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IUAV

Dipartimento di progettazione e pianificazione in ambienti complessi Email: [email protected]

Abstract

Il testo prova ad interrogarsi sul rapporto tra autonomia delle comunità urbane e condizioni di illibertà delle popolazioni marginali. Prendendo come campo di indagine la città di Napoli nell’ambito degli ultimi 6 anni di governo locale, si darà resoconto di un lavoro di campo svolto al Rione Traiano (attualmente uno dei quartieri più difficili della città) tra l’ottobre 2015 e il luglio 2016. I dati raccolti invitano ad una più approfondita riflessione sul rapporto tra soglie di funzionamenti ed agentività delle persone.

Parole chiave: subaltern, public, democracy.

Le libertà della cittadinanza urbana

Dire oggi che le comunità e gli enti territoriali sono centrali nel promuovere il dibattito sulla democrazia è un affermazione che non stupisce nessuno. Per discuterla si possono prendere due strade. La prima di queste esprime sentimenti di 'sfiaccore' nei confronti delle rappresentanze novecentesche tradizionali e promuove l’intraprendenza delle competenze autonome locali che spingono percorsi di uscita dalla sudditanza intellettuale, sociale ed economica dentro cui sembra essere finita la vita politica. La seconda strada, invece, parla di quelle libertà che sono strumentali alla- e costitutive della- partecipazione democratica e che sono ampliate attraverso il lavoro sul territorio delle politiche pubbliche. Il dibattito tra queste due argomentazioni, possiamo dire con buona approssimazione, si svolge sul terreno della contesa tra comunitarismo libertario e nuovo liberalismo1. Proveremo a discutere se vi sia leicità nella sovrapposizione

di queste due strade adoperando la città di Napoli come campo d’indagine. Come forse noto, gli ultimi sei anni di governo cittadino sono stati segnati da una svolta partecipazionista e collaborativa promossa attraverso la politica di liberazione del bene comune. Si proverà a mostrare come, nonostante i meriti indiscutibili che vanno riconosciuti a questa apertura democratica in termini di aumento della capacità sociale generalizzata di prendere parte al discorso politico urbano, quest’ordine di policies non sta intervenendo sulle condizioni di illibertà delle popolazioni marginali ma piuttosto tende a rinsaldare le dinamiche e le relazioni di esclusione. La spiegazione che si ritiene di poter dare insiste sul fatto che a fronte di un grande lavoro di promozione delle libertà strumentali all’autonomia delle comunità locali (materialmente: l’infrastruttura della partecipazione – ossia le occasioni e gli strumenti che permettono l’interazione), si è investito troppo poco per l’ampliamento di quelle libertà costitutive all’accesso alla partecipazione democratica (nel sistema di garanzia e protezione sociale). In sostanza, quello che si sosterrà è che la compresenza (più che la sovrapposizione) delle due strade è non solo possibile ma assolutamente necessaria a garantire l’effettiva libertà partecipativa.

1Per quanto concerne il comunitarismo libertario, faccio affidamento alle tesi di Bookchin (2015; 2016) – riprese parzialmente da

Harvey (2012) anche se con uno stampo marxianamente improntato. Con nuovo liberalismo mi riferisco alle tesi sostenute da Sen (2000; 2010a; 2010b).

A Napoli2

La città di Napoli, per mezzo della voce del sindaco De Magistris innanzi tutto, si fa portavoce di un’altra maniera di fare politica pubblica sui territori. Ancora qualche giorno fa, in sede di audizione presso la

Commissione d’inchiesta parlamentare sulle periferie (maggio 2017), il primo cittadino ha ribadito che

l’interpretazione che l’ente comunale farà delle Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città (Decreto Minniti) sarà tutta in favore della ricerca di soluzioni collaborative tra istituzioni e cittadini. La storia di questo racconto napoletano va avanti già da qualche anno e, forse, ha inizio, nelle intenzioni dell’amministrazione, sin da subito dopo la prima vittoria elettorale (maggio 2011). Del settembre del 2011, infatti, è la delibera n.24 che introdusse la categoria di bene comune nella sezione «finalità e valori fondamentali» dello Statuto della città. Successivamente alla redazione di quest’atto monocefalico, è stata l’occupazione dell’ex Asilo Filangieri (marzo 2012) e la successiva apertura del Laboratorio Napoli per una

costituente dei beni comuni (aprile 2012) a dare effettivamente avvio al processo di «rivoluzione». All’interno di

questo spazio di partecipazione, il dialogo di riconciliazione tra l’amministrazione (proprietaria dell’immobile) e la comunità di occupanti dell’Asilo fu dirottato verso l’articolazione di un ragionamento più ampio sul modo di praticare le possibilità offerte dall’adozione della categoria di bene comune nelle politiche di gestione del patrimonio comunale. I lavori del Laboratorio Napoli hanno portato alla redazione della delibera n. 17/2013 con cui si è istituito il Regolamento per il governo dei beni comuni nella città di Napoli. I punti di questo documento battono sulle due assunzioni cardine della Commissione Rodotà: sulle utilità funzionali di questi beni all’esercizio dei diritti fondamentali ed al libero sviluppo della persona e sulla terzietà della categoria rispetto a quelle di pubblico e privato. Tuttavia il linguaggio del testo ripropone chiaramente l’andamento del dialogo svolto in sede di discussione partecipata perché si fertilizza di considerazioni e terminologie inusuali per una delibera comunale. Attorno ai beni comuni, si legge, «si propone la questione della democrazia ed emerge con evidenza che la loro caratteristica è quella della condivisione e della gestione partecipata» esterna alla «sequela di rigide scelte dicotomiche (pubblico/privato, organizzazione/anarchia)» e «nella ricerca di soluzioni ottimali su un continuum di infinite combinazioni di cui lo Stato ed il mercato non rappresentano che gli estremi». Ancora in un altro punto, è scritto che l’impegno dell’amministrazione sarà volto ad affrontare il problema di come un gruppo di soggetti interdipendenti possa «auto-organizzarsi ed auto-governarsi al fine di ottenere benefici collettivi superando la tentazione di agire in modo opportunistico» (p.2). Dopo la delibera n.17, la «ribellione» napoletana è proseguita con la «liberazione» di alcuni altri spazi abbandonati della città (Villa Medusa – 2013, Lido Pola -2013, Santa Fede Liberata - 2014, Scugnizzo Liberato 2015, ex OPG Jeso’pazz – 2015, ecc.) ed, in fine, con l’approvazione della Delibera n.446 (giugno 2016) che dà ad ognuno di questi luoghi riconoscimento pubblico per la loro rilevanza civica ed li istituisce come beni comuni. Senza andare oltre, diciamo che la cronistoria di queste vicende ci lascia suppore che la «ribellione» napoletana sia stata governata da buone capacità di visioning e di mediazione e da attente competenze giuridiche ed amministrative messe in campo dagli organi del governo locale ma che sia stata anche consentita da una vasta ed esplicita domanda di partecipazione e di spazio pubblico (non solo fisico) e da competenze politiche e culturali diffuse tra la cittadinanza. Come è facile riscontrare3, «libertà»,

«autonomia», «comunità», «auto-organizzazione», «condivisione» (oltre che democrazia e/[è] partecipazione) sono le parole che stanno componendo il racconto della nuovamente nuova Napoli. Già così non sembrerebbe inopportuno pensare che lo sfondo retorico di questa operazione abbia qualche familiarità con il linguaggio ed il pensiero politico del municipalismo libertario alla Bookchin; ad ogni modo, a conferma di questa ipotesi c’è il testo della proposta di legge NA-Napoli presentata alle camere nel maggio del 2016. Qui, si fa esplicito riferimento alla candidatura di Napoli a promotrice di un «modello alternativo al centralismo autoritario» da diffondersi tra le città del basso Mediterraneo. A questo scopo, si fa richiesta di «autonomia istituzionale, amministrativa, organizzativa e finanziaria», per poter realizzare l’innovazione politica cui la città già tende. La promozione della «democrazia di prossimità» e «dell’autodeterminazione dal basso» sono gli obiettivi che vengono perseguiti perché «solo attraverso una piena e reale partecipazione popolare alla

2Nel proseguo, per fare riferimento a termini ed espressioni comunemente utilizzati da De Magistris e dalle Comunità dei beni

comuni napoletani si utilizzeranno le virgolette caporali. È facile ritrovare queste parole in molte interviste rilasciate dal Sindaco e sui siti delle strutture liberate. Ad ogni modo si rimanda a (De Magistris, 2017) ed a

https://lidopola.wordpress.com/informazioni/, http://www.exasilofilangieri.it/autogoverno-dellasilo/,

http://jesopazzo.org/index.php/chi-siamo. Questi termini sono utilizzati o diversamente declinati anche nelle delibere n.17/2013 e 446/2016.

vita collettiva è possibile costruire un modello di autogoverno…un modello politico ed economico più vicino alle comunità locali»4.

Sempre a Napoli5

Sempre a Napoli successe, che nel settembre del 2014, un carabiniere ammazzò un minore al Rione Traiano. Il ragazzo si chiamava Davide Bifolco, era incensurato ed abitava in uno dei 900 scantinati occupati (su 5000 alloggi) del quartiere.6 Venne ucciso perché si trovava, con altri due, su un motorino che non si fermò ad

un posto di blocco. Come scrive Emilio Gardini, aldilà dei giudizi morali e delle fissità culturali con cui si vorrebbe spiegare cosa e perché è successo, rimane il fatto che «la vicenda di Davide è totalmente calata all’interno del suo spazio di vita» (Ghedini, 2015: p. 108) e proprio in questo spazio di marginalità, edificato dalle assenze nuove e storiche del sistema di garanzia e di protezione sociale, che si inserisce il tentativo di rottura epistemologica compiuto dai militanti politici che si introdussero in questa vicenda. Nei giorni dopo l’accaduto, la rabbia degli abitanti del Rione, inizialmente riversata in scontri violenti con le forze dell’ordine ed in atti di vandalismo ai danni dei mezzi pubblici, venne cooptata da alcuni collettivi napoletani (quello della Mensa popolare occupata, dello Zero81, di Villa Medusa e del Comitato Soccavo) che ebbero capacità di darle la forma politica di una rivendicazione di diritti. Il problema che nasceva in quei giorni era quello che si costituisse un fronte di scontro tra sistemi di rappresentazione della vicenda che coinvolgevano a diverso titolo cinquanta anni di storia del quartiere. Su di un versante “lo Stato che non c’ha dato mai niente e che c’ha tolto pure un figlio” mentre sull’altro “quella massa di criminali che vive nel Rione Traiano”.

L’azione dei militanti è andata avanti su due strade parallele: seguire il processo ai danni del carabiniere ed adottare delle pratiche di coinvolgimento diretto delle persone per lavorare sulle dinamiche di (auto)esclusione e sul progressivo avanzamento delle capacità di formulazione delle domande sociali. Se possiamo dire che la prima linea d’azione adottata dai militanti abbia da subito e sempre riscosso grande partecipazione (attraverso la presenza alle manifestazioni) non abbiamo modo di dire altrettanto per quanto riguarda la seconda. Il 23 novembre 2014, a distanza di due mesi e mezzo dal fatto, nacque pubblicamente l’Associazione Davide Bifolco ONLUS. La scelta dello strumento associativo venne da parte degli attivisti e aveva il senso di promuovere un maggiore riconoscimento sociale delle persone e delle istanze sul piatto della discussione e di inquadrare queste rivendicazioni all’interno di un percorso di legalità e di attivazione della collettività. Nell’ottobre del 2015, il Comune, a seguito di una richiesta informale e di un’occupazione simbolica durata un giorno, concesse all’Associazione, per il tempo di un anno ed al fine di svolgere attività sociali, l’utilizzo di alcune aule di una scuola parzialmente abbandonata sita al Rione. Ad oggi, a concessione scaduta, l’Associazione risulta occupare abusivamente quegli spazi. Nel febbraio del 2017, in seguito ad un sit-in di protesta svolto sotto il palazzo del comune, l’amministrazione si è impegnata a trovare una soluzione per assegnare in via definitiva quegli spazi, è comunque esclusa l’istituzione del bene comune.7

Con grandissimo impegno e dedizione dei militanti, l’Associazione porta avanti, dall’ottobre del 2015 e migliorando progressivamente la qualità dell’offerta ricreativa, dei laboratori pomeridiani per i bambini del quartiere che per ragioni varie (principalmente sovraccarico della domanda) non accedono ai servizi dell’educativa territoriale8. Quello che nei fatti sta avvenendo è che le attività coperte dagli attivisti si stanno

andando ad affiancare ai servizi per l’infanzia garantiti dalle strutture competenti sopperendo a carenze strutturali dell’offerta educativa. Del progetto di promozione sociale partecipato e condiviso rimane poco ed ugualmente è per quanto concerne la funzione politica dell’Associazione come coadiuvante di domanda sociale mai formulata e storicamente riversata in funzionalità illegali. Nel novembre del 2016, si chiude definitivamente l’idillio del riscatto democratico dal fondo della provenienza sociale. La famiglia Bifolco occupa l’appartamento di un anziano parente di uno d simpatizzanti dell’Associazione. Lo occupa durante i suoi funerali. Per evitare di perdere i propri ricordi, i parenti del defunto si trovano costretti a fare il trasloco

4Decreto sindacale n. 404/2016: p.1

5Quello che si dirà nel seguito viene fuori da un lavoro di osservazione partecipante svolto tra l’ottobre 2015 e il luglio 2016. 6 Il Rione Traiano è un quartiere di edilizia residenziale pubblica dell’area nord-occidentale di Napoli. Costruito tra gli anni 1950 e

1960 su progetto del Prof. Canino, rientra nel Piano INA Casa. Attualmente, dopo lo smantellamento di Scampia, è considerato tra le centrali di spaccio più grandi d’Europa. Tra gli anni Ottanta e Duemila sono stati occupati, in due tornate e con procedure spesso molto violente, la gran parte degli scantinati. Attualmente, anche sulle case, è noto, ci sia un sistema di mercato e di furto delle locazioni, parzialmente gestito dai gruppi camorristici locali. Per quanto riguarda il numero di scantinati occupati la stima viene dall’Assessorato al diritto alla città, alle politiche urbane, al paesaggio e ai beni comuni.

7Sull’edificio della scuola c’è un progetto di rifunzionalizzazione assegnato con gara d’appalto ad una ditta privata. Questo progetto

si è rivelato, in seconda battuta, inadeguato.

8L’educativa territoriale al Rione Traiano è gestita dalla cooperativa sociale Orsa Maggiore. L’offerta educativa per i bambini di età

con il morto sul letto9. Letteralmente, scendeva la bara e salivano i traslocatori. La persona rimasta a chiudere

la casa dopo l’uscita dei traslocatori fu mandata via sotto la minaccia delle spranghe. The Political society

Cosa dire aldilà 'dei giudizi morali e delle fissità culturali con cui si vorrebbe spiegare cosa e perché è successo'? Partha Chatterjee, membro fondatore dei subaltern studies, ci disse (Chatterjee, 1998), che è necessario distinguere meglio le forme di relazionalità che sono ingaggiate tra le persone e tra le persone e la statualità. La categoria di società civile, con cui siamo soliti descrivere forme differenti della vita associata, non è sufficiente a spiegare tutte le dinamiche politiche attive nella città contemporanea. Secondo il sociologo indiano, il tipo di formazioni associative che ingaggia la società civile si costruisce su supposizioni che hanno basi negli stati di benessere culturale ed economico della classe borghese e nelle strutture fondamentali dei diritti di cittadinanza. In breve, gli assunti- di uguaglianza, di autonomia, di libertà, di fiducia nelle procedure deliberative, di riconoscimento dei membri - su cui si fonda la contrattualità (formale o informale) che garantisce le interazioni della società civile, non sono anteponibili alle- né prescindibili dalle- strutture di garanzia e di protezione associate alla cittadinanza (urbana) moderna.

Seguendo Chatterjee, per rispondere alla domanda che ci siamo posti, dobbiamo quindi introdurre una seconda categoria della relazionalità tra persone e tra persone e Stato. Egli propone di utilizzare quella di «società politica» e dice: ci sono «due tipi di connessioni concettuali. La prima linea connette la società civile allo stato-nazione fondato sulla sovranità popolare e garante dell’uguaglianza nei diritti dei cittadini. L’altra invece connette le popolazioni alle agenzie governamentali che adoperano una moltitudine di politiche di sicurezza e di welfare. (…) In termini di struttura formale dello stato così come ci è data dalla costituzioni e dalle leggi, la società tutta è società civile; ogni cittadino ha eguali diritti rispetto agli altri cittadini e quindi è considerato un membro della società civile. [Qui] il processo politico avviene quando gli organi delle istituzioni statali interagiscono con i membri della società civile attraverso le loro proprie capacità individuali o [e] come membri di associazioni» (Chatterjee, 2004: pp. 37-38). Tuttavia, ci sono popolazioni urbane, i cui membri, hanno accesso solo in minima parte ai diritti di cittadinanza e non prendono parte alla società civile in senso proprio. Questo non significa che non ci sia una qualche tipo di relazione politica tra questi soggetti e tra questi soggetti e le agenzie dello stato, ma uniformare questa relazionalità al tipo che è supposto per la società garantita significherebbe prendere un abbaglio.

La società politica di Chatterjee è quindi costituita da «only tenuously rights-bearing citizens» (ivi: p.38) le cui attività di sussistenza si collocano in maniera più o meno spinta nella sfera dell’illegalità e dell’inciviltà - intendendo quest’ultima come area della sopraffazione dell’altro. In considerazione di quanto detto sino ad ora, il processo politico che si può ritenere sensato promuovere può solo passare attraverso una dimensione di relazionalità attiva all’interno delle procedure della governamentalità. Le agenzie statali potranno relazionarsi alle associazioni della società politica considerandole soggetti di intermediazione per adoperare politiche sociali e di sicurezza. La società politica, scrive ancora Chatterjee, è uno spazio di negoziazione e di contestazione aperto dalle attività delle agenzie governative (ivi: p.74) nel momento in cui avviene il riconoscimento delle persone coinvolte come gruppo– che da un punto di vista della governamentalità significa utilizzare una categoria empirica che definisce un target di policies - e come comunità che ha dei suoi propri attributi morali (ivi: p.57).

Di ritorno a Napoli. Quando succede che «la libertà è partecipazione»?

Diciamo quindi l’estendibilità ad libitum della categoria della società civile cozza inevitabilmente con le condizioni di illibertà di alcune popolazioni urbane. Diciamo anche che la recente pressione scientifica e mediatica sulla «bellezza» dei beni comuni stride 'assai' con le incapacità delle popolazioni «oppresse»10.

La prospettiva del libertarismo suppone una comunità di agenti le cui capacità morali sono sganciate dalle contingenze della vita. Più precisamente, suppone che l’uguaglianza delle persone in quanto agenti morali trascenda e possa anteporsi alle loro «capacità empiriche». Salvatore Veca (2006a; 2006b; 2010) propone di riconsiderare le persone nella duplice dimensione di agenti e di pazienti morali. Questo, dice, implicherebbe che si definisca una soglia in cui il deficit di funzionamenti contrae la dimensione di agenti. In questa prospettiva, dovremmo considerare che l’ampliamento dell’infrastruttura strumentale alla partecipazione democratica non implica necessariamente un ampliamento della libertà partecipativa. Quest’ultima è

9Un episodio analogo era successo pochi mesi prima: una famiglia di ritorno dal funerale si ritrovò la casa del proprio caro occupata

e non gli fu data facoltà di recuperare le proprie cose.

connessa inscindibilmente al raggiungimento di alcune capacità empiriche che sono costitutive di quegli assunti di base (di quella moralità) che fondano (che fonda) l’interazione democratica e civile (quest’ultima nel senso descritto sopra).

In conclusione, Napoli, che tu ti prodighi nell’esplorazione della bellezza è ammirevole e fondamentale ma non ti dimenticare che per mantenere fedeltà agli oppressi c’è bisogno di stare bassi sul mondo per come è e sulle possibilità che [nell’immediato] ci da (Veca, 2010).

Riferimenti bibliografici

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Sitografia

https://lidopola.wordpress.com/informazioni/.

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