7. Stato dell'arte (installativa): gli ultimi dieci anni – interesse “expansion specific”
7.1 Fra nuove tecnologie, arti performative e immagini in movimento
Due volumi pubblicati fra il 2007 e il 2009 risaltano, fin dai loro titoli, come chiari esempi di letture multidisciplinari che allargano il campo d'azione dell'installazione verso quello delle arti performative e dell'utilizzo artistico delle nuove tecnologie: Digital Performance di Steve Dixon e A
History of Installation Art and the Development of New Art Forms di Faye Ran.
Il volume di Dixon97 si occupa di analizzare le radici storiche, i protagonisti chiave e le tendenze artistiche, teoriche e tecnologiche di riferimento rispetto all'incorporazione dei nuovi media nelle arti performative contemporanee. A partire dalla fine degli anni Novanta c'è stato un periodo straordinariamente intenso di sperimentazione della tecnologia informatica all'interno delle pratiche artistiche contemporanee: i media digitali sono stati sempre più utilizzati sia nelle arti performative (soprattutto teatro e danza dal vivo) che nel panorama dell'installazione interattiva e partecipativa. Dixon traccia l'evoluzione di queste pratiche ibride di new media art, trovandone i precursori in forme passate di tecnologia teatrale che spaziano dal deus ex machina della tragedia greca classica al Gesamtkunstwerk di Richard Wagner, e traccia parallelismi tra l'arte contemporanea e le pratiche delle avanguardie storiche, veri pionieri multimediali del XX secolo. Per documentare e analizzare la pratica della performance digitale contemporanea, Dixon considera i cambiamenti nella rappresentazione del corpo, dello spazio e del tempo, dovuti alla virtualità e alla digitalizzazione tecnologica, che finiscono per ridefinire le categorie di interattività anche dell'arte installativa.
Sulla scia di Dixon s'inserisce lo studio della Ran che, però, si focalizza espressamente sul panorama dell'installation art, spiegando in che modo lo sviluppo tecnologico del Novecento abbia favorito quel cambiamento di visione sfociato nel postmoderno, influenzando lo sviluppo di nuove forme d'arte ad esso collegate, di cui l'installazione è una delle più significative. La studiosa statunitense mostra come le interazioni tra arte e tecnologia abbiano cambiato la concezione culturale dello spazio e del tempo e, di conseguenza, abbiano influito sull'evoluzione dell'installazione, trasformandola in un genere artistico a sé stante: «These technologies and space- time conceptions together fostered both the change in world-view generally called “Postmodernism” and the development of Installation Art as a distinctively postmodern aesthetic form»98. Qui l'installazione viene presentata, dunque, come un affascinante ibrido di scultura espansa (in termini di contesto, luogo e ambiente) e teatro espanso (in termini di performer, performance e pubblico).
A questo specifico filone di studi si possono affiancare volumi più recenti provenienti da paesi non anglo-americani, come quello dell'olandese Marga Van Mechelen99 o quello della danese Anne Ring Petersen100. L'imponente pubblicazione della Petersen del 2015 è interessante, in particolar
97 S. DIXON, Digital Performance: A History of New Media in Theater, Dance, Performance Art, and Installation,
The MIT Press, Cambridge (Mass.), 2007.
98 F. RAN, A History of Installation Art and the Development of New Art Forms: Technology and the Hermeneutics of
Time and Space in Modern and Postmodern Art from Cubism to Installation, Peter Lang Publishing, New York, 2009, p. 3. È interessante notare che l'Introduzione al volume sia di Nicolas de Oliveira e Nicola Oxley.
99 M. VAN MECHELEN, Art at Large. Through Performance and Installation Art, ArtEz Press, Arnhem, 2013. 100 A. R. PETERSEN, Installation Art. Between Image and Stage, Museum Tusculanum Press, Copenhagen, 2015. Non
modo, per la sua approfondita bibliografia. Riprendendo una sua pubblicazione in danese del 2009, la Petersen propone una nuova antologia sull'installation art focalizzando l'attenzione sull'aspetto scenico e performativo dell'installazione. Come abbiamo visto più volte, le relazioni fra le installazioni e il mondo teatrale, e quello delle arti performative in generale, sono molteplici e l'idea di analizzare questa connessione non è certo una novità (si veda, ad esempio la mostra “Performative Installations” tenutasi in varie sedi fra Austria e Germania nel 2003-2004101). Ma la trattazione della Petersen è così approfondita da porsi come nuovo punto di riferimento bibliografico per l'installation art.
Sempre del 2015 è un'altra importante pubblicazione a livello di rilettura interdisciplinare, quella di Catherine Elwes, che non si rifà al mondo delle arti performative ma a quello del cinema e dell'immagine in movimento in generale: «Conventional wisdom postulates that the aim of installation art is to produce in spectators an expanded spatial awareness, a phenomenological sensitivity to all that is actual and present within a bounded space. If artists hope to induce in their audencies an embodied knowlrdge of their situated place within a gallery, then the medium of the moving image would appear to be the natural enemy of installation»102. Eppure le installazioni che utilizzano immagini in movimento sono in forte espansione e rappresentano un'ulteriore ibridazione del medium installativo, mischiando la tradizione delle arti visive con i media dello spettacolo mainstream in uno spazio architettonico progettato appositamente per invitare lo spettatore a entrarvi fisicamente e usufruire della messa in scena di un evento proiettato (screened event): «Where an installation ethos might draw attention to the walls and ceiling delimiting a gallery space, the projected image, while momentarily affirming the presence of any given surface it encounters, nonetheless dissolves, scatters and demateralises fixed partitions and concrete objects with a kaleidoscope of coloured light. […] Our quotidian experience increasingly demands of us nimble perceptual shifts between any number of remediated realities presented to us in myriad electronic forms. Moving image installation, now ever-present in our galleries and museums, constitutes a resonant analogue of the increasingly enmeshed conditions of understanding we derive from the modern world» (pp. 1-2). Ma, visto l'abuso del termine installazione («a hang of paintings, drawings or photographs is said to be installed, sculptures too are grouped to create an “installation” where previously they might simply have been regarded as propitiously arranged», p. 4), il volume della Elwes cerca di distinguere la “moving image installation” dalla “film installation” e dal “cinema”, anche se molto spesso si tratta di categorie anfibie: «Moving image installation trades in ambiguity by virtue of its ocupation of that liminal space between material reality and what we
sue istituzioni museali, ha investito di più sulle installazioni ambientali negli ultimi anni.
101 A. NOLLERT (a cura di), Performative Installations [catalogo della mostra], Snoeck, Cologne, 2003. 102 C. ELWES, Installation and the moving image, Wallflower Press, London-New York, 2015, p. 1.
understand to be not-real, yet present to the senses and the imagination By staging what is familiar in an unexpected setting and offering up the uncanny for inspection in relative safety, moving image in the gallery holds the potential to recalibrate the terms of our engagement with our contemporary environment» (p. 7).