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Gli studi di Germano Celant, Adachiara Zevi e Francesco Poli

CAPITOLO II: COMPRENDERE L'ARTE INSTALLATIVA

1. Stato dell'arte (installativa): studi italiani

1.1 Gli studi di Germano Celant, Adachiara Zevi e Francesco Poli

Fra i pionieri degli studi sull'arte ambientale troviamo Germano Celant, citato in tutte le pubblicazioni internazionali sull'installazione ambientale fin qui analizzate. Egli, pur rimanendo una figura di riferimento per questo tipo di studi, non si è mai dedicato a una pubblicazione onnicomprensiva, se si esclude il pionieristico volume Ambiente/Arte pubblicato nel 1977 a seguito della mostra da lui curata alla Biennale di Venezia dell'anno precedente, di cui parleremo ampiamente in seguito2. L'importanza di Celant è data dal fatto che fin dalla seconda metà degli anni Sessanta i suoi studi tengono collegata l'Italia al panorama internazionale, in special modo statunitense (non solo rispetto all'Arte Povera, ma anche, ad esempio, rispetto all'Architettura Radicale). Pur in una gamma d'interessi variegata l'attenzione per l'installazione ambientale lo ha

1 E. QUINZ, Il cerchio invisibile, op. cit., p. 19.

accompagnato negli anni, come dimostra il saggio A visual Machine: Art Installation and its Modern Archetypes pubblicato nel catalogo di Documenta 7 del 19823. A partire dagli anni Ottanta, Celant ha poi curato tutta una serie di cataloghi di mostre e monografie di artisti (non solo legati all'Arte Povera) che si sono occupati in vario modo di installazione ambientale, e vedremo il suo nome ritornare più volte nella bibliografia su cui è costruita la Terza Parte della tesi. Accanto a queste grandi pubblicazioni, l'interesse di Celant si è anche espresso sia con articoli su riviste specializzate (“Architettura, arte, ambiente”, 20044) che con la curatela di mostre che hanno affrontato in maniera sistematica gli scambi fra arte e architettura nel XX secolo (Arti e Architettura 1900/2004, al Palazzo Ducale di Genova sempre nel 20045). La stessa attenzione per l'installazione ambientale è chiara anche all'interno della Biennale di Venezia del 1997, da lui curata6.

Adachiara Zevi rivolge da sempre una particolare attenzione alla relazione tra arte e architettura tanto che dal 1989 al 2005 cura “Spazi/Arte”, rubrica dedicata al rapporto fra artisti visivi e architettura, sulla rivista mensile “L’architettura. Cronache e storia”, fondata dal padre Bruno Zevi nel 1955. Dalla rubrica scaturiranno tutta una serie di pubblicazioni che andranno a costituire una collana specifica all'interno della seconda serie dell'Universale di Architettura (edizioni Testo&Immagine), anch'essa diretta dallo stesso Zevi. Questa attenzione alle connessioni fra arte e architettura risulta in maniera netta anche nel suo imponente Peripezie del dopoguerra nell'arte italiana del 20067, che sarà una delle fondamentali basi bibliografiche per la Terza Parte della tesi. Importanti contributi della Zevi compaiono anche in cataloghi di mostre, fra cui va citato Arte/Architettura/Città: alcune ipotesi nel catalogo della mostra “Città Natura” del 19978, e in altre riviste specializzate, come “Lotus International”9.

Per quanto riguarda, invece, le connessioni fra scultura e installazione ambientale sono fondamentali gli studi storici di Francesco Poli che fin dai primi anni Novanta si è interessato a questo tema, come testimoniato dall'importante pubblicazione Minimalismo, Arte Povera, Arte Concettuale del 199510, ma anche dai testi Artista, opera, ambiente. Il problema delle installazioni

3 G. CELANT, A visual Machine: Art Installation and its Modern Archetypes, in S. BOS (a cura di), Documenta 7

[catalogo della mostra], Dierichs, Kassel, 1982 (2 voll.), vol. II, pp. XIII-XVIII.

4 G. CELANT, “Architettura, arte, ambiente”, in Lotus international, n. 122, 2004, pp. 72-103.

5 G. CELANT (a cura di), Arti e Architettura 1900/2004 [catalogo della mostra], Skira, Milano, 2004 (2 voll.). 6 G. CELANT (a cura di), Futuro, presente, passato. Catalogo generale XLVII Esposizione Internazionale d’Arte “La

Biennale di Venezia” [catalogo della mostra], Electa, Milano, 1997 (2 voll.).

7 A. ZEVI, Peripezie del dopoguerra nell'arte italiana, op. cit.

8 A. ZEVI, Arte/Architettura/Città: alcune ipotesi, in S. DE CAVI (a cura di), Città Natura. Mostra internazionale di

arte contemporanea [catalogo della mostra], Fratelli Palombi, Roma, 1997, pp. 30-37.

9 A. ZEVI, “Architettura all'arte”, in Lotus international, n. 113, 2002, pp. 7-38. 10 F. POLI, Minimalismo, Arte Povera, Arte Concettuale, Laterza, Roma-Bari, 1995.

del 199211 e Gianni Colombo e l’arte degli ambienti tra Europa e America ancora del 199512. Del 2003 è lo specifico Arte e ambiente13, che viene poi contestualizzato con il successivo e più ampio La scultura del Novecento del 2006, in cui il Capitolo IV è dedicato in maniera esclusiva a installazioni e ambienti, a partire dalle sperimentazioni futuriste, costruttiviste e neoplastiche fino agli sviluppi più attuali degli ambienti multimediali14. Il tema particolare dell'installazione ambientale è approfondito nell'articolo La bellezza “esplosa”: dalla scultura come corpo plastico alla scultura come installazione ambientale del 200715, ma, soprattutto, in una pubblicazione più recente firmata insieme a Francesco Bernardelli qui già citata, dove si presenta una cospicua cronistoria delle principali sperimentazioni installative e ambientali dalle avanguardie fino ai giorni nostri, divise in tre parti: “Lo spazio dell'opera. Lo spazio come opera”, “Lo spazio dell'esposizione. Gli spazi delle mostre”, “Gli spazi museali”16. Nonostante il titolo dell'esposizione lo stesso tema era anche al centro della Biennale di Carrara da lui curata nel 200817.

1.2 “Monumenti effimeri” (2009) e gli studi sulla conservazione delle installazioni

In Italia, a livello saggistico, dopo Ambiente/Arte di Celant del 1977 c'è una sola grande pubblicazione di riferimento di livello internazionale, la quale è stata anche tradotta in inglese: Monumenti effimeri. Storia critica e conservazione delle installazioni a cura di Barbara Ferriani e Marina Pugliese18. Si tratta del primo volume italiano completamente dedicato alla storia delle installazioni e si ricollega anch'esso a tutta una serie di riflessioni sul problema degli allestimenti, delle riproposizioni e della conservazione di questo “medium in evoluzione”. Non a caso questo volume collettivo nasce dal progetto istituzionale “DIC – Documentare Installazioni Complesse”,

11 F. POLI, Artista, opera, ambiente. Il problema delle installazioni, in L. RIGHI (a cura di), Conservare l'arte

contemporanea, Nardini, Firenze, 1992, pp. 149-156.

12 F. POLI, Gianni Colombo e l’arte degli ambienti tra Europa e America, in V. FAGONE (a cura di), I Colombo. Joe

Colombo, 1930 - 1971, Gianni Colombo, 1937 – 1993 [catalogo della mostra], Mazzotta, Milano, 1995, pp. 271- 278.

13 F. POLI, Arte e ambiente, in F. POLI (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli

anni '50 a oggi, Electa, Milano, 2003, pp. 96-121. Questo volume è importante per una prima ricostruzione storica delle ricerche ambientali in Italia non solo per il contributo di Poli ma anche per quelli di Giorgina Bertolino sui Situazionisti, di Gianni Contessi sull'Arte Programmata e di Maddalena Disch su Process Art e Arte Povera.

14 F. POLI, La scultura del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2006. La nuova edizione del 2015, già citata in

precedenza, aggiunge al titolo il sottotitolo Forme plastiche, costruzioni, oggetti, installazioni ambientali.

15 F. POLI, La bellezza “esplosa”: dalla scultura come corpo plastico alla scultura come installazione ambientale, op.

cit.

16 F. POLI, F. BERNARDELLI, Mettere in scena l'arte contemporanea, op. cit.

17 F. POLI, G. SERUSI, S. BOTTI (a cura di), XIII Biennale Internazionale Carrara. Nient'altro che scultura.

[catalogo della mostra], Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano), 2008.

curato da Marina Pugliese, storica dell'arte, e Barbara Ferriani, restauratrice (a cui è dedicata tutta la seconda parte del volume). Questa iniziativa prende spunto dal già citato progetto “Inside Installations”, da cui è scaturita a livello europeo una nuova modalità di approccio, teorico e pratico, di documentazione delle installazioni che in Italia è stata sperimentata sul campo con la rassegna “MAXXI Installazioni” del 2007. Questa mostra figlia del progetto “DIC”, come spiegano Anna Mattirolo e Alessandra Barbuto nel testo che introduce il volume, «ha consentito di allestire e documentare cinque opere della collezione del Museo nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, acquisendo utili elementi riguardo alla conservazione, alle modalità di esposizione e anche ai differenti approcci degli artisti riguardo a questi temi» (p. 7). Dunque in tutto il volume troviamo questo accento pratico pur nella contraddittoria aspirazione di applicare uno schema di documentazione a una tipologia di opere “complesse” di cui non esiste mai un allestimento definitivo.

La premessa delle curatrici si apre con un'affermazione che si ricollega a un'idea che abbiamo già incontrato in tutta la letteratura fin qui analizzata: «Le installazioni sono la tipologia di espressione artistica più rappresentativa della contemporaneità. La loro complessità, la relazione articolata con lo spazio e con la materia nonché le molteplici modalità di fruizione ampliano il ventaglio di possibilità espressive per gli artisti e al contempo offrono al pubblico un rapporto inedito con l'opera d'arte» (p. 11). Partendo dall'impossibilità di affermare che esiste una storia a senso unico delle installazioni, la prima parte del volume si snoda in una serie di contributi che incrociano prospettiva storica (Germano Celant firma il saggio introduttivo, intitolato Un'arte sferica, mentre Marina Pugliese firma il contributo più lungo, Un medium in evoluzione. Storia critica delle installazioni) e conservativa/documentativa (testi di Barbara Ferriani, Iolanda Ratti, Fabiana Cangià e Rafaela Trevisan).

Il testo principale è quello della Pugliese (con un paragrafo a cura di Teresa Bovi), dove si analizza il passaggio «dall'installazione come allestimento di una mostra, all'installazione in quanto tipologia di opera» (p. 24). Per delineare le caratteristiche fondanti dell'installazione attuale si analizzano nello specifico quattro opere paradigmatiche di artisti internazionali che abbiamo già incontrato – Gregor Schneider (Totes Haus Ur, 2001), Thomas Hirschhorn (The Bridge, 2000), Ilya Kabakov (The Toilet, 1992) e Olafur Eliasson (The Weather Project, 2003) – evidenziandone gli aspetti peculiari legati allo spazio, alla materia, al tempo e alla fruizione: «Se la relazione con spazio e materia diventa nomadica e quella con tempo e fruizione frammentaria, in quanto medium aperto l'installazione aderisce alla realtà in modo fluido» (p. 66).

Negli altri contributi del volume è centrale la questione relativa alla conservazione delle installazioni. In particolare, il testo della Ferriani (Come tramandare un'idea), parte dalle

ricostruzioni di opere storiche, come il Merzbau di Kurt Schwitters (ricostruito allo Sprengel Museum di Hannover) e il Prounenraum di El Lissitzky (ricostruito al Van Abbemuseum di Eindhoven), per indicare tutta una serie di problematiche legate alla ricostruzione di opere nate in un contesto specifico e poi andate perdute. Problematiche che si acuiscono «nella riproposizione di installazioni ideate al di fuori degli spazi museali, se non addirittura in antitesi a essi» (p. 102), come quelle di Ben Vautier e Allan Kaprow. Ancora diverso il caso in cui un'installazione è stata creata per uno specifico spazio espositivo fino a diventarne parte integrante, come per Block Beuys di Joseph Beuys allestita in sette sale dell'Hessisches Landesmuseum di Darmstadt: «Nel momento in cui lavori complessi come le installazioni devono essere preservati si pongono problematiche che non possono limitarsi alla pura conservazione dei dati materiali, ma che necessariamente devono coinvolgere una moltitudine di altri elementi connessi alla poetica dell'artista e al contesto originale» (p. 110). Successivamente si affronta il caso delle installazioni acquistate da privati, in cui i problemi di allestimento e conservazione rimangono gli stessi ma le soluzioni dipendono prevalentemente dalle scelte dei proprietari. Dal punto di vista materiale, si mette in luce la complessità legata alla conservazione di un'opera originale realizzata con elementi effimeri, materiali fragili e instabili poiché «appare evidente che qualsiasi operazione che implichi la riproposizione di un'installazione può difficilmente rappresentare un'azione neutra, imparziale, esente da interpretazioni. Ogni atto è frutto di una scelta, del risultato di considerazioni che travalicano il singolo oggetto e sono strettamente correlate all'intenzionalità dell'artista» (p. 115). Dunque, «la conoscenza delle complesse relazioni che concorrono a definire il significato di queste nuove espressioni artistiche ha reso nel tempo necessari differenti approcci teorici e metodologici» (p. 119). Ad esempio, sempre più spesso gli artisti includono nell'autentica dell'opera uno statement sui parametri espositivi. Queste “istruzioni per l'uso” sono da considerare il punto di partenza di qualsiasi intervento sull'installazione ma anche della sua documentazione, che oltre ai dati autoriali deve anche tener conto dei dati storici e di quelli tecnici. Il volume prosegue con altri tre contributi legati sempre al tema della conservazione e della documentazione, analizzando aspetti particolari, come si evince già dai titoli: La specificità della videoinstallazione di Iolanda Ratti, L'intervista come strumento di Fabiana Cangià e Tecniche di documentazione di Rafaela Trevisan.

L'ultima parte del volume è dedicata a un approfondimento specifico sulle cinque opere studiate all'interno del progetto “DIC – Documentare Installazioni Complesse”: Field Dressing (Orifill) di Matthew Barney (1989-1990), Coma di Alexander Brodsky (2000-2001), Chiaro Oscuro di Mario Merz (1983), Untitled and Lemure di Rudolf Stingel e Franz West (2002-2007) e Il Vapore di Bill Viola (1975). A queste si aggiunge anche un approfondimento su I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer (2004) al Pirelli Hangar Bicocca di Milano. I dati raccolti sono stati ordinati in dossier

dettagliati attraverso uno schema flessibile che permette di considerare e approfondire le singole specificità di ogni opera attraverso delle “voci” comuni: aspetti storico-artistici, storia dell'opera, scheda dei componenti e stato di conservazione, indicazioni espositive, stoccaggio e trasporto, rapporto con l'artista.

Punto di riferimento per questo tipo di approfondimenti è la pubblicazione curata nel 1992 da Lidia Righi che abbiamo già citato rispetto al contributo di Poli. Accanto a questa si possono aggiungere anche i capitoli relativi al restauro e alla conservazione delle installazioni all'interno di pubblicazioni italiane più recenti che affrontano l'argomento della conservazione dell'arte contemporanea in maniera ampia. Due esempi su tutti sono il volume di Oscar Chiantore e Antonio Rava del 200619, e quello curato da Paolo Martore nel 201420. Il primo è diviso in due parti: nella prima parte, intitolata “Restaurare il contemporaneo” c'è un capitolo ad hoc che affronta i problemi di conservazione delle installazioni, mentre nella seconda parte si affrontano dei singoli casi di artisti contemporanei le cui opere presentano specifici problemi di conservazione, come nel caso delle installazioni di Mario Merz. Nei dodici contributi del secondo volume, introdotti dalla riflessione filosofica di Massimo Carboni, vengono più volte evidenziate le problematiche inerenti alla conservazione delle installazioni multimediali e alla loro re-installazione che influisce non solo sulla loro natura spaziale ma anche temporale delle opere.