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CAPITOLO II: REPERTORIO DI OPERE DI RIFERIMENTO (1976-2011)

1. Le sperimentazioni ambientali dei futuristi

Seguendo un progetto di “sintesi delle arti” i futuristi cercavano di fondere l'arte e l'ambiente in un'atmosfera di energia simultanea che si opponesse alla separazione fra oggetto e contesto, fra arte e vita. In questo senso, come ricorda Germano Celant, «lo spazio diventa “campo” o luogo di pieno e di vuoto dinamici, in cui gli artisti futuristi cercano di immergersi per renderlo materiale pulsante e vitale»1. All'inizio della loro ricerca, l'obiettivo dei futuristi è arrivare a una fusione plastico- visuale tra oggetto e ambiente, dove i confini lineari fra oggetto e atmosfera concreta dell'ambiente si dissolvono in quella che, nel Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912, Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Chievo, Verona, 1916) definisce “scultura d'ambiente”2. Da queste prime dichiarazioni teoriche alle vere e proprie progettazioni ambientali il passo è breve, poiché nel “campo di energie” che i futuristi definiscono come ambiente si vanno a inserire anche gli spettatori che, secondo il loro famoso motto, vanno posti al centro del quadro: «Collocarli al centro, significa quindi farli agire, secondo un impulso partecipativo che non è solo contemplativo, ma psicomotorio. L'ambiente futurista non va allora visto solo come immagine costruita e statica o insieme di piani e figure, ma come spazio agito e agente»3.

In tale alveo vanno cercate le radici teoriche dell'architettura futurista di Antonio Sant'Elia (Como, 1888 – Monfalcone, Gorizia, 1916), autore non solo del Manifesto dell'architettura futurista (1914), ma anche di una serie di progetti in cui illustra la sua idea utopica e visionaria di Città nuova, esaltando i nuovi materiali e le nuove tecniche di costruzione4. I suoi progetti, pur cristallizzati in un presente continuo, influenzeranno le progettazioni ambientali realizzate dagli

1 G. CELANT, Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, op. cit., p. 8.

2 Per questo e per gli altri manifesti futuristi qui citati rimando a: V. BIROLLI (a cura di), Manifesti del futurismo,

Abscondita, Milano, 2008.

3 G. CELANT, Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, op. cit., p. 8.

artisti futuristi, in particolare quelle di Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958) e del suo giovane allievo Fortunato Depero (Fondo, Trento, 1892 – Rovereto, Trento, 1960), ma anche di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956) e Ivo Pannaggi (Macerata, 1901 – Macerata, 1981), più vicini a un'estetica della macchina d'influenza neoplastico-costruttivista. Sono sperimentazioni che spesso non vanno al di là dell'arredamento e della decorazione di ambienti dati, secondo modalità artigianali pensate per una piccola élite borghese, ma sono comunque fondamentali per comprendere i primi passi della procedura costruttiva di opere d'arte a dimensione ambientale, in cui il rapporto tra spazio e osservatore inizia a deformarsi occupando anche la dimensione temporale poiché, come afferma Anna Barbara, per i futuristi «i corpi e gli spazi non erano sculture, ma volumi dinamici, tensioni, flussi, muscoli»5.

Giacomo Balla, già nel 1912, mette in atto un chiaro esempio di sintesi ambientale futurista quando è invitato dalla sua ex allieva Margherita (Grethel) Kahn Speyr, che aveva da poco sposato il violinista Arthur Löwenstein, a decorare alcuni ambienti della villa che la coppia aveva a Düsseldorf. Dell'intervento rimangono solo due fotografie relative alla sala-studio della villa in cui la decorazione è impostata secondo linee ortogonali ancora legate a statici schemi cartesiani, non accomunabili alla forza ottico-cinetica delle sue Compenetrazioni iridescenti, tanto che Fabio Benzi ne parla in questi termini: «La sostanza del futurismo di Balla, alieno ancora da cunei iridescenti o da curve di velocità, è di un'ortogonalità certamente antidinamica»6. Seppure l'ambiente non manchi di una certa simultaneità di visione, la modernità dell'insieme sembra ancora legata a moduli Jugendstil. La fluttuazione cromatica e ottica dell'oggetto sarà, invece, parte integrante di tutti i progetti architettonici successivi di Balla, in cui vengono a inserirsi anche elementi luminosi artificiali, come nei suoi Progetti di arredamento futurista, il cui scopo è creare una “futur-realtà”. Nel 1915 Balla e Depero firmano il fondamentale manifesto Ricostruzione futurista dell'universo, in cui, come scrive Ada Masoero, «i due si avventuravano ben oltre i rigidi confini tracciati da Boccioni e Sant'Elia, che circoscrivevano l'intervento del futurismo entro il perimetro delle sole arti “maggiori” (pittura, scultura, architettura), per fecondare l'intera realtà con i nuovi principi e rifondarla in una dimensione inedita, legata alle innovazioni della contemporaneità e connotata da una forte spinta ottimistica verso il futuro»7. La trasversalità degli ambiti d'interesse in Balla è testimoniata dalle scene che progetta nel 1916 per Feu d'artifice di Stravinsky, organizzato dai “Ballets Russes” di Diaghilev e messo in scena nel 1917 al teatro Costanzi di Roma.

Al mondo del teatro si possono ricondurre anche i primi esperimenti ambientali di Depero e

5 A. BARBARA, Sensi, tempo e architettura, op. cit., p. 25.

6 F. BENZI, Giacomo Balla. Genio futurista, Electa, Milano, 2007, p. 72.

7 A. MASOERO, “Futur-realtà”: arte e ambiente nell'opera di Balla, in G. LISTA, P. BALDACCI, L. VELANI (a

Prampolini che partono da un'attenzione particolare per la scenografia. A questi vanno aggiunti, nei primi anni Venti, anche i “balletti meccanici” di Pannaggi e Vinicio Paladini. Molto spesso, dunque, la ricerca ambientale dei futuristi non è utilitaristica, ma si risolve nel divertissement: a differenza delle avanguardie sovietiche, tedesche ed olandesi, i futuristi non riescono a trasformare la loro pratica in una prassi sociale, limitando la ricerca ambientale a specifici luoghi e momenti. C'è un legame particolare con i cafè-cabaret per cui, negli anni Venti, troviamo diversi progetti futuristi. A questo richiamo non sarà estraneo nemmeno Balla, come testimoniato dalla realizzazione nel 1921 dell'ambiente “totale” del Bal TicTac, un locale “per balli notturni” nel centro di Roma, recentemente riscoperto. Sempre a Roma, fra la fine del 1921 e i primi mesi del 1922, Depero realizza il Cabaret del Diavolo, originale decorazione ambientale commissionatagli da Gino Gori per un locale nei sotterranei dell'Hotel Élite et des Étrangers. Inaugurato da Marinetti il 19 aprile 1922, l'ambiente trasforma scenograficamente le cavità sotterranee del cabaret in delle rappresentazioni tridimensionali di Paradiso, Purgatorio e Inferno. Le decorazioni e gli arredi, realizzati in collaborazione con ditte specializzate (come quella di Carlo Lovisi, falegname di fiducia di Depero), cambiano a seconda dell'ambientazione: il Paradiso è caratterizzato dal colore azzurro e da un'illuminazione bianca, rosa e azzurrina; nel Purgatorio prevale il verde, esaltato da un'illuminazione bianca e verde; l'Inferno è costituito da arredi neri rischiarati da luci rosse. Ma, come ricorda Maurizio Scudiero, «il progetto per il cabaret, però, non si limitava all'arredo, Depero vi aveva inserito anche le sue prime idee teatrali in fatto di cromatismo pittorico e luminoso»8. Insieme ai mobili, Depero progetta, con l'utilizzo di circa trenta burattini, dei veri e propri allestimenti teatrali, abbastanza complessi: Il forno dei dannati, La scalinata degli angeli e Il paradiso terrestre. Dunque lo spazio non è inteso in maniera statica, ma il dinamismo non è dato solo dall'utilizzo di macchine luminose e da espedienti scenografici, come gli angeli in volo: tutto l'ambiente funziona da scenario per l'attività psicomotoria dello spettatore che, percorrendo a ritroso il cammino dantesco, oscilla in un'atmosfera magica, sospesa fra il reale e l'immaginario.

Depero aveva inaugurato già nel 1919 a Rovereto (Trento) la Casa d'Arte Futurista, il cui intento, rispetto alle ambientazioni precedenti, effimere e artigianali, era «quello di creare un centro di produzione semindustriale, che seguendo forse le indicazioni del Werkbund e dei prodromi del Bauhaus, potesse corrispondere alle idee di un'arte meccanica, meno dinamica ed organica, ma più funzionale e geometrica»9. Si tratta di un progetto simile a quello della Casa d'Arte Italiana che, sempre nel 1919, Prampolini fonda a Roma insieme al critico Mario Recchi, con lo scopo di creare un centro di attività estetiche informate ai criteri della massima modernità, anche per quanto

8 M. SCUDIERO, Depero: l'uomo e l'artista, Egon, Rovereto (TN), 2009, p. 234. 9 G. CELANT, Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, op. cit., p. 12.

riguarda le arti applicate (soprattutto arredamento d'interno e scenografia). Seppur interessato alla dimensione ambientale, uno dei pochi progetti architettonici realizzati da Depero fu lo “Stand Bestetti Tumminelli e Treves” in occasione della Terza Mostra Internazionale delle Arti Decorative di Monza del 1927. Anche i progetti ambientali di Prampolini non si concretizzarono molto spesso in costruzioni reali, nemmeno quelli relativi alla scenografia: si veda, ad esempio, il modellino del Teatro magnetico, presentato nel 1925 all'Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi, che per Giovanni Lista, «traduce il mito della “scenotecnica” in quanto espressione immediata dell'arte meccanica»10.

Dimostra lo stesso interesse per l'arte meccanica ma è molto più coinvolto nella progettazione architettonica, invece, Pannaggi. Fra i suoi progetti d'interni e arredamento futurista il più importante è quello per Casa Zampini del 1925-26. Sul finire del 1925 l'industriale Erso Zampini affida al giovane artista l'incarico di realizzare l'arredamento completo delle quattro stanze principali della sua abitazione a Esanatoglia (Macerata). Come scrive Roberta Luciani: «Il risultato è una provocazione coinvolgente: una “architettura interna” di significativa e vivissima ispirazione neoplastica»11. La serie di piani verticali e orizzontali laccati in nero, rosso e bianco definiscono lo spazio secondo un gusto freddo, quasi concettuale. Lo stesso gusto, riconducibile al razionalismo nordeuropeo, possiamo ritrovarlo anche nei suoi successivi progetti architettonici: «Da artista- architetto Pannaggi sembra più attratto dalla filosofia, che dalla sensorialità delle forme. I piani, che costituiscono i singoli elementi, sono allora concretizzati attraverso materiali freddi, quali marmi e metalli, eliminano da sé ogni materialità, e con l'uso delle lacche ogni “tattilità” quasi a voler far emergere più che i risultati, il calcolo e l'astrazione teorica»12.

Nella lunga lista di variazioni ambientali futuriste va segnalato un episodio particolare, quello della Casa d'Arte Bragaglia. Anton Giulio Bragaglia, che già nel primo decennio del secolo aveva portato avanti i suoi esperimenti sul fotodinamismo per poi legarsi al futurismo, nel 1918 inaugura la sua casa-galleria di Roma con una mostra di Balla. Nei dodici anni di attività della Casa d'Arte, prima nella sede di Via dei Condotti (1918-21) e poi in quella di Via degli Avignonesi (1922-30), vennero organizzate 163 mostre d'arte che spesso si risolsero in vere e proprie realizzazioni ambientali realizzate da artisti e architetti. Nascono così opere ambientali di Balla, Prampolini, Pannaggi e altri che plasmano futuristicamente e trasformano in forme sintetiche gli ambienti della casa13.

10 G. LISTA, Enrico Prampolini futurista europeo, Carocci, Roma, 2013, p. 149.

11 R. LUCIANI, IP: un'architettura vitale in una vita per l'architettura, in E. CRISPOLTI (a cura di), Pannaggi e

l'arte meccanica futurista [catalogo della mostra], Mazzotta, Milano, 1995, pp. 121-148, p. 123.

12 G. CELANT, Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, op. cit., p. 15. È interessante notare che l'anticamera di

Casa Zampini sia fra le ricostruzioni proposte nella prima parte della mostra “Ambiente/Arte”.