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CAPITOLO II: REPERTORIO DI OPERE DI RIFERIMENTO (1976-2011)

3. Enrico Prampolini e l'eredità futurista

Per tutto il Ventennio fascista si ebbe una sporadica, quasi nulla, circolazione di opere e riproduzioni d'arte contemporanea europea. Una delle poche eccezioni a questo isolamento si trova nella figura del già citato Enrico Prampolini. Formatosi nell'alveo del futurismo e capace di tenere collegata l'arte italiana alle ricerche internazionali anche negli anni Trenta, Prampolini, con il suo polimaterismo di ascendenza dada e surrealista, sembra rimandare direttamente alle prime sperimentazioni di Kurt Schwitters. Già a partire dagli anni Dieci questa sua vocazione internazionale si era sviluppata al di là del tradizionale rapporto con Parigi degli artisti italiani, concretizzandosi nelle amicizie con Piet Mondrian, Theo Van Doesburg, Georges Vantongerloo e molti altri protagonisti dell'avanguardia astratta europea.

La ricerca creativa prampoliniana, pur sconfinando dalla pittura al teatro, dalla scultura all'architettura, è sempre sostenuta da un costante impegno teorico: «L'aspetto quantitativo dei manifesti, degli scritti teorici e degli interventi polemici di Prampolini riflette anche la continua volontà di un confronto ideologico il quale assume rapidamente una dimensione europea: essi dunque permettono, oltre che di scandire le fasi dell'opera prampoliniana, di seguire i tempi di un'azione teorica che si è svolta a livello internazionale»17. La sua attività come portavoce di un'arte italiana pienamente integrata nell'avanguardia moderna europea non cessa neanche durante gli anni della seconda guerra mondiale, tant'è vero che nel 1944 pubblica il volumetto Arte polimaterica (verso un'arte collettiva?), nel quale riprende ancora i temi dei manifesti futuristi (binomio arte-vita verso la sintesi delle arti), ribadendone la validità per la nascita di una nuova era dell'avanguardia italiana dal carattere sovranazionale. La materia è vista nella sua dimensione spirituale, ma in contrasto con la visione turbolenta ed emotiva che, ad esempio, ne dà Leoncillo Leonardi nelle sue sculture coeve.

Eliminata la pittura figurativa, per Prampolini non c'è «altro mezzo di espressione artistica se non

16 Per un approfondimento specifico rimando a: C. GIAN FERRARI, E. PONTIGGIA, L. VELANI (a cura di), Arturo

Martini [catalogo della mostra], Skira, Milano, 2006.

l'arte polimaterica che può, virtualmente, partecipare alla vita dell'architettura funzionale senza violarne i presupposti teorici, le esigenze costruttive e i valori stilistici»18. Dunque, questo tipo di polimaterismo entra in collusione con l'interesse che da sempre Prampolini ha dimostrato per l'architettura (si veda, ad esempio, il suo manifesto Architetture spirituali del 1924), nel tentativo d'inglobare la lezione di Boccioni e Sant'Elia con le sperimentazioni architettoniche dei maestri del Movimento Moderno. Su questa scia va letta l'idea di orientare l'arte verso una prospettiva di utilità collettiva a sfondo etico, in cui, nel binomio funzionale tra polimaterismo e architettura, si possa concretizzare l'ideale futurista di fusione tra arte e vita.

La figura di Prampolini è importantissima per l'ambiente romano di quegli anni non solo per il suo essere un testimone diretto del primo futurismo, ma anche per la sua attività come organizzatore di eventi espositivi di respiro internazionale. Dopo gli anni della dittatura fascista la necessità prioritaria degli artisti italiani era di colmare lo svantaggio rispetto al contesto artistico europeo, riallacciandosi ai movimenti d'arte d'avanguardia. Nel solco di questo desiderio di apertura internazionale va letta la fondazione nel marzo 1945 dell'Art Club, associazione di artisti romani voluta proprio da Prampolini con l'intento di sostenere la pittura astratta, attraverso un continuo confronto con le più avanzate esperienze europee19. Grazie alle mostre che organizza, Prampolini si consolida come “operatore internazionalista dell'avanguardia” e permette ai giovani artisti romani di conoscere opere italiane e straniere di tendenza dichiaratamente moderna. Questa attività si accompagna a quella condotta da Palma Bucarelli alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, dopo la sua riapertura nel 194420.

Approfittarono di questo clima di rinnovamento i giovani artisti astratti che nel 1947 diedero vita al gruppo Forma 1 proclamandosi, nel loro primo manifesto, “formalisti e marxisti” in un periodo in cui le ricerche astratte per la maggioranza degli operatori culturali comunisti venivano giudicate come disimpegnate, o addirittura come forme subdole di propaganda anticomunista. Al ceppo romano di Piero Dorazio, Mino Guerrini e Achille Perilli (che, dopo lo scioglimento del gruppo nel 1951, animeranno la successiva esperienza della libreria-galleria L'Âge d'Or) sia affiancano i siciliani Carla Accardi, Pietro Consagra e Antonio Sanfilippo. Oltre a loro si uniscono al gruppo anche il genovese Ugo Attardi e il mantovano Giulio Turcato21.

18 E. PRAMPOLINI, Arte polimaterica (verso un'arte collettiva?), riportato in G. LISTA, Enrico Prampolini futurista

europeo, op. cit., p. 273.

19 Per un approfondimento su tutta l'opera di Prampolini rimando a: E. CRISPOLTI (a cura di), Prampolini dal

futurismo all'informale [catalogo della mostra], Carte Segrete, Roma, 1992. In particolare, per una ricostruzione della vicenda dell'Art Club e un'analisi della figura di Prampolini come promotore culturale, segnalo i saggi raccolti nel capitolo “L'esperienza «postcubista» (gli anni Quaranta)”.

20 Cfr. M. MARGOZZI (a cura di) Palma Bucarelli. Il museo come avanguardia [catalogo della mostra], Electa,

Milano, 2009.

21 Per un approfondimento completo sugli artisti di Forma 1 rimando a: G. DI MILIA (a cura di), Forma 1 1947-1986

Fra questi artisti non c'è una dichiarata volontà di confrontarsi con la dimensione ambientale ma alcuni di loro, continuando le ricerche sui linguaggi astratti anche dopo lo scioglimento del gruppo, arriveranno singolarmente a realizzazioni di questo tipo. Ad esempio, va ricordato come le “sculture frontali” di Pietro Consagra (Mazara del Vallo, Trapani, 1920 – Milano, 2005) si troveranno negli anni a confrontarsi con questo tipo d'impostazione spaziale allargata. Nel 1969, partendo dai cosiddetti Edifici frontali (edifici ideati come opere d'arte) e arrivando al progetto della Città frontale, Consagra svilupperà la sua critica “plastica” all'architettura funzionale. In una sorta di utopia umanistica, Consagra propone una suggestiva sintesi di scultura e urbanistica, perché l'artista, secondo lui, è già architetto, avendo superato la mera istanza funzionale e pratica della costruzione. L a Città frontale, “estensione provocatoria della scultura” su scala urbana, è descritta in ogni dettaglio e porta alla luce un'impostazione simile a quella che alcuni anni prima aveva guidato l'ideazione di un'altra città utopica, la New Babylon del situazionista Constant, di cui parleremo più avanti. Il parallelo sorge spontaneo leggendo le parole dello stesso Consagra: «Non si può vivere senza sperare in una Città differente. […] Non si può vivere senza sperare in una Città che non sia noiosa, opprimente, distruttiva, pietosa. Abbiamo più bisogno di Città che stimolino il piacere di vivere che di ritiri con la natura»22. Alla prova della realizzazione pratica le opere di Consagra che si svilupperanno in vere e proprie architetture – come quelle per Gibellina Nuova (Trapani) realizzate fra il 1976 e il 1984 (Meeting e l'incompiuto Teatro) – rimarranno sempre fortemente legate alla categoria della scultura, come si vede anche nell'intervento proposto per i Sassi di Matera nel 1978. Ma si tratta comunque di una scultura che, pur nella sua “frontalità”, tenta di presentarsi abitabile o almeno attraversabile, come nelle sue porte monumentali: Porta del Belice, anche conosciuta come Stella di Gibellina (1982), struttura in acciaio inox alta 28 metri che accoglie i visitatori della cittadina lungo la strada statale; Porta del Cremlino n. 10 (1990-92), struttura in marmo alta 8 metri, costruita a Briosco (Monza-Brianza); Porta di Giano (1996), struttura in ferro alta 6 metri, realizzata per la sua mostra antologica all'Accademia di Brera23.

Anche altri artisti di Forma 1, pur non partendo dalla scultura, si confronteranno nei decenni successivi con opere a dimensione ambientale. È il caso di Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014), che a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta trasferisce il suo segno pittorico su piccole architetture trasparenti realizzate con fogli di sicofoil (acetato di cellulosa), come Tenda (1965-66), che poi si svilupperà in ampiezza, grazie all'utilizzo di un telaio di perspex (materia plastica simile al plexiglass), con Triplice tenda del 1969-71. Nel 1967 l'artista siciliana realizza Il

22 P. CONSAGRA, La città frontale, De Donato, Bari, 1969, pp. 67-68.

23 Per un approfondimento completo sull'opera di Consagra rimando proprio al catalogo di questa mostra: G. M.

ACCAME, G. DI MILIA (a cura di), Pietro Consagra. Scultura e architettura [catalogo della mostra], Mazzotta, Milano, 1996.

Grande Ombrello, una scultura in sicofoil che poi confluisce in una costruzione d'ambiente più strutturata: Ambiente arancio (1966-68). In queste realizzazioni l'idea di fondo è quella di realizzare delle architetture mobili che non abbiano una relazione unilaterale con l'ambiente. In Casa Labirinto (1999-2000) la Accardi torna a utilizzare il perspex per realizzare un'architettura trasparente di grandi dimensioni, in cui ritrova l'abitabilità e la percorribilità delle sue Tende, scandendo la struttura con il ritmo simmetrico della decorazione pittorica24.

Anche a Milano nei primi anni del secondo dopoguerra si respira un clima d'apertura simile a quello romano, come testimoniato dal gruppo di giovani artisti di tendenza moderna riuniti prima nella Nuova secessione artistica poi nel Fronte Nuovo delle Arti e che, sotto questa etichetta, si presentarono alla Biennale di Venezia del 1948, ultimo evento prima dello scioglimento del gruppo25. Nonostante la brevità di queste esperienze e anche la contemporanea condanna del Partito Comunista Italiano per voce del suo segretario Palmiro Togliatti, la gran parte dei giovani artisti di tendenza moderna prosegue la sua ricerca senza lasciarsi condizionare dalla diatriba fra astrattisti e realisti. Come afferma Zambianchi: «Questa antitesi non è però in grado di registrare le due maggiori novità che si andavano affacciando nell'arte italiana fra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, rispettivamente a Roma e a Milano: l'arte cioè di Alberto Burri e Lucio Fontana»26.

La volontà di una ricostruzione della complessità delle ricerche d'avanguardia s'instilla in maniera diversa in Lucio Fontana (Rosario de Santa Fé, Argentina 1899 – Comabbio, Varese, 1968) e in Alberto Burri (Città di Castello, Perugia, 1915 – Nizza, Francia, 1995). Attraverso due percorsi personalissimi entrambi riprendono il filo delle ricerche multi-disciplinari dei futuristi, individuando una strada di sperimentazione (sia nei procedimenti che nei materiali) che li porterà ad allargare i confini dell'arte e diventare figure centrali nel panorama internazionale, riallacciando i rapporti fra l'arte d'avanguardia italiani e quella degli altri paesi. Per entrambi è fondamentale il confronto con Prampolini, di cui assimilano la concezione della materia come realtà extra-pittorica e anti-illusoria. Come ricorda Lista, l'eredità prampoliniana emerge sia nella concezione dello spazialismo di Fontana, «che aspira a superare la superficie epidermica della tela, a trovare un varco fisico nella materia capace di aprire un orizzonte mentale e una nuova prospettiva inedita», che nella ricerca materica di Burri, dove «la più alta vertigine dell'arte consiste proprio nella “discesa” in una materia avvolgente e fagocitante: discesa mentale e spirituale per Prampolini, drammatica e viscerale per

24 Per un approfondimento sull'opera della Accardi rimando a: L. M. BARBERO (a cura di), Carla Accardi: segno e

trasparenza [catalogo della mostra], Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI), 2011.

25 Cfr. L. M. BARBERO (a cura di), Il Fronte Nuovo delle Arti. L'arte italiana attraverso le avanguardie del secondo

dopoguerra, Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania, Cosenza, 1999.

Burri, ma pur sempre sintesi plastica di una catarsi intellettuale»27.

Alberto Burri, in quegli anni a cavallo del 1950, è vicino agli artisti non-figurativi che animeranno la brevissima esperienza del gruppo Origine: Giuseppe Capogrossi, Ettore Colla e Mario Balocco. Il suo interesse per le ricerche ambientali si concretizzerà solo nei decenni successivi quando approderà, passando attraverso una feconda fase di ricerca materica (Sacchi, Legni, Ferri, Plastiche) ai primi esperimenti spaziali sui Cretti, “pitture” acroviniliche monocromatiche a cui Burri si dedica assiduamente dal 1973 al 1976. Nel loro evolversi, i Cretti inseguono la dimensione ambientale, come vediamo nei grandi Cretti neri (15 x 5 metri) realizzati in ceramica per la University of California di Los Angeles (1977) e per il museo di Capodimonte (1978). Il passaggio dalla dimensione pittorica a quella plastico-costruttiva, addirittura con un'estensione territoriale, avverrà con la realizzazione di un'opera enorme (300 x 400 metri circa) e particolarissima: il Grande Cretto Gibellina, di cui parlerò approfonditamente in seguito. Ma l'esperienza di Burri con le opere ambientali non è circoscritta a questo episodio. Oltre alle monumentali strutture di alcuni Ferri (come il Grande Ferro Celle del 1986), bisogna ricordare almeno altre due importanti opere “architettoniche” in cui Burri elabora esperienze scultoree- spaziali legate al teatro: il Teatro Continuo, struttura all'aperto in cemento e acciaio dipinto, nel Parco Sempione a Milano per la XV Triennale del 1973 (demolito nel 1989 e ricostruito nel 2015) e il Teatro-Scultura presentato ai Giardini della Biennale di Venezia nel 198428.

Lucio Fontana è invece fin dai primi anni del dopoguerra coinvolto in ricerche che egli stesso definirà “spazialiste”. In queste è riscontrabile, al contrario di Burri, una volontà di smaterializzazione, una sorta di ossessione antimaterica che lo porterà a diventare un punto di riferimento per gli artisti italiani delle giovani generazioni che desidereranno distaccarsi dalla temperie dell'Informale, su tutti Piero Manzoni, come vedremo fra poco29.

27 G. LISTA, Enrico Prampolini futurista europeo, op. cit. p. 281.

28 Cfr. T. SARTEANESI, Burri architetto, in B. CORÀ (a cura di), Burri. Catalogo Generale, Tomo IV: Tempera,

disegno, architettura, scultura, teatro, scenografia. 1946-1994, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello (PG), 2015, pp. 98-107.

29 Per un approfondimento completo sull'opera di Fontana rimando a: E. CRISPOLTI (a cura di), Lucio Fontana.