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Emozioni e soggetti nell’espressione artistica: il contributo di Dewey

di Roberta Dreon

L’idea che le arti siano espressive e che, anzi, la loro espressività sia proprio tra le caratteristiche che le rendono più interessanti è for-se una delle ovvietà più trasversali, comune alle concezioni estetiche più raffinate come alle opinioni più ordinarie dell’uomo della strada. La questione si fa tuttavia estremamente intricata quando si cerca di comprendere che cosa il termine “espressione” significhi di volta in volta e, ancor più, allorché si tenta di chiarire quale ruolo vi assumano le emozioni individuali, la sensibilità o l’apporto dei singoli. Eppure nel corso del Novecento fino agli anni più recenti una serie di criti-che provenienti da vari fronti sembra avere mostrato l’inopportunità di questo tipo di categorie per comprendere e articolare i fenomeni artistici, ovvero la loro ascendenza dogmatica e dualistica.

Se l’ermeneutica ha dato un contributo decisivo contro le concezio-ni soggettivistiche dell’esperienza dell’arte, in particolare con la critica delle nozioni di Erlebnis, di differenziazione e di coscienza estetica, sul versante fenomenologico Merleau-Ponty ha proposto una interpreta-zione delle espressioni artistica e linguistica radicalmente innovatrici anche rispetto alla sua stessa provenienza culturale. Se Goodman ha operato un decisivo trasferimento del concetto di espressione sul pia-no delle relazioni di riferimento, gli argomenti di Wittgenstein con-tro il mito del linguaggio privato, concon-tro le concezioni reificanti dei significati e quelle pittografiche del linguaggio, nonché nei confronti dell’opposizione tra interno ed esterno, sono stati variamente ripresi per evidenziare i limiti delle interpretazioni delle arti come espressioni soggettive.

Con questo tipo di strumenti concettuali e di argomenti filosofici è stata così rilevata la debolezza di concezioni dell’arte quale linguaggio delle emozioni indicibili di Susanne Langer, delle tesi di Collingwood e di Croce sull’intuizione estetica come espressione di emozioni, della assunzione di Santayana della qualità estetica quale oggettivazione o proiezione di uno stato soggettivo… Tra gli studi critici più recenti in questa direzione si possono ricordare quelli di Nigel Warburton, di Garry Hagberg, e più indietro nel tempo quello di Bouwsma, signifi-cativamente intitolato The Expression Theory of Art 1.

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gorie filosofiche per parlare di arte e a epurarne il lessico, in un modo o nell’altro metafisicamente pregiudicato?

Come è stato notato, l’approccio di Dewey al linguaggio della tra-dizione filosofica è sempre stato caratterizzato nel senso opposto, con tentativi costanti di reinterpretazione dei termini della tradizione, spes-so attraverspes-so il ricorspes-so agli usi del linguaggio ordinario, e sempre senza ignorare che anche le sue scelte lessicali non erano certo innocenti 2. In particolare sul tema affrontato in questa sede, si è riconosciuto che Dewey è riuscito ad articolare una concezione dell’espressione artistica e dell’oggetto espressivo capace di prendere radicalmente le distanze dal «principio dell’espressione come estrinsecazione di sentimenti» 3, di evitare la caduta nel dualismo della rappresentazione all’esterno di un contenuto a essa estrinseco e antecedente, non rinunciando tuttavia ad articolare la centralità della componente emotiva e del contributo individuale nei fenomeni espressivi. Questo è accaduto non solo at-traverso una profonda rielaborazione della nozione di espressione, ma anche per il tramite di una concezione dell’emozione, o meglio della qualità emotiva dell’esperienza, maturata in una direzione che tende nettamente a evitarne l’ipostatizzazione e l’attribuzione a un ambito psichico contrapposto alla dimensione fisica, ma anche una caratteriz-zazione in termini privatistici e al limite estranei alla razionalità e al linguaggio. La terza componente di questo ripensamento complessivo riguarda la reinterpretazione del soggetto, della mente e del sé indi-viduale nel corso esperienziale, in una concezione capace di sottrarsi alla contrapposizione tra dualismi e riduzionismi, nell’alveo di quel “naturalismo culturale” professato e praticato dal filosofo americano. 1. Emozioni e stati mentali

Uno degli aspetti che caratterizzano la concezione dell’espressione elaborata da Dewey è senz’altro la centralità che è attribuita alla com-ponente emotiva, che ha generato, tuttavia, numerosi fraintendimenti, primo fra tutti la polemica con Croce e i tentativi di ricondurre le proposte del filosofo americano in materia di espressione artistica a forme di idealismo “organico” 4. Ma come è stato notato 5, questo genere di lettura trascura almeno un punto sul quale le indicazioni di Dewey sono sempre state molto nette: la tesi che l’emozione non co-stituirebbe il contenuto oggettuale espresso dalle opere d’arte, quanto piuttosto funzionerebbe da principio di guida, controllo e selezione di quei materiali sui quali l’atto espressivo esercita un’azione trasformatri-ce. A ben vedere già in questa versione sommaria delle connessioni tra emozioni ed espressioni sono racchiusi almeno due aspetti di profonda discontinuità con la nozione crociana di arte: da un lato, appunto, l’as-sunzione che l’espressione artistica equivalga all’intuizione di un sen-timento, seppure purificato e reso universale, alla produzione di una sua immagine, e dall’altro l’idea che questa immagine sia collocabile

in un ambito primariamente spirituale, mentale o psichico, indifferente in linea di principio ai materiali e alle tecniche artigianali nelle quali potrà successivamente ed eventualmente essere comunicato 6.

Ma si tornerà più tardi su questi elementi, per fermarsi ora a con-siderare le componenti della concezione dell’emozione elaborata da Dewey.

Come era già stato sottolineato nel 1978 7, occorre assumere una prospettiva continuistica e unitaria, seppure nel senso di una progressi-va maturazione e articolazione dei temi, sia nella interpretazione di Art

as Experience rispetto al contesto più ampio dell’opera deweyana 8, sia nel dettaglio sul tema dell’emozione, che non può essere confinata alle decisive, ma non numerose indicazioni che si riscontrano nell’opera del 1934. In particolare Whitehouse recuperava lo scritto giovanile

The Theory of Emotion 9, cui a mio parere vanno aggiunti un testo appartenente ai primissimi anni di quella che viene considerata la pie-na maturità del filosofo americano, What are States of Mind? 10, oltre ad alcune importanti indicazioni del capitolo di Experience and Nature dedicato all’arte 11.

Nel primo articolo menzionato Dewey propone una caratterizzazio-ne prevalentemente fisiologica dell’emoziocaratterizzazio-ne 12, definendola come una modalità di comportamento contraddistinta da una forma di tensione e di esitazione momentanea circa la risposta da dare a una determinata sollecitazione ambientale: a essere disturbata o momentaneamente so-spesa sarebbe la connessione unitaria tra attività senso-motorie, quali il vedere, il toccare, l’udire, e le attività motorio-vegetative del cuore, dello stomaco e degli altri organi interni, regolati dal sistema simpatico, che di solito risultano fuse in atti unitari, dai quali si originano risposte abituali per lo più non coscienti e comunque non tematiche. In certe circostanze questa unità verrebbe a rompersi in fasi apparentemente giustapposte, che richiederebbero una scelta tra più possibilità dispo-nibili per rispondere a quegli impulsi provenienti dall’ambiente che determinano una forma di disagio o di disorientamento nelle risposte abituali e consolidate.

Già a questo livello di elaborazione della questione il giovane filo-sofo americano ritiene pertanto che l’emozione sia da intendere non tanto in termini sostantivi, quanto come modalità o qualità di un com-portamento e più in generale di una certa esperienza dell’ambiente, e che sia appunto caratterizzata da una direzione latamente intenzionale, ovvero che riguardi innanzi tutto non già la presunta interiorità pri-vata del soggetto, ma le sue relazioni strutturali con l’ambiente, e in particolare le sue modalità di risposta non abituali e ordinarie, in cui interviene la necessità di una scelta sul da farsi; il terzo elemento che ritornerà nelle interpretazioni dell’emozione proposte successivamente è l’assunzione per cui le esperienze caratterizzate da una forte preminen-za emotiva comporterebbero una qualche forma di presa di coscienpreminen-za

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delle componenti attive e passive che sono in gioco, vale a dire un approccio non diretto alla consumazione immediata dell’esperienza, ma a una considerazione in qualche modo riflessa delle sue compo-nenti soggettive e ambientali. In altri termini, già a questo stadio di elaborazione della questione le indicazioni di Dewey appaiono molto distanti sia dall’iscrizione del sentire emotivo in un ambito psichico o soggettivo primariamente privato, sia dalla contrapposizione dualistica tra l’affettivo o l’emozionale e l’intellettuale: come dirà in seguito il fi-losofo americano, l’emozione è un modo di coscienza perché comporta una tensione o una rottura di un comportamento responsivo ormai consolidato, che diventa pertanto consapevole o tematico, “riflessivo” e non “immediato” 13.

Nel successivo What are States of Minds? Dewey avvia la sua in-terpretazione, come gli accade di sovente, dall’analisi dell’espressio-ne “stato mentale” dell’espressio-nel discorso ordinario, dell’espressio-nel quale a suo parere si possono trovare indicazioni migliori rispetto a quelle di tanti tomi di epistemologia, che gli appaiono pregiudicati dai dualismi tra mente e corpo, nonché tra mente, soggetto o coscienza, da un lato, e mondo o realtà materiale, dall’altro. Nell’inglese colloquiale dire che qualcuno si trova in un determinato “state of mind” significa ritenere che egli assuma una certa disposizione comportamentale nei confronti delle cose e degli individui che gli stanno intorno – in particolare il riferi-mento è di solito a una forma di irritazione o almeno di impazienza nei confronti delle une e degli altri. Pertanto «Uno stato mentale è essenzialmente un atteggiamento o una disposizione emotiva, tale per cui questo atteggiamento o disposizione sono caratteristiche di certe condizioni di un agente organico» 14.

Gli stati mentali non sono pertanto equiparati alle emozioni, ma riguardano «sensazioni, idee, immagini, volizioni e i cosiddetti stati di coscienza» 15 in quanto, prima di essere ipostatizzati in sostanze o anche solo in eventi psichici autonomi, si riferiscono ai modi in cui un organismo vivente è disposto nei confronti dell’ambiente circostante – modalità che sono caratterizzate da una certa qualità emotiva. Il ge-nitivo non va inteso in senso possessivo, come se un certo stato appar-tenesse a una certa dimensione speciale chiamata mente, ma nei termini di una qualità che permea una determinata esperienza, una particolare interazione tra un organismo e l’ambiente al quale esso appartiene, per cui si tratta di una disposizione che è percepita come tale, diventa cosciente come aspetto che caratterizza un sé individuale a causa della tensione emotiva che viene a crearsi.

Il punto fondamentale per Dewey è interpretare questo genere di fenomeni a partire dal dato primario di ogni esperienza, il quale non è costituito da una mente o da una coscienza separata e indipendente da un mondo e da una realtà bruta e indifferente che si limita a offrirsi come tale alle nostre percezioni, ma è di volta in volta una «moving

complex situation» 16 in cui un organismo vivente si trova a lottare con un mondo dal quale dipende, dando risposte sempre interessate – a differenza delle entità inorganiche –, che contribuiscono a modificare l’ambiente circostante, su cui le sue azioni e le sue passioni retroagi-scono in una forma di adattamento reciproco e sempre dinamico. Se si prende avvio da questa situazione mediale, per così dire, in cui gli organismi viventi si trovano già sempre situati in relazioni di dipen-denza circolare da un mondo del quale sono al contempo una parte strutturale, si evitano secondo Dewey quei fraintendimenti fatali dei fenomeni mentali ed emotivi che danno per originarie la separazione tra un ambito psichico a se stante e un corpo meramente fisico, per cui diventa problematico spiegare come l’uno possa esercitare una azione causale sull’altro. Tra l’altro, il filosofo americano ritiene che in questo modo sarebbe stata sostenibile con maggiore efficacia la teoria dell’emo-zione sviluppata da William James, per cui le risonanze o i riverberi organici di una emozione non dovrebbero essere intesi quali conse-guenze a livello di espressione corporea di stati mentali antecedenti, ma come lo stesso «materiale mentale» 17 di cui sono costituite le nostre disposizioni emotive verso il mondo circostante: la concezione tradi-zionale secondo la quale una emozione o un sentimento determinano una certa espressione del volto o una certa postura come conseguenza esteriore o puramente fisica di uno stato interiore appare inattaccabile solo se si assume come dato primario il dualismo tra mente e corpo e tra organismo e ambiente.

Questo, d’altra parte, non significa che la discriminazione tra un organismo vivente, una mente individuale o un sé, e l’ambiente verso il quale è disposto in un certo modo non si dia o sia fallace. Significa in-vece per Dewey che si tratta di una differenziazione derivata rispetto a una interazione e a una interdipendenza circolari – e in particolare, nel senso che il discriminare interviene come un tipo di esperienza riflessa rispetto a quella immediata dell’interconnessione reciproca organico-ambientale, rispondente all’esigenza di considerare analiticamente le componenti della interazione che sta avvenendo, per poter controllare più efficacemente i rapporti tra mezzi e conseguenze quando gli abiti di risposta consolidati diventano problematici e si crea una tensione emotiva sul da farsi, che porta ad assumere consapevolemente l’intri-co del tessuto esperienziale. Tra l’altro, questo tipo di interpretazione rende evidenti i limiti di una caratterizzazione dell’emozione in termini irrazionali o ineffabili: come si sostiene in The Quest for Certainty, se «L’aspetto emotivo di un comportamento responsivo è la sua qualità immediata» 18, questo vuol dire che una situazione di tensione circa il da farsi viene senz’altro esperita o vissuta come tale, ma non è sepa-rabile dalla esigenza di una considerazione riflessa per uscire dall’im-passe che si è creato, ovvero non è nettamente districabile dall’analisi che essa avvia delle componenti in gioco nell’esperienza immediata

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della tensione, che proprio come tale ne produce una prima forma di consapevolezza.

Lo scritto del 1912 si conclude attribuendo la genesi e il successo dell’ipostatizzazione del mentale o dello psichico, da un lato, e del corporeo e del meramente fisico dall’altro lato, insieme alla loro indivi-duazione come dati primari, a motivazioni di matrice sociale e religio-sa, oltre che a un certo autocompiacimento isolazionistico tipico delle forme d’arte drammatica e letteraria, ma anche di tanta psicologia.

Il capitolo del volume del 1925, intitolato Experience, Nature and

Art, riprende il tema dell’emozione brevemente, ma con un intervento

decisivo, che mette in discussione l’interpretazione tradizionale dell’arte come espressione delle emozioni, e in particolare l’implicazione che essa porta con sé per la quale un’opera d’arte autentica comporterebbe la riduzione dei materiali e dei mezzi in cui essa si realizza a meri stru-menti esteriori di esternazione di una emozione già data in altra sede 19. Di nuovo la critica di una simile concezione dell’arte si rifà al significa-to della parola emozione nella vita e nel linguaggio quotidiani:

L’emozione infatti nel suo senso ordinario è qualche cosa che viene chiamato in causa da oggetti, fisici e personali; è una risposta a una situazione oggettiva. Non è qualcosa che esista di per sé in un qualche stato e che poi adoperi del materiale attraverso cui esprimersi. L’emozione è il segno indicatore dell’intima partecipazione, in modo più o meno vivace, a qualche vicenda della natura e della vita; l’emozio-ne è per così dire un atteggiamento o una disposiziol’emozio-ne che è funziol’emozio-ne delle cose oggettive 20.

L’assunzione per cui l’emozione costituirebbe innanzi tutto il dato di una coscienza individuale a se stante, autonoma dal mondo nel quale potrebbe in seguito rintracciare i materiali per essere resa pubblica, contraddice la sua caratterizzazione nel discorso ordinario, in cui ap-pare evidente che abbiamo paura di qualcosa, gioiamo per un certo incontro, ci preoccupiamo per la nostra vita o avvertiamo una forma di repulsione nei confronti di un certo atteggiamento… In altri termini, piuttosto che uno stato mentale chiuso in una dimensione interiore, l’emozione è assunta nella nostra vita quotidiana come qualità o come modalità di risposta a una certa situazione nella quale viviamo e rivela, al contrario, proprio la nostra esposizione strutturale all’ambiente.

Art as Experience ritorna su questo aspetto, sottolineando come

l’emozione riguardi un sé, ma gli appartenga solo in quanto «è coin-volto nel movimento degli eventi verso un esito che si desidera o che si avversa» 21. Pertanto non c’è alcuna necessità che un soggetto proietti le proprie emozioni sulla natura, poiché questa è esperita immediata-mente come avversa, ostile, o favorevole, a seconda dell’accento su cui cade il ritmo dell’interazione che costituisce di volta in volta l’organi-smo individuale. Questo diventa appunto un individuo, un sé anche grazie alle qualità emotive delle esperienze che va compiendo, poiché

esse segnalano appunto delle rotture nel ritmo di integrazione con l’ambiente, che diventano pertanto consapevoli 22.

Una precisazione ulteriore riguarda la distinzione tra mero conato ed emozione: a differenza del primo che offre una risposta istintuale, quasi automatica alle sollecitazioni ambientali, la seconda ha una quali-tà significativa che la caratterizza immediatamente proprio nella misura in cui comporta un riferimento intenzionale o oggettuale in senso lato, ovvero segnala il conforto o il pericolo che una determinata situazione offre o impone a un sé.

Ma l’aspetto che viene articolato con maggiore ampiezza nel volu-me del 1934 riguarda il ruolo di guida, di selezione dei materiali, di controllo e di tenuta unitaria dell’emozione nell’ambito dell’espres-sione, e di quella artistica in particolare. Prima di affrontare questo tema, è però opportuno fornire alcune precisazioni sulla posizione del sé che appare pur sempre coinvolto emotivamente nelle esperienze che va compiendo e al quale Dewey riconosce una funzione comunque decisiva nell’espressione artistica.

2. Soggetti, menti e coscienze

Ai temi del soggetto, del sé individuale, della mente, della coscienza è dedicato il sesto capitolo di Experience and Nature, intitolato “Natu-re, Mind and the Subject”, cui si devono aggiungere alcune indicazioni del successivo ottavo capitolo, “Existence, Ideas and Consciousness”.

Il testo esordisce con una presa di posizione netta rispetto alle istanze del soggettivismo di matrice idealistica, ma anche nei confronti delle forme coscienzialistiche di interpretazione dell’esperienza: «La personalità, l’essere un sè, la soggettività sono funzioni di eventi che emergono con il costituirsi di interazioni organiche e sociali in intera-zioni organiche e sociali organizzate in modo complesso» 23.

Fin dal primo approccio alle questioni Dewey vuole sottolineare che le individualità soggettive non si situano all’inizio di un processo di costituzione del mondo, ma nemmeno dell’esperienza, poiché si configurano piuttosto quali fattori che si costituiscono all’interno del-l’esperienza stessa, delle interazioni con un ambiente che è naturale e naturalmente condiviso e pubblico. In particolare, inoltre, è necessa-rio che le interazioni in corso abbiano raggiunto un grado di grande complessità, tale da comportare quelle forme di consapevolezza delle parti coinvolte nei processi di godimento o di sofferenza immediata, che sono costituiti già dalla sensibilità emotiva e dall’analisi riflessiva che ne consegue. È in questo senso che risulta sostenibile la differenza decisiva dell’individualità umana pur nell’ambito dell’assunzione della sua continuità profonda con i processi naturali da cui insorge e a cui risponde 24.

Questo non significa – e la cosa ha una forte rilevanza nell’ambito dell’espressione artistica – che i soggetti non siano riconosciuti come

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fattori rilevanti e anzi decisivi per l’esperienza umana, ma ne implica l’interpretazione quali «agent[i] di nuova ricostruzione di un ordine pre-esistente» 25. I sé, in altre parole, si situano in una posizione mediale nell’ambito di transazioni che stanno già accadendo e che generalmente hanno già assunto una qualche forma di equilibrio mobile ma consoli-dato. Sono eventi che sopravvengo non già rispetto a una realtà in sé, né rispetto all’esperienza tout court, quanto nei confronti dell’espe-rienza che procede per lo più senza intoppi, per cui «In primo luogo e in prima istanza non è esatto né rilevante dire ‘io esperisco’ o ‘io penso’. ‘Si’ (It) sperimenta o si è esperiti, ‘si’ pensa o si è pensati sono espressioni più appropriate» 26. Nell’interazione esperienziale il singolo