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La natura, le ombre (qui in particolare Chiusaforte con il suo presente e il passato sulla

II. Gli Autor

3. Emanuele Luzzati e la tradizione ebraica

Artista multiforme (pittore, decoratore, illustratore, ceramista si è dedicato alla realizzazione di scene e costumi teatrali per alcune delle più importanti compagnie nazionali e internazionali), aperto alla sperimentazione e alla ricerca nei più diversi campi della creatività, Emanuele Luzzati è stato capace di sviluppare un linguaggio innovativo e originale innestato su temi della tradizione italiana (la commedia dell’arte, il teatro dei pupi ecc.), mitteleuropea, ebraica, avvalendosi di una grande eterogeneità di tecniche artistiche che spaziano dall’olio su tela all’illustrazione, dalla serigrafia al cinema di animazione. Tale capacità multiforme e straordinaria emerge spesso anche all’interno delle singole opere che spesso sono composte da materiali differenti (l’artista afferma di aver iniziato a usare la tecnica del patchwork per i costumi, proprio per necessità). Nel 1972, le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia e, nel 1982, ha ottenuto il Premio della Biennale di Bratislava.

Nel 1938 Emanuele Luzzati è costretto a interrompere gli studi a causa delle leggi razziali e nel 1940 si trasferisce a Losanna, lasciando la famiglia, studia e si diploma all’École des Beaux Arts et des Arts Appliquées (rientrando in Italia nel 1945).

Il suo primo interesse è il teatro, in particolare il teatro ebraico, e le sue prime esperienze a Losanna sono teatrali. Qui, una compagnia di giovani di varie provenienze dà vita al primo spettacolo (in francese), Luzzati cura scene, costumi, maschere. È il 1945 e la recita si intitola Salomone e la regina di Saba. L’autore è Alessandro Fersen - marito di Noemi, insegnante elementare di Luzzati a Genova -, e gli attori Livio Zeller, Guido Lopez (“primo ballerino” - come lo ha poi definito Luzzati) e Aldo Trionfo (mimo).316 Inizia così il rapporto di Luzzati con lo spettacolo e al suo rientro in Italia dopo l’esilio svizzero, la collaborazione con l’amico Fersen dà origine a opere di grande fama quali Lea Lebowiz (dramma di Alessandro Fersen, regia dell’autore, Compagnia del Teatro Ebraico, che era stato creato da Fersen e Luzzati proprio poco prima; 1947 Teatro Nuovo, Milano)317.

Franco Bonilauri nel volumetto Feste e vita ebraica, dedicato alla mostra organizzata dal Museo Ebraico di Bologna (2001) sottolinea come nella storia di Emanuele Luzzati sia presente una sorta di ‘geografia cuturale’ «che lo fa spaziare, attraverso vari linguaggi espressivi, nel complesso mondo della narrazione e della poesia» e che «l’ebraismo della tradizione lo abbia in qualche modo condizionato nell’individuare una forma espressiva fortemente incline alla narrazione»318.

Così racconta Luzzati il suo ebraismo e gli anni dell’esilio in Svizzera:

Ebrei si nasce, ma averne coscienza è un’altra cosa. Nella mia famiglia l’ebraicità era più o meno un fatto accidentale. I ricordi più forti sono legati alle feste di Pasqua, con la nonna che, in barba alle leggi, officiava il rito poiché il nonno, laico, si rifiutava. L’impatto vero, profondo, con quel mondo avvenne negli anni dell’esilio in Svizzera, dove mi rifugiai in seguito alle leggi razziali. Lì conobbi molti ebrei provenienti dall' Est europeo, lì entrai in contatto con la cultura yiddish. In Svizzera c’erano intellettuali profughi di tutto il mondo e un’apertura culturale che non esisteva in Italia. Ho potuto vedere e fare cose che non avrei conosciuto altrimenti. È lì che mi sono formato culturalmente ed è lì che ho preparato il mio primo spettacolo.319

316 Alla fine della guerra, nel ’45, lo spettacolo venne rappresentato di nuovo a Genova al Teatro Augustus, poi al Litta

di Milano. Le «illustrazioni» erano realizzate con la tecnica dell’acquaforte.

317 A cui seguiranno Il Golem per il Maggio Fiorentino (1969) e, più tardi, Il Dibuk per il Teatro Regio di Torino

(1982). È curioso ricordare che Emanuele Luzzati disegnò, per Lea Lebowiz, il primo manifesto realizzato a Genova, che possiede quindi un valore storico oltre che artistico. Nel 1975 fonda insieme a Tonino Conte e Aldo Trionfo il «Teatro della Tosse» di Genova (www.teatrodellatosse.it/Home.aspx ), tuttora attivo. Ha realizzato più di 400 scenografie per prosa, lirica e danza per i più importanti registi e nei principali teatri, non solo italiani, ma internazionali.

318 Feste e vita ebraica. Le opere di Emanuele Luzzati del Museo Ebraico di Bologna, a cura di Franco Bonilauri e

Vincenza Maugeri, De Luca Editori d’Arte, Roma 2006, p. 4.

319 Emanuele Luzzati ricorda ancora: «Eravamo ebrei all’ “italiana”. Certo non osservanti. Facevamo Pesach, Kippur.

Ma in quelle occasioni era mia nonna a leggere i testi, mio nonno era laico fino in fondo. Per capirsi la mia era una famiglia simile a quella dei Finzi-Contini di Bassani. Tra l’altro prima della guerra andavamo spessissimo a Ferrara a

Tuttavia, come lo stesso artista ha sottolineato, altre esperienze hanno contribuito alla sua formazione artistica come la commedia dell’arte, le favole, la musica, così come l’incontro - avvenuto nell’infanzia - con le avventure del signor Bonaventura, personaggio dei fumetti creato da Tofano nel 1917 sulle pagine del «Corriere dei Piccoli», e successivamente, con la commedia di questi:

«Sire! / Cosa avete da dire? / Perdoni l’ardir / ma mi par di veder / che oppresso è dal pondo di neri pensier!». Questi sono gli unici versi che conosco a memoria. Li conosco da quasi settant’anni e potrei continuare perché tutto il 1° atto della Regina in berlina lo so ancora a memoria. Non ho mai ricordato una poesia (a scuola era un incubo!), né una preghiera. Non so neanche ripetere le filastrocche che ora io stesso scrivo per i bambini: le scrivo, le illustro e poi me le dimentico. Ma la Regina in berlina mi è entrata in testa non so se leggendo e rileggendo il libro delle commedie di Sto oppure durante le rappresentazioni dello spettacolo (l’ho vista tre volte). Ancora oggi mi domando cosa sia scattato in me bambino ad una certa età per cui abbia adottato come «Credo» i versi di Sto e i suoi personaggi. La

Regina in berlina è stata la chiave per entrare in un mondo in cui mi sono riconosciuto e da cui poi non mi sarei più

allontanato. Infatti quando mi chiedono da dove viene il mio modo di dipingere, di far teatro, di scrivere e illustrare libri, io rispondo sempre: «Da Bonaventura». Mi sono sentito dire che ho subito l’influenza di Rouault o di Chagall, di Bakst o delle stampe popolari. Può essere tutto vero, non sta a me giudicare: ci sono troppo dentro! Ma so di sicuro che senza Bonaventura non avrei fatto quello che faccio. Mentre senza Chagall, o Rouault o Bakst avrei fatto circa lo stesso (più o meno colorato, più o meno materico). In Bonaventura c’è tutto quello che cerco: teatralità ed ironia, fiaba e dissacrazione, stilizzazione e colore e un certo mistero nelle parole magiche di quei versi che so così bene a memoria, ma non ho mai saputo esattamente cosa volessero dire. Cos’è il «pondo di neri pensier»? Un mare, una profondità, un abisso? Certo qualcosa di misterioso e affascinante come il mondo di Sergio Tofano.320

L’esperienza scenografica è sicuramente presente anche nell’illustrazione, dove spesso compaiono vere e proprie scene teatrali con forti prospettive, palcoscenico e quinte: questo sarà particolarmente evidente nell’Haggadah di Pesah pubblicata dalla Giuntina nel 1984. Luzzati proietta gli spettatori in un universo incantato, nel quale gli episodi e i personaggi della commedia popolare italiana vengono riletti in chiave magica e fiabesca. La sua idea e interpretazione del teatro (della scenografia) è infatti del tutto originale, irriducibile tanto alle tendenze del realismo, quanto a quelle della scenografia astratta o razionalista. Luzzati è fra i primi ad abbattere il fondale scenico e ad aprire lo spazio, limitando la scenografia a un intreccio di praticabili se-movibili e intercambiabili (i periatti). Il teatro è per lui un gioco di sperimentazioni e commistioni, comico e drammatico.

Appena tornato dalla Svizzera, oltre a dedicarsi al teatro, inizia a collaborare alla rivista quindicinale per bambini «Israel liladim» («Israel dei bambini»; il cui primo numero esce il primo giugno 1946 a Milano) a cura del movimento Hechaluz d’Italia321. Si occupa della grafica delle

trovare quel genere di amici e di parenti. Comunque avevo frequentato la scuola ebraica, avevo imparato a scrivere e a leggere l’ebraico, e a tredici anni feci il mio bar mitzvah, la maggiore età religiosa» E sugli anni trascorsi in Svizzera: «Sono stati i cinque anni passati a Losanna dove, venendo via dall’Italia delle leggi razziali, mi iscrissi a una scuola di arte applicata. La Svizzera era piena di profughi dell' Est Europa, ashkenaziti ricchi di tradizione e non solo. Rimasi affascinato da tutte quelle leggende che si portavano dietro, dal loro bagaglio di canzoni, di storia. Ma soprattutto ero colpito da quel che raccontavano delle loro esistenze, della vita artistica. Li sentii parlare per la prima volta del famoso teatro Abima di Tel Aviv, per esempio. Era musica per le mie orecchie. Entrai in un mondo sconosciuto ma mio. Pensammo di fare degli spettacoli per i profughi. Anche per guadagnare qualcosa. Pescammo nelle leggende che avevamo scoperto o riscoperto. Con Fersen e Aldo Trionfo mettemmo su Salomone e la regina di Saba. Tornato in Italia, sempre con Fersen, riprendemmo la leggenda di Lea Leibowitz, una storia con un rabbino miracoloso e una ragazza che vuole donare la vita per salvarlo, e la mettemmo in scena. Fu lì che feci le mie prime maschere. Le inventammo noi, anche se qualcuno disse che avevamo ripreso quella tecnica dall’Abima. Ma non era vero. Lì usavano un trucco molto carico, espressionista. Un’altra cosa»: in Giorgio Macario, Conversazioni con Lele. 15 racconti e 20

incontri con Emanuele Luzzati, Youcanprint, Self-Publishing 2013. Cfr. anche N. Tedeschi Blankett, Il mondo ebraico di Luzzati, in Omaggio a Emanuele Luzzati. (6-25 maggio 2012 Old Jaffa Museum of Antiquities) Catalogo della

mostra a cura di Andreina Contessa, Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv, Museo di Arte Ebraica Italiana U. Nahon, 2012, p. 36.

320 Emanuele Luzzati: http://www.sto-signorbonaventura.it/Html/commedie2.html

321 Il movimento, costituitosi all’indomani della Liberazione a Roma, viene così descritto nel neonato «Bollettino

copertine, tiene una rubrica sull’arte, ma il suo cavallo di battaglia sono Le avventure di Guz, l’asino haluz, cioè ‘pioniere’, che per 22 episodi lasciarono con il fiato sospeso i bambini di tutta Italia. Le vignette raccontano l’odissea di un asinello322 all’inseguimento dei suoi padroncini Leo e Lalla (diminutivi che richiamano il nome di Luzzati, Emanuele e quello della sorella, Gabriella), partiti dalla loro casa per vivere in un kibbutz in Palestina.323

Gli scenari sono i più vari: dal porto di Genova (sua città «di tutta la vita») alla redazione di Milano, dalla comunità alla scuola ebraica, dove l’ironia dell’autore - avvalendosi anche dell’utilizzazione ripetuta dei termini ebraici - riecheggia le storielle rabbiniche, dalla foresta esotica al teatro dell’Opera in cui Guz viene scritturato come tenore, incontrando mercanti rassegnati, pirati (Guz incontra un veliero corsaro capitanato da Jolanda figlia del Corsaro Nero; i pirati lo vogliono mangiare ma riesce a mettersi in salvo confessando di aver mangiato salame324), animali imprevedibili (come la scimmia Sara la cui nonna è di Ferrara) che offrono di volta in volta lo spunto per candide e satiriche allusioni e soluzioni pittoriche che anticipano l’opera grafica che seguirà. Le atmosfere e i personaggi che qui sembrano ricordare più da vicino Chagall325, ma dallo sfondo di colori vivacissimi già si staccano quelle sagome che caratterizzerano il tratto tipico del «découpage».

Ogni «quadretto» è sottolineato da un distico di ottonari a rima baciata (nello stile del «Signor Bonaventura», fonte di ispirazione principale come dichiarato dall’autore stesso.326 Se il linguaggio

avuto espressione immediata nella creazione di un Centro Giovanile Ebraico, che raccoglie a scopo di istruzione e ricreazione i giovani dai sette ai venticinque anni. Esso ha posto la sua sede in Via Balbo n. 33. Circa 200 ragazzi si sono iscritti ai corsi di lingua e di cultura ebraica, che sono assai frequentati». Nasce con lo scopo di diffondere le idee sionistiche e la conoscenza della lingua e della cultura ebraiche (soprattutto rivolte ai giovani attraverso campi scout, attività, campeggi, seminari e congressi. Articolato in diverse sezioni locali si avvaleva anche del quindicinale

«Hechaluz» (1 giugno 1946- aprile 1956). Cfr. C.I. De Benedetti, I sogni non passano in eredità. Cinquant’anni di vita

in kibbuz, Giuntina, Firenze 2001; Sulle orme della rinascita. Cronaca e memorie del movimento «Hechaluz» italiano dal ’44 al ’58, a cura di Anita Tagliacozzo, Stampa Litos, [s.l.] 2004.

322 Per un’analisi della complessa simbologia dell’asino si rinvia a Franco Cardini, L’asino, «Abstracta», 11 (1987), pp.

46-53 e, recentemente, a Roberto Finzi, Asino caro o della denigrazione della fatica, Bompiani, Milano 2017. Si possono tuttavia ricordare almeno i tre viaggi de L’Asino d’Oro di Apuleio, il Viaggio con un asino nelle Cévennes di Robert Louis Stevenson (1879) e quello del poeta spagnolo Juan Ramon Jiménez, Platero e io (pubblicato per la prima volta in Italia da Vallecchi nel 1940 a cura di Carlo Bo).

323 L’Israel dei Bambini di Emanuele Luzzati, La Giuntina Editore, Firenze 1950. La sorella Gabriella viveva in

Palestina in un kibbutz dal 1952.

324 «Ma ecco un’idea: chiede a Jolanda:/ “Scusi, signora le fò una domanda// su questa nave posso saper/ se viene

mangiato sol cibo cascèr?”// “Ma certamente! Questa è un’offesa”/ dice Jolanda “per chi mi hai presa!”// “Ebbene allor dopo avermi mangiato/ avrete commesso un grave peccato// perché stamani crepando di fame/ ho divorato un mezzo salame”».

325 Anche se Emanuele Luzzati ha sempre dichiarato di sentirsi più vicino a Picasso, non per il tratto ma soprattutto per

il modo di lavorare: «Se Chagall faceva una scenografia faceva un suo quadro ingrandito a palcoscenico. Picasso no: disegnava una scena, e vi metteva dentro la sua arte. A me interessa capire le varie materie, i vari generi artistici. È una mentalità più vicina a Picasso che a Chagall», cfr. il capitolo Picasso e Chagall, in Giorgio Macario, Conversazioni, cit. Luzzati, che aveva incontrato personalmente Chagall e Picasso in una stessa giornata, così riflette sulle influenze artistiche: «C’è da considerare che io non ho mai dipinto quadri e le mostre che ho fatto erano riferite all’illustrazione, alla scenografìa o altre forme di arte applicata. In questo senso, quello della pittura è per me un mondo parallelo, anche se dalla pittura ho assorbito molte cose. Ad esempio, al tempo della pop art si usavano materiali di ogni tipo, pezzi raccolti per la strada ... Sicuramente questo modo di esprimersi è entrato in me e l’ho applicato al teatro. Altri pittori mi saranno senz’altro stati utili nell’illustrazione. Adesso faccio il collage... uso anche dei pezzi delle riproduzioni di pittori, prendo una testa di qua, un paesaggio di là, li metto a caso uno accanto all’altro, li incollo li uso specialmente in scenografìa»: intervista a Emanuele Luzzati di Maria Luisa Salvadori, L’imprevedibilità dei limiti, «Il pepeverde», n. 3, 1999: http://www.ilpepeverde.it/005%20Argo%201.2%20Vetrina%20ILL%20LUZZ.html).

326 Nel 2009 è stata organizzata una mostra nel Foyer del Teatro Carlo Felice di Genova: 22 episodi in tutto, per un

totale di 26 tavole e più di 100 strisce firmate “Lele”. Racconta Sergio Noberini (direttore del Museo Luzzati a Genova): «Lele scelse di contribuire alla rinascita del popolo ebraico con il suo segno che si rivolgeva ai bambini con ironia. I tratti sono quelli che poi rivedremo nei lavori successivi. L’Archivio di Lele è immenso, sapevamo che aveva collaborato a “Israel” ma non immaginavamo di trovare così tante tavole di fumetti con i testi in rima. In queste prime opere emerge lo sguardo di Luzzati a Picasso e Chagall»: «Il Secolo XIX», 13 gennaio 2009: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia_e_mondo/2009/01/13/AMIADGMC-bambini_luzzati_cartoonist.shtml

è semplice e colloquiale, la rima rivela - insieme all’illustrazione di cui è parte integrante - già un gusto assai divertente, con sfumature ironiche e autoironiche che sfiorano il grottesco, come quando, per esempio si rivolge alla scimmia Sara che Guz incontra su un’isola deserta: «Sara: vieni via/ tutta questa è borghesia» oppure «Ma un bel pezzo di città/ appartiene ad Abdullàh». O quando ancora - Guz nascosto in un sacco - fa dire ai due banditi: «Sai gli ebrei son pieni d’oro/ in quel sacco c’ è un tesoro».

Fin dalla prima puntata è possibile cogliere tutta la portata ironica e divertente:

Ora qui vi presentiamo Guz, un asino italiano// che viveva in una stalla con due bimbi Leo e Lalla. Ma poi vengon giorni tristi, i due bimbi son sionisti// tutti allegri una mattina se ne vanno in Palestina. Ma Guz sol non vuol restare anche lui vuole viaggiare.// Già veste da chaluz come fan quei dei kibbutz D’eleganza non si tratta… … e si toglie la cravatta// poi va a Genova in gran fretta per pigliare una barchetta Arrivato ora in città ecco va la Comunità:// entra senza complimenti dove sono i presidenti Dice lor : «Scialòm son Guz Andar fatemi in kibbutz »// Un di loro però un po’ avaro dice: «Ahimè non ho denaro!» E consiglia al nostro Guz l’hachsciarà di Hechaluz327.//

Passa il tempo, vien la sera, piange Guz: Che vita nera!» Lo sciammash328, che lo consola, lo accompgna nella scuola.// Guz a scuola? che farà? Il prossimo numero ve lo dirà.

n. 2

L’altra puntata abbiamo lasciato Guz in iscuola addormentato// Ma la mattina aperto un occhio si trova in mezzo d’un grande crocchio

327 ‘Hachshara’ cioè ‘preparazione’, termine ebraico: costituisce la principale risorsa del movimento dell’ ‘Hachalutz’ (o

anche ‘Hechalutz’, letteralmente: ‘pioniere’). In genere viene svolta in una fattoria collettiva in preparazione dell’alià, l’ascesa in Israele, e la vita nel kibbutz.

328 Lo ‘shamash’ (‘servitore’, ‘shames’ in yiddish), anche detto ‘gabbai’ è la persona che assiste nei servizi alla

Di ragazzi e di giovinetti che lo rimirano interdetti// fin quando arriva il mastro Funaro che grida: «Cielo questo è un somaro» Ma poi fra sé: «Somari ne ho tanti si sieda pure, tiriamo avanti ». E volto a Guz : «Non andar via, facciamo un po’ di geografia». Rispondi svelto, continua il vacrè329

la capitale d’Olanda qual’è ? Guz, spaventato, si mette a ragliare// e : a… ia…ia» non fa che gridare. Benone, bravo, tu sai la lezione,

quest’asino merita più d’una menzione»// E mentre Guz ancor strepita e raglia gli punta sul petto una grossa medaglia. Ma Guz pensando sta solamente di trovar fuori un nuovo espediente// con la medaglia che balla sul petto dice: «Permesso, men vo’ al gabinetto» Al gabinetto la corda strappa

scende dal muro, forte si aggrappa// Poi quando lì arriva una maestra egli è già fuori della finestra. Giù per la strada senza sostare pei vicoli cerca di giungere al mare// ma una guardia, gridando «Accidenti» l’arresta perché non ha documenti.

n. 3

L’altra volta abbiam lasciato Guz dal vigile arrestato// perché senza passaporto si avvicinava verso il porto «Prego no, abbia pietà devo andare in hachsciarà// dove in gran velocità mi daran l’identità… Ma quei senza compassione ora Guz schiaffa in prigione// qui vediamo il poveretto nella cella senza letto Per compagni ha brutti ceffi che gli fanno gli sberleffi// ladri spie ed assassini e briganti e malandrini

329 Viceré.

Ma Guz no, non ha paura lui non teme l’avventura:// spiega lor cos’è un kibbutz e che cosa è un chaluz E pian pian fa propaganda di siniosmo a quella banda// Sì che tutta la prigion vuol salir ora a Sion Preparatisi una notte ai guardiani danno botte// e pian piano senza rumori di prigione escono fuori Vanno al mar dove l’aspetta un nocchier con la barchetta// e con gran felicità

cantan tutti Hatikvà330.

330 HaTikva (La Speranza) l’inno del movimento sionista dal 1933, dal 1948 divenne di fatto l’inno dello stato di Israele

Seconda puntata delle avventure di Guz.

Proprio con l’ebraismo è dunque iniziata l’attività artistica di Luzzati, e l’ha percorsa tutta dal primo spettacolo teatrale a Losanna, ai disegni per l’Haggadah di Pesach (il racconto della fuga dall’Egitto che ogni anno gli ebrei leggono per Pasqua)331, fino alle illustrazioni per i racconti di

331 Haggadàh di Pesach: rito sefardita, testo ebraico con traduzione italiana e note del rabbino Fernando D. Belgrado,

Isaac B. Singer332 e di molti altri scrittori ebrei - come Primo Levi, Elena Loewenthal, Giuseppa Limentani - 333 e israeliani334, ai Parochet (le tende che «proteggono» l’Aron ha-Kodesh, ,’Arca

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