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CAPITOLO I: DA “AMBIENTE/ARTE” AI “PARAPADIGLIONI” (1976-2011)

1. B76: la “nuova” Biennale fra arte, ambiente e partecipazione sociale

1.1 La presidenza di Ripa di Meana

Leggendo la presentazione che il presidente Carlo Ripa di Meana scrive per il Catalogo generale della Biennale di Venezia del 1976 è subito chiaro come questa edizione voglia marcare una differenza netta rispetto alle precedenti. La proposta culturale è molto ampia poiché, oltre alle solite partecipazioni nazionali, vengono realizzate altre dieci mostre storico-critiche, ospitate anche in spazi espositivi esterni rispetto a quelli canonici per la Biennale. Questa relazione contestuale con la città storica rientra fra gli obiettivi della riforma dell'Ente Autonomo della Biennale di Venezia che vede come primo presidente della “nuova” Biennale proprio Ripa di Meana, il quale orgogliosamente afferma: «Da Venezia è venuta una proposta di tendenza: Biennale aperta, progettuale e permanente. È accaduto che questa esperienza così marcata, questo giusto luogo dell'eccesso ha liberato una forte conflittualità, una polemica incessante che rivendichiamo come creativa, non circoscritta al solo ring della critica e degli autori ma capace di scuotere l'opinione pubblica più lontana fino a farne, come è stato scritto le premier symptôme»5. In questo modo l'ente, come sottolinea Francesca Zanella, «affronta un indubbio onere, non solo organizzativo ed economico, per sostenere un'articolazione di rassegne che “invadono” le strutture della città, ma si fa carico anche di un considerevole impegno critico per affrontare temi della ricerca storica per i quali, in questi anni, si inizia a richiedere una riflessione all'interno di un territorio che si è arricchito di contributi»6.

La dura contestazione alla “Biennale dei padroni” nel giugno 1968, in cui c'erano state cariche della polizia contro studenti e artisti contestatori (su tutti Emilio Vedova), aveva lasciato crepe evidenti, mettendo in chiaro come fosse necessario un aggiornamento del vecchio organismo imbalsamato in un modello espositivo superato. Già dal 1969 si iniziò a lavorare a una necessaria idea di rinnovamento per le successivi edizioni: si chiuse l'ufficio vendite e si decise di non

modello espositivo. La Biennale di Venezia come entità nel tempo” a firma di Vittoria Martini (pp. 41-66), la studiosa riprende la sua precedente tesi di dottorato: V. MARTINI, Biennale di Venezia 1968-1978: la rivoluzione incompiuta, Tesi di dottorato di ricerca in Storia dell'architettura e della città, scienze delle arti, restauro (XXII ciclo). Relatore Prof. Carlos Basualdo. Università Ca’ Foscari, Venezia. Anno accademico 2010/2011.

5 C. RIPA DI MEANA, Presentazione, in B76. La Biennale di Venezia. Settore arti visive e architettura. Catalogo

generale. Ambiente Partecipazione Strutture culturali [catalogo della mostra], Edizioni “La Biennale di Venezia”, Venezia, 1976 (2 voll.), vol. I, p. 9.

6 F. ZANELLA, Esporsi. Architetti, artisti e critici a confronto in Italia negli anni Settanta, Scripta, Verona, 2012, p.

assegnare più i premi, che torneranno ad essere assegnati solo nel 1986 su decisione di Maurizio Calvesi. Nel dicembre 1969 la Biennale convocò i commissari dei paesi proprietari dei padiglioni per collaborare allo scambio di idee per il programma dell'edizione del 1970. Secondo Vittoria Martini, «coinvolgere i commissari stranieri nella discussione era un segnale di apertura importante verso la volontà di superamento dei limiti strutturali congeniti dell'istituzione»7. Fu durante quella riunione che, per cercare di combattere la dispersività delle varie proposte nazionali e raggiungere una coerenza di fondo per tutto l'evento (ormai diventato una “mostra di mostre”), nacque la proposta di conferire un tema unificante all'esposizione centrale, un tema “largo ed elastico” al quale avrebbero dovuto aderire anche le partecipazioni nazionali. Ma, nonostante gli sforzi, la Biennale si trovò nell'impossibilità d'imporre questo tema a cui attenersi e si limitò a suggerirlo. Dunque la scelta di un tema generale applicato alle edizioni del 1970 e del 1972 non risolse la gravissima crisi istituzionale e d'identità della Biennale, impossibile da dipanare senza un radicale cambiamento del suo statuto, fermo a una legge del periodo fascista8.

Il nuovo ordinamento dell'ente autonomo “La Biennale di Venezia” venne approvato dal Parlamento italiano solo il 26 luglio 1973 con la legge n. 438 in cui, fin dall'Articolo 1, si accoglievano dichiaratamente le istanze della contestazione sessantottina: «L'ente ha personalità giuridica di diritto pubblico e sede in Venezia. Esso è istituto di cultura democraticamente organizzato e ha lo scopo, assicurando piena libertà di idee e di forme espressive, di promuovere attività permanenti e di organizzare manifestazioni internazionali inerenti la documentazione, la conoscenza, la critica, la ricerca e la sperimentazione nel campo delle arti. L'ente agevola la partecipazione di ogni ceto sociale alla vita artistica e culturale e può organizzare e gestire manifestazioni in collaborazione con enti e con istituti italiani e stranieri. L'ente favorisce altresì la circolazione del patrimonio conservativo della Biennale presso istituzioni e associazioni culturali, scuole e università»9.

Il nuovo ordinamento garantiva finalmente una Biennale “aperta e progettuale”, fondata sulla sperimentazione metodologica, grazie anche all'abolizione nominale dei diversi Festival a essa

7 F. MARTINI, V. MARTINI, Just Another Exhibition, op. cit., p. 49.

8 Vittoria Martini propone il confronto fra la Biennale del 1972 (che aveva come tema “Opera o comportamento”) e

l'edizione di Documenta 5 dello stesso anno: «Quell'anno a Kassel la mostra era stata affidata a un commissario unico, Harald Szeemann, che decise di abbandonare il criterio internazionale di una selezione di opere che si basasse sulla loro qualità e rilevanza, per una che dipendeva da un tema generale da lui formulato. Il tema a Documenta era diventato un vero e proprio argomento di ricerca, mentre a Venezia sembrava essere servito soltanto a dare un'idea di coerenza alla mostra, ma la ricerca era assente» (F. MARTINI, V. MARTINI, Just Another Exhibition, op. cit., p. 50). Tanto che Gillo Dorfles parlando della Biennale del 1972, scriveva: «Non esiste un vero filo conduttore nella Biennale; la contrapposizione “opera e comportamento” è solo uno slogan di comodo» (G. DORFLES, Inviato alla Biennale. Venezia: 1949-2009, Libri Scheiwiller, Milano, 2010, p. 379).

9 La legge che sancisce il nuovo ordinamento viene pubblicata dalla stessa Biennale di Venezia in un opuscolo che

apre la serie di pubblicazioni della collana “La Biennale di Venezia/Documenti”, operazione che contraddistingue il periodo di presidenza di Ripa di Meana. Sempre in questa collana verrà ristampato nel 1977 con l'aggiunta delle modifiche introdotte nell'ordinamento dalla Legge 13 giugno 1977, n. 324.

collegati (arte, cinema, teatro, musica). Eppure bisognò aspettare molti mesi perché la macchina della nuova Biennale si mettesse in moto. Solo nel marzo del 1974 tutti e diciotto i membri del nuovo Consiglio direttivo – una vera e propria “lottizzazione”, come la definisce Enzo Di Martino10 – vengono nominati dai vari partiti politici. Durante la seduta d'insediamento del Consiglio direttivo (20 marzo 1974), Carlo Ripa di Meana, socialista, viene eletto presidente, mentre dieci giorni più tardi Floris Luigi Ammannati, democristiano ed ex soprintendente al Teatro La Fenice, viene nominato segretario generale. Ma è solo il 18 maggio 1974 che si tiene la prima riunione pubblica del Consiglio direttivo in cui s'inizia a redigere un piano di massima per l'attività del quadriennio di nomina11. Il 25 giugno il Consiglio direttivo all'unanimità nomina i direttori di settore, che erano stati ridotti a tre: Vittorio Gregotti per il settore “Arti visive e Architettura”, Giacomo Gambetti per il settore “Cinema e Spettacolo Televisivo” e Luca Ronconi per il settore “Teatro e Musica”. E, alla fine, il 12 luglio 1974 viene finalmente approvato all'unanimità dal Consiglio direttivo un piano quadriennale di massima delle attività e delle manifestazioni dal 1974 al 1977.

L'idea era quella d'impostare il lavoro di ogni settore secondo una metodologia per progetti, ma essendo già piena estate, il settore Arti visive e Architettura non aveva evidentemente più tempo per organizzare l'edizione della Biennale prevista per il 1974. Ripa di Meana propose una formula particolare per risolvere la questione. Dato che la nuova Biennale aveva preso il via con forti connotati politici, il Consiglio direttivo non poteva ignorare i drammatici fatti cileni di quei mesi successivi al colpo di stato del generale Augusto Pinochet, che l'11 settembre 1973 aveva rovesciato il governo del socialista Salvador Allende, nonché gli attentati neofascisti a Piazza della Loggia a Brescia e sul treno Italicus (28 maggio e 4 agosto 1974). Con una decisione clamorosa, anche dettata realisticamente dai ritardi nelle nomine, si decise di dedicare l'intera edizione della Biennale del 1974 al Cile (e all'antifascismo, in generale) con manifestazioni artistico-politiche diffuse in città anziché organizzate nella classica sede dei Giardini di Castello. Il 31 agosto 1974 il Consiglio direttivo approvò il programma generale di queste manifestazioni che si tennero fra ottobre e novembre. Per l'inaugurazione del 5 ottobre a Palazzo Ducale venne invitata anche Ortensia Allende, vedova del presidente assassinato durante il colpo di stato di Pinochet, e fu organizzato un convegno internazionale di testimonianze sul fascismo. Fu una Biennale particolare a cui non venne nemmeno assegnato il numero romano progressivo di ogni edizione. Non fu neanche stampato il catalogo, che fu sostituito da una serie di fascicoli scritti a macchina e raccolti sotto il titolo Per una cultura democratica e antifascista12.

10 E. DI MARTINO, La Biennale di Venezia 1895-2013. Arti visive, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro,

Papiro Art, Torino, 2013, p. 69.

11 Nello specifico si veda il verbale conservato presso l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee (di seguito ASAC),

b. 4311 – fascicolo “I^ R.P. C.D. 18-19/5/74 (I parte)” (ultima consultazione: 21 luglio 2016).

Fra le manifestazioni più interessanti del 1974 va ricordata la performance-spettacolo Che cosa è il Fascismo di Fabio Mauri, realizzata con la Compagnia del Teatro Universitario di Ca' Foscari in un tendone a Campo San Polo. Si trattava di un'“azione ideologica”, già presentata a Roma nel 1971, basata sulla ricostruzione di una cerimonia di ludi juveniles d'epoca fascista. In uno scenario essenziale in cui campeggiava, al centro, un grande tappeto rettangolare recante il simbolo della svastica nazista, l'apparente normalità degli eventi e la presenza di simboli negativi (come la scritta “THE END” sullo schermo bianco alle spalle del podio di comando) doveva, secondo Mauri, generare nello spettatore un senso di inquietudine progressiva, destinato all'individuazione e alla messa al bando delle false ideologie.

Per evitare altri ritardi, nella stessa estate del 1974 si lavora parallelamente già per la Biennale successiva, tanto che il 31 luglio viene fissato il primo incontro, dopo oltre due anni, con i rappresentanti dei paesi stranieri per iniziare a delineare con largo anticipo l'edizione del 1976. Il 30 agosto 1974, durante la decima riunione del Consiglio direttivo, Gregotti si proietta già al biennio 1975-76 ma senza tralasciare questioni più generali: «È dell'opinione che il problema non sia di pensare a pubblici nuovi, ma di pensare in termini di nuova cultura, che deve nascere da un rapporto dialettico diverso, più ampio»13. Come abbiamo visto, questa apertura culturale viene avallata anche dal settore Teatro che, dopo Mauri a Campo San Polo, nel novembre 1974 decide di portare il teatro in altri tre luoghi della città: il Petrolchimico di Marghera, gli ex Cantieri Navali della Giudecca e il Tendone di Piazzale Candiani a Mestre. Per l'occasione la Cooperativa “Teatroggi” di Roma fu invitata a lavorare sulla riscrittura di Giorgio Manganelli dell'Otello di Shakespeare, per la regia di Gianni Serra14.

Nel 1975 il discorso di allargamento partecipativo proseguì, come risulta evidente dalle scelte del settore Arti visive e del settore Teatro che allargarono anche l'ambito territoriale degli eventi, secondo quella logica di “decentramento culturale” che informerà tutto il quadriennio della presidenza di Ripa di Meana, dando vita a una politica di recupero degli spazi urbani dismessi e d'integrazione di spazi pubblici. Due lettere dello stesso Ripa di Meana ai tre direttori di settore sono interessanti per capire questo nuovo intento progettuale. Nella prima (21 settembre 1974), il presidente stende un decalogo per «precisare il più possibile l'area di responsabilità dei Direttori di settore in rapporto con lo svolgimento del lavoro di preparazione e di gestione delle manifestazioni affidato agli uffici dell'ente». Nella seconda (7 febbraio 1975) richiede a tutti e tre i direttore di settore una presenza settimanale a Venezia per poter discutere in maniera prolifica delle prospettive

Berlinguer aveva iniziato a proporre la linea del “compromesso storico”, con l'obiettivo di creare un governo che raccogliesse le forze popolari democratiche e antifasciste.

13 ASAC, b. 4392 – fascicolo “X riunione del consiglio direttivo – 30 agosto”.

14 Cfr. B. BINI, L. MAMPRIN, L. PERISSINOTTO, Fabbrica quartiere teatro: Otello a Marghera, Gruppo

della Biennale 1975-7615. Dunque, per tutto il 1975 Ripa di Meana e Gregotti lavorano già su B76, viaggiando molto, ma cercano anche di dare attuazione alle indicazioni contenute nel nuovo statuto, dove si parlava di attività permanenti sul territorio16. Il nuovo ruolo dell'ente come istituto pubblico di cultura imponeva di uscire dalle cerchie degli addetti ai lavori: risultato fu un vasto programma d'iniziative, raccolte sotto il titolo La Biennale: un laboratorio internazionale, il cui programma venne approvato dal Consiglio direttivo il 16 gennaio 1975, con manifestazioni da maggio a dicembre, anche se quelle più importanti furono concentrate fra settembre e ottobre 1975. La scelta di raccogliere le diverse iniziative sotto il titolo “un laboratorio internazionale” era dovuta al fatto che alle manifestazioni si accompagnava un lavoro di dibattito, sperimentazione e ricerca, aperto a critici e pubblico.

In particolar modo le iniziative del settore Teatro realizzarono a pieno il senso di apertura della nuova Biennale, tanto che al pubblico fu data la possibilità anche di assistere gratuitamente alle prove degli spettacoli, per lo più realizzate in spazi insoliti e anche in alcuni “campi” della città, come già nel 1974. A questo proposito il regista Luca Ronconi (1933-2015) e i membri della commissione Teatro (Renzo Tian, Gerardo Guerrieri, Gian Renzo Morteo, Mario Raimondo, Bernardo Dort) impostarono un grande lavoro di ricerca (visita di vari festival internazionali, documentazione sul lavoro delle compagnie, raccolta di materiali informativi sugli spettacoli)17.

All'ASAC è conservata una fitta corrispondenza dell'ufficio di Ronconi con le diverse compagnie invitate per la definizione degli spettacoli/laboratori e dei relativi contratti (fittissima quella con Jerzy Grotowski per il 1975, ad esempio), nonché con gli uffici tecnici per l'organizzazione pratica degli spettacoli (richiesta materiali scenici, allestimento, ecc...) e i proprietari degli spazi scelti per ospitarli18. Ed è interessante, per capire come stava lavorando in maniera organica il settore Teatro, scoprire fra queste lettere quella che il segretario Paolo Radaelli invia a Carmelo Bene il 3 aprile

15 Entrambe le lettere sono conservate in: ASAC, fondo storico settore teatro, b. 076 – fascicolo “Presidente”. Stesso

clima collaborativo compare dalle lettere di Luigi Floris Ammannati ai direttori di settore, come quella indirizzata a Ronconi (11 marzo 1975) in cui il segretario generale chiede a Ronconi un incontro per coordinare il lavoro del settore teatro «in uno spirito di ampia e cordiale collaborazione» (ASAC, fondo storico settore teatro, b. 076 – fascicolo “Segretario Generale”).

16 ASAC, b. 3026 – fascicolo 163: Settore Arti Visive – Memoria Attività 1975.

17 Luca Ronconi (1933-2015), nato a Susa (Tunisia), si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma nel 1953

ed esordisce come attore in Tre quarti di luna di Luigi Squarzina. Attore in spettacoli di Orazio Costa, Giorgio De Lullo e Michelangelo Antonioni, inizia nel 1963 a lavorare come regista con la compagnia di Corrado Pani e Gianmaria Volontè. A portarlo al successo internazionale è la straordinaria e fortunatissima messa in scena dell’Orlando Furioso di Ariosto, nella riduzione elaborata da Edoardo Sanguineti (prima rappresentazione il 4 luglio 1969 nella Chiesa di San Niccolò di Spoleto, in occasione del Festival dei Due Mondi). La nomina a direttore del settore Teatro alla Biennale di Venezia è la prima di una lunga serie di nomine istituzionali che riceverà nei decenni successivi.

18 ASAC, fondo storico settore teatro, b. 076 – fascicolo “Censimento luoghi teatrali”: documento manoscritto che

presenta un censimento di possibili “luoghi teatrali”, anche non convenzionali, nel centro storico e in terraferma da utilizzare per le manifestazioni del 1975. A questi “appunti di lavoro” va aggiunta una grande mole di documenti per gli uffici amministrativi (preventivi, consuntivi, incassi, saldo spese effettuate per affitti, compagnie, maestranze, ecc.) tutti sempre conservati all'ASAC.

1975. Qui Radaelli comunica a Bene che, su decisione di Ronconi, il suo spettacolo non sarà inserito nelle manifestazioni di quell'anno: «Questo perché, come tu sai, la rinnovata Biennale tende a progettare la sua programmazione e, non come si faceva una volta, a presentare in “anteprima” gli spettacoli anche se sono interessanti dal punto di vista culturale e qualitativo»19.

Fra le manifestazioni più importanti del settore Teatro per il 1975 vanno ricordati gli spettacoli del Living Theatre, che trasformarono in spazio scenico Piazza San Marco, l'ex chiesa di San Leonardo e il campo antistante, e Apocalypsis cum figuris di Jerzy Grotowski, allestito nell'isola di San Giacomo in Paludo. La scelta di accostare questi due grandi nomi dell'avanguardia teatrale internazionale non è casuale poiché sia Grotowski che il Living, pur attraverso metodi diversi, erano entrambi giunti al superamento del teatro come spettacolo, per focalizzarsi su delle realizzazioni che avessero come fine un mutamento sociale nel pubblico.

Il Living era già stato invitato alla Biennale Teatro del 1965 dove, al Teatro La Perla del Lido, aveva presentato in anteprima assoluta Frankenstein (vietato ai minori di 18 anni, come indicato sulla locandina). Per il 1975 la compagnia di Julian Beck e Judith Malina presentò La trilogia: L'Eredità di Caino. La prima parte, Sei atti pubblici per tramutare la violenza in concordia, fu presentata a Piazza San Marco, come uno spettacolo itinerante, in cui vari punti della piazza e di alcune calli circostanti furono trasformati nelle varie “case” dove si svolgeva l'azione, come ad esempio la “Casa della Morte” al Palazzo della Borsa in Calle Larga XXII marzo. Le altre due parti della trilogia (Sette meditazioni sul sadomasochismo politico e La torre del Denaro) furono messi in scena nel Campo e nella Chiesa di San Lorenzo.

Nonostante la risonanza delle azioni del Living, a detta dello stesso Ronconi, il cuore di tutto il ciclo di manifestazioni fu, però, il “Progetto speciale Jerzy Grotowski”, articolato in una serie di stage e incontri fra i membri del suo Teatr Laboratorium di Wroclaw in Polonia e il pubblico veneziano, che potè anche assistere alla messa in scena dell’ultimo spettacolo realizzato da Grotowski prima della sua decisione di smettere con la produzione teatrale. Apocalypsis cum figuris, che aveva debuttato nel 1969 a Wroclaw, trasformò l'Isola di San Giacomo in Paludo in una sorta di Isola dei morti alla Arnold Böcklin, spazio perfetto per rappresentare un'apocalisse “povera” in cui a citazioni bibliche si accompagnavano rimandi ad autori diversi come Fëdor Dostoevskij, T. S. Eliot e Simone Weil.

Tornando all'ex chiesa di San Lorenzo, qui fu ospitato anche Frammenti di una trilogia (Elettra, Troiane e Medea) da Sofocle, Euripide e Seneca, realizzato dalla compagnia di New York La Mama Repertory Company. Nella stessa chiesa Meridith Monk tenne un laboratorio, mentre il suo spettacolo Education of the girlchild, messo in scena dalla sua compagnia newyorkese The House,

si tenne agli ex Cantieri Navali alla Giudecca. Anche qui l'accostamento non è casuale perché sia La Mama che The House avevano sviluppato una ricerca sui temi della vocalità, della musicalità e del movimento verso un'idea di teatralità totale.

In generale, questa ricerca di un nuovo concetto di spettacolo (e di spazio scenico), che approfondiva le idee di happening e performance, accomunava il lavoro di tutte le compagnie invitate per il Laboratorio internazionale del 1975. A questo proposito, gli ex Cantieri della Giudecca ospitarono anche un laboratorio di Eugenio Barba dell'Odin Teatret e la primissima rappresentazione di Utopia, spettacolo di Ronconi ispirato ad alcuni testi di Aristofane, realizzato con la compagnia “Cooperativa Tuscolano” di Roma e presentato a ingresso libero. Fra gli spettacoli che si svolsero nei “campi” va ricordato anche L'Âge d'or, creazione collettiva presentata a Campo San Trovaso dal Théatre du Soleil, compagnia parigina di Ariane Mnouchkine.

Per ognuna di queste iniziative del settore Teatro viene stampato un opuscolo a cura di Dario Ventimiglia. Su tutti compare un titolo comune: La Biennale. Un laboratorio internazionale. La stessa dicitura compare anche sui cataloghi delle mostre “Le Macchine Celibi” e “A proposito del Mulino Stucky”, organizzate dal settore Arti Visive e Architettura, sempre nel 1975.

L'enorme mole di lavoro che il settore Teatro dovette sobbarcarsi per ospitare questi importanti spettacoli dell'avanguardia teatrale internazionale, che furono accompagnati da altri eventi più