dalla considerazione che è soprattutto attraverso l’interazione con la loro «città quotidiana e di prossimità» (Cecchini e Talu, 2012) che i bambini possono (potrebbero) trovare opportunità reali di promozione della propria qualità della vita urbana, si può affermare che muoversi e giocare liberamente e autonomamente all’interno del proprio ambiente locale è per i bambini un “funzionamento urbano” fondamentale (Talu, 2013, 2014; Blečić, Cecchini, Talu, in stampa).

Alla luce di queste considerazioni, è indispensabile e urgente domandarsi che fare per promuovere realmente la qualità della vita urbana delle bambine e dei bambini. Che fare, cioè, per far sì che la città funzioni per le bambine e i bambini (e non solo) come un “ambiente educativo”, come suggerito da Colin Ward: come un’occasione e uno strumento attraverso cui apprendere non solo come usare gli spazi pubblici e le strade, ma anche e soprattutto attraverso cui apprendere come contribuire a cambiarli5.

In un suo contributo del 2003 intitolato «Progettazione, bambini e conflitto», Mauro Giusti affronta il tema del coinvolgimento delle bambine e dei bambini nei processi di trasformazione urbana, soffermandosi in particolare sul rapporto tra forme di partecipazione e conflitto6. Particolarmente

interessante è la tesi che Giusti sostiene: il conflitto non deve essere letto e interpretato solo come “problema”, “strumento”, “risorsa”, “condizione”, “prodotto necessario” per la partecipazione, ma anche, forse soprattutto, come un suo “risultato possibile”. In quanto “risultato”, il conflitto, dunque, non deve solo essere previsto, ma in qualche modo ricercato: «La costruzione di attori locali, il loro empowerment, è uno degli effetti - laterali ma cospicui - degli approcci partecipati alla pianificazione del territorio. Ciò significa anche la produzione di attori locali capaci di costituire presidio della realizzazione, della gestione, della verifica dei progetti partecipati» (Giusti, 2003)7.

L’approccio dell’Urbanismo Tattico inteso come processo e strumento di promozione della qualità, dell’usabilità e dell’accessibilità della città e al contempo come dispositivo di innesco di processi di innovazione reale delle norme, delle procedure e degli strumenti convenzionali della pianificazione urbana,

3 Particolarmente interessanti sono le esperienze tattiche di trasformazione degli spazi pubblici e delle strade che utilizzano lo

strumento del cantiere di auto-costruzione: un’occasione di ibridazione tra il sapere e il saper fare dei progettisti e il sapere e il saper fare degli abitanti e, dunque, uno strumento che consente agli abitanti di “partecipare facendo” ed essere e sentirsi davvero coinvolti e ai progettisti di “progettare facendo” senza rinunciare alla qualità formale, ma dosandola sapientemente in funzione delle reali capacità del contesto fisico e sociale di accoglierla e comprenderla (si veda Bazzu, Talu 2016).

4 Il titolo richiama intenzionalmente il contributo di Mauro Giusti «Progettazione, bambini e conflitto» (2003).

5 Scrive Ward (1979): «The city is in itself an environmental education, and can be used to provide one, whether we are thinking

of learning through the city, learning about the city, learning to use the city, to control the city or to change the city».

6 L’articolo si concentra, in particolare, sul tema del coinvolgimento delle bambine e dei bambini ma le riflessioni in merito al

rapporto, spesso problematico, tra partecipazione e conflitto sono da considerarsi di carattere generale.

7E ancora: «[…] il conflitto risulta pertinente, ancora, come tradizionale modalità di coinvolgimento di attori deboli, marginali (da

questo punto di vista i bambini sono assimilabili, sebbene con modalità peculiari, ad altre ategorie tradizionalmente considerate deboli: anziani, malati, portatori di handicap, stranieri, nomadi, donne, poveri, culture antagoniste, e così via) che continuano a non avere speranze di accesso diretto attraverso i canali tradizionali della rappresentanza» (Giusti, 2003).

quando necessario anche attraverso azioni conflittuali di disturbo costruttivo, pare essere una prospettiva interessante.

Solo allo scopo di illustrare alcune potenzialità e criticità di questo approccio, si descrivono brevemente due esperienze di coinvolgimento reale degli abitanti, a partire dalle bambine e dai bambini, ideate e realizzate da Tamalacà, spin-off sostenuta dall’Università di Sassari e start-up innovativa8.

2.1 | FLPP - contro-occupazione di un micro-spazio invaso dalle automobili

Il progetto FLPP – Fronte di Liberazione dei Pizzinni Pizzoni è un progetto/processo, nato nel 2012 e attualmente in corso, finalizzato al riconoscimento e alla rivendicazione del diritto al gioco libero e autonomo dei bambini, spesso negato o fortemente compromesso.

Il progetto interessa il rione di San Donato, una vera e propria periferia centrale della città di Sassari. Pur essendo collocato centralmente, infatti, San Donato è caratterizzato da problematiche socio-spaziali tipiche dei quartieri periferici: scarsa qualità urbana (assenza di adeguati sotto-servizi e degrado degli spazi pubblici), degrado edilizio (presenza di numerosi ruderi e edifici fatiscenti), occupazione delle strade e degli spazi pubblici minori da parte delle automobili in sosta, scarsa illuminazione, sovraffolamento delle abitazioni, marginalità sociale.

La scuola è l’unico punto di riferimento riconosciuto dagli abitanti del quartiere e svolge, pertanto, anche un ruolo di presidio territoriale e di promozione e sostegno di attività orientate alla promozione della qualità della vita urbana degli abitanti del quartiere, a partire dalle bambine e dai bambini.

L’intervento qui descritto è uno degli esiti spaziali del progetto e consiste nella liberazione e nella trasformazione di una piccola porzione della piazza antistante la scuola primaria occupata dalle automobili in sosta (e dunque sottratta all’uso collettivo) in un micro-spazio pubblico di prossimità.

Il progetto contro-occupa uno spazio precedentemente adibito a parcheggio, delle dimensioni di circa 6 metri di larghezza per 3 metri di profondità, sul fronte di un vecchio rudere9. È stato costruito un piccolo

spazio protetto, delimitato, sia lateralmente che in altezza, per mezzo di una struttura in legno, e “arredato” internamente con delle sedute, costruite combinando un elemento base ricavato dal taglio degli assi utilizzati nei ponteggi.

L’intervento è da ritenersi interessante soprattutto in riferimento al processo di realizzazione. La costruzione - assemblaggio a secco di elementi lignei - è avvenuta in soli tre giorni ed ha coinvolto, tra gli altri, alcuni artigiani del quartiere, con l'intento di stabilire un legame tra la popolazione locale e la trasformazione dello spazio di loro appartenenza.

L’intervento si configura al contempo come un’azione di denuncia e rivendicazione (denuncia del problema della sottrazione di spazio pubblico da parte delle automobili in sosta e denuncia del problema, percepito dagli abitanti come particolarmente grave, del diffuso degrado determinato in particolare dalla presenza dei ruderi) e come una proposta tattica di soluzioni a brevissimo termine e a basso costo per la realizzazione di piccoli spazi pubblici giocabili di prossimità.

8 www.tamalaca.com.

Figura 1 |Contro-occupazione di un micro-spazio invaso dalle automobili in sosta nel rione storico di San Donato, Sassari. Fonte: immagine dell’autrice.

2.2 | Dispersione Zero

Il progetto Dispersione Zero è stato attivato nel 2015 grazie ad un finanziamento nell’ambito di un bando per il contrasto alla dispersione scolastica promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Il progetto ha coinvolto in un percorso laboratoriale un gruppo di circa 20 alunni di età compresa tra 11 e 13 anni a rischio di abbandono scolastico dell’Istituto Comprensivo del quartiere periferico di Monte Rosello, a Sassari.

L’attività ha portato alla trasformazione di un ampio marciapiede sotto-utilizzato, uno spazio di passaggio inospitale collocato lungo il percorso che da una delle strade principali del quartiere conduce alla strada secondaria su cui si affaccia l’ingresso principale della scuola.

Nell’ambito del progetto sono state acquistate le attrezzature necessarie per allestire in alcuni locali non utilizzati della scuola una piccola falegnameria sociale di quartiere, da tempo fortemente voluta dalla scuola e dal quartiere ma mai realizzata, in particolare per vincoli di ordine burocratico. Vincoli che nell’ambito del progetto sono stati “forzati”, ricorrendo alla formula dell’allestimento temporaneo e attivando, a valere sui fondi del progetto, una copertura assicurativa per tutti i partecipanti ai laboratori, limitatamente al periodo di svolgimento delle attività.

I ragazzi, affiancati da numerosi abitanti del quartiere (non solo genitori) e guidati dal collettivo Tamalacà hanno dunque non solo ideato ma anche realizzato materialmente l’intervento di trasformazione spaziale. Grazie all’allestimento della piccola falegnameria, sono stati costruiti gli elementi di arredo urbano che durante un cantiere di auto-costruzione della durata di due giorni sono stati colorati e collocati nello spazio.

Lo spazio è stato rigenerato grazie all’uso del colore come elemento di trasformazione, anche simbolica, e riorganizzazione spaziale: un sistema di fasce colorate accoglie alcune strutture in legno che suggeriscono nuovi usi individuali e collettivi, come la sosta, il gioco, la lettura.

Grazie all’intervento di trasformazione, uno spazio di passaggio grigio e anonimo è diventato un luogo riconoscibile, accogliente e aperto ad una molteplicità di usi, anche non previsti.

L’intero processo è particolarmente interessante se riletto alla luce dell’approccio dell’Urbanismo Tattico per vari motivi. Innanzitutto, l’intuizione di attingere ad inediti canali di finanziamento (in questo caso, un bando ministeriale per azioni di contrasto alla dispersione scolastica) per promuovere micro- trasformazioni spaziali. Per la scelta, inoltre, di allestire all’interno dei locali della scuola un laboratorio anomalo (la falegnameria), con l’intento di mostrarne le potenzialità anche come servizio di quartiere e così innescare un dibattito pubblico attorno alle possibilità di ripensare il ruolo e le funzioni di alcuni spazi speciali della scuola (locali inutilizzati, biblioteca, palestra, cortile) come spazi aperti alla città. Infine, per la scelta di rendere visibili le potenzialità di riattivazione di piccoli spazi dimenticati come spazi pubblici di prossimità attraverso interventi a breve termine e basso costo.

Figura 2 |Trasformazione a basso costo di uno spazio residuale del quartiere periferico di Monte Rosello, Sassari. Fonte: immagine dell’autrice.

Riferimenti bibliografici

Blečić I., Cecchini A., Talu V., in stampa, “Approccio delle capacità e pianificazione urbana. Capacità urbane feconde e qualità della vita urbana degli abitanti più svantaggiati”, in Archivio di Studi Urbani e Regionali.

Calvaresi C., Cognetti F. (2010), “Progettare nell’interazione con gli attori”, Atti della XII Conferenza SIU Città e crisi globale. Clima, sviluppo e convivenza, (Roma, 2010).

Cecchini A., Talu V. (2012), “Misurare e valutare”, in Inforum. Informazioni sulla riqualificazione urbana e

territoriale, 40/41: 65-71.

Giusti M. (2003), “Progettazione, bambini e conflitto”, in Paba G., Perrone C. (a cura di), Cittadinanza

attiva. Il coinvolgimento degli abitanti nella costruzione della città, Alinea, Firenze.

Lydon M., Garcia T. (2015), Tactical Urbanism. Short-term Actions for Long-term Change, Island Press.

Paba G., Pecoriello A. L., Perrone C., Rispoli F. (2009), Partecipazione in Toscana. Interpretazioni e racconti, Firenze University Press.

Samuels J. (eds., 2005), Removing unfreedoms: citizens as agent of change in urban development, ITDG Publishing. Talu V. (2014), Qualità della vita urbana e approccio delle capacità. Perché e come promuovere le capacità

urbane degli abitanti più svantaggiati, FrancoAngeli, Milano.

Talu V. (2013), “Qualità della vita urbana e approccio delle capacità”, in Archivio di Studi Urbani e Regionali, vol. 107: 52-73.