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NELL’AMMINISTRAZIONE DEL RISCHIO

1. L’erompere della società del rischio e la necessità di una risposta ordi-

namentale

Molti episodi negli ultimi decenni hanno provocato preoccupazioni per l’ambiente, per la sicurezza e la salute dell’uomo, portando ad una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica sulle potenziali implicazioni dell’attuale modello di sviluppo tecno- logico ed industriale in primis, ma anche ad una progressiva sfiducia nei riguardi dei mec- canismi pubblici di controllo, nonché alla necessità per i Governi di individuare nuovi principi in grado di facilitare la valutazione ed il contenimento dei rischi e la gestione di questi ultimi; ciò non solo ai fini della loro accettabilità sociale, ma anche per consentire uno sviluppo realmente sostenibile. Due sono le conseguenze principali: da un lato, il dirit- to dei cittadini di essere previamente informati e di partecipare alle decisioni che riguarda- no lo sviluppo tecnico-scientifico; dall’altro, una maggiore consapevolezza dei Governi nel prendere in considerazione comportamenti e decisioni orientati alla prevenzione ovvero all’attuazione del principio di precauzione.

La dottrina sociologica ha affrontato la teorizzazione della società del rischio184, contri- buendo a rendere il concetto di rischio autonomo rispetto a quello di pericolo. La reazione umana di fronte all’incertezza sul futuro si è spostata da una prassi di divinazione, che se non poteva garantire una certezza affidabile, poteva comunque garantire che la propria de- cisione non suscitasse l’ira degli Dei, ad un modello del gioco.

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Un altro importante contributo innovativo consiste nell’utilizzo della nozione di “misura oggettiva” del rischio,185 connessa all’avvento del calcolo delle probabilità; con la misura oggettiva è stata valorizzata infatti l’esigenza di comparazione dei rischi ed è stato eviden- ziato conseguentemente l’inesistenza del “rischio zero”. L’agire è di per sé un rischio, ma anche non agire non significa evitare il rischio, ma introdurne uno a sua volta quantificabi- le. La nostra società, in virtù della sua progressiva differenziazione, tende a configurarsi ad ogni livello come una società dei rischi, per valutare i quali è sempre più difficile reperire criteri etici o cognitivi univoci; il rischio è qualcosa a cui non possiamo in alcun modo sot- trarci, poiché rappresenta il tratto essenziale di una società molto complessa, fonti poten- ziali di rischio connesso con l’azione o inazione umana sono insite in ogni tipo di interven- to e di trasformazione operata nell’ambiente fisico e sugli organismi viventi.

L’espressione “Principio di Precauzione” è stata coniata in Germania negli anni ‘70186 ed è divenuta di uso corrente alla fine degli anni ‘90, in seguito all’esigenza percepita a livello internazionale di definire un livello di compatibilità tra lo sviluppo tecnico-scientifico ed il controllo dei rischi e delle minacce associate a tale sviluppo187. Si riferisce ad un criterio di

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Un importante contributo innovativo consiste nell’utilizzazione della nozione di “misura oggettiva” del rischio, connessa all’avvento del calcolo delle probabilità (P. Bernstein).

Giustamente è stato affermato che questa forma di razionalità matematica partecipa alla genesi del concetto moderno di rischio: “Non c’è rischio senza una certa forma di calcolo, di analisi, di perizia: è una forma di sapere” (Ewald e Kessler). Il procedere alla misura oggettiva ha valorizzato la esigenza di comparazione dei rischi, ed evidenziato conseguentemente la inesistenza del “rischio zero”. L’agire è rischio, ma anche il non agire – in certe condizioni – non è evitare il rischio, ma introdurne uno a sua volta quantificabile.

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La prima formulazione del Principio di Precauzione, come oggi comunemente inteso, risale agli inizi degli anni '70 quando in Germania fu coniata l'espressione "Vorsorgeprinzip" (letteralmente "principio del preoc- cuparsi prima") in occasione dell’adozione delle prime misure legislative contro l'inquinamento atmosferico.

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Il Principio di Precauzione è stato poi richiamato in molti altri documenti e dichiarazioni relativi all'am- biente e alle politiche ambientali come la Convenzione di Vienna sulla protezione dal buco dell'ozono del 1985, la Dichiarazione ministeriale approvata al termine della Seconda Conferenza Internazionale sulla Pro- tezione del Mare del Nord del 1987, la Dichiarazione di Rio de Janeiro promulgata al termine della Confe- renza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo del 1992, il Trattato di Maastricht dell'Unione europea del febbraio 1992, la Dichiarazione di Wingspread a cura di diverse associazioni ambientaliste del 1998, il Bio- safety Protocol di Cartagena approvato a Montreal nel gennaio 2000, la Convenzione di Stoccolma sugli in- quinanti organici persistenti del 2001, e molti altri ancora. La Commissione europea ha prodotto vari docu- menti in cui si fa menzione del Principio di Precauzione e, in particolare, le Guidelines on the application of the precautionary principle dell'ottobre 1998 a cura della Direzione Generale XXIV ( "Politica dei consuma-

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condotta ispirata alle esigenze di tutela dell’ambiente e della salute umana, animale e vege- tale, tenendo conto delle necessità vitali non solo delle generazioni presenti, ma anche di quelle future.

Fin dalla sua nascita la specie umana è sempre stata esposta ad una serie di pericoli am- bientali che hanno minacciato il suo benessere e la sua stessa sopravvivenza; prima che l’ambiente venisse modificato dalla mano dell’uomo, i pericoli erano connessi ad agenti e fenomeni fisici naturali, attribuiti alla normale fisiologia del pianeta e dell’universo: terre- moti, maremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche, alluvioni, siccità, frane, incendi, cicloni, tornado, infestazioni di insetti, carestie, epidemie, malattie endemiche, etc. Le società tra- dizionali davano una spiegazione mitologica a tali fenomeni e per difendersi si tentava di placare gli esseri sovrannaturali con sacrifici e preghiere. Poi, in maniera graduale, il pro- gresso della scienza ha fatto sì che si potesse dare una spiegazione alle cause e dinamiche di molti fenomeni naturali che provocano danni e sofferenze.

Hiroshima188 è l’evento che ha segnato una svolta nella percezione collettiva della scienza e della tecnologia; per la prima volta il mondo si è trovato di fronte ad un aspetto della mo- dernità ambiguo e terrificante nelle sue implicazioni ed ha potuto constatare quale fosse la potenza sviluppata dalla scienza e la capacità della tecnologia che, in quello stesso momen- to, hanno perso la loro innocenza verso l’umanità e la natura.

La storia recente della relazione tra rischio ambientale e società si articola in quattro fasi; il primo periodo va dagli anni ‘50 ad una buona parte degli anni ‘60, quando i problemi deri- vano sostanzialmente da momentanee mancanze, disfunzioni locali dell’apparato tecnolo- gico e produttivo. Sono gli anni in cui la modernità trionfa ed in cui vengono sottovalutate questioni quali l’impreparazione nel far fronte agli imprevisti, la tendenza a negare

tori e protezione della salute ") e, soprattutto, la Communication from the Commission on the Precautionary Principle del 2 febbraio 2000.

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l’esistenza dei problemi o le responsabilità che ne derivano, la propensione a tacciare di al- larmismo chi solleva le questioni, a ritenere ingiustificata la preoccupazione pubblica. Negli anni ’70 si apre la seconda fase, caratterizzata dalla manifestazione che si svolse ne- gli USA: l’Earth Day189, la più ampia manifestazione ambientalista. Sono gli anni del cam- biamento nel clima sociale, delle difficoltà nel welfare state dovute in primis all’insostenibilità del carico fiscale che l’espansione delle spese comporta, della crisi ener- getica del 1973. In quegli anni viene presa coscienza che i limiti allo sviluppo non sono so- lo fisici ma anche sociali; si capisce, infatti, che un’espansione indiscriminata dei consumi e dei servizi offerti dal welfare state non può essere sostenuta indefinitamente, perché le risorse a disposizione non sono sufficienti, ma anche perché molti beni, naturali e sociali, offrono benefici decrescenti al crescere del numero di persone che ne fruiscono.

Durante gli anni ’80, la terza fase, le industrie riacquistano fiducia nella crescita e prendo- no campo le politiche ambientali ed i partiti verdi entrano nei parlamenti.

Infine la quarta fase, quella degli anni ’90 e della nascita della società del rischio, caratte- rizzati dalla diffusione delle problematiche ambientali, tra le cui cause si riscontrano il cambiamento del clima, il buco nella fascia dell’ozono, la perdita della biodiversità, gli ef- fetti dell’ingegneria genetica, l’inquinamento elettromagnetico, a cui la comunità interna- zionale cerca di fornire delle risposte.190

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La Giornata della Terra (in inglese Earth Day), è il nome usato per indicare il giorno in cui si celebra l'ambiente e la salvaguardia del pianeta Terra. Le nazioni Unite celebrano questa festa ogni anno, un mese e due giorni dopo l'equinozio di primavera, il 22 aprile. La celebrazione che vuole coinvolgere più nazioni pos- sibili, ad oggi coinvolge precisamente 175 paesi. Nata il 22 aprile 1970 per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra. Come movimento universitario, nel tempo, la Giornata della Terra è divenuta un avvenimento educativo ed informativo.

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Il rapporto Brundtland (conosciuto anche come Our Common Future), documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo (WCED) in cui, per la prima volta, viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Il nome viene dato dalla coordinatrice Gro Harlem Brundtland, Primo Mini- stro norvegese, che in quell'anno era presidente del WCED ed aveva commissionato il rapporto.

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Il cittadino percepisce i rischi a cui sono esposti la propria salute e l’ambiente con sempre maggiore intensità. Siamo tuttavia purtroppo ancora molto lontani dal raggiungimento di un idoneo grado di consapevolezza in merito al rischio reale.

Il principio di precauzione diviene centrale nella gestione del rischio stesso e si applica ogni qualvolta una preliminare valutazione scientifica indica che vi sono ragionevoli moti- vi di temere che il livello di protezione stabilito dalla politica non sia sufficiente per gli ef- fetti nocivi sull’ambiente191.

Una definizione del principio appena menzionato, già emerso nella conferenza di Stoccol- ma sull’ambiente del 1972, si trova nella Dichiarazione delle Nazioni Unite Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 (il principio n. 15), secondo cui: “al fine di proteggere

l’ambiente, il principio di precauzione sarà ampiamente applicato dagli Stati secondo le rispettive capacità. Laddove vi siano minacce di danni seri o irreversibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare l’adozione di misu- re efficaci in termini di costi volte a prevenire il degrado ambientale”. Con tale enuncia-

zione viene dato il riconoscimento ad un principio già largamente adottato nella trattazione di molte questioni con risvolti ambientali192. Tali questioni presentano caratteristiche co- muni e che sono riassumibili nei termini di incertezza, irreversibilità ed incommensurabili- tà; occorre quindi definire i possibili effetti negativi di un determinato fenomeno, per poi procedere alla valutazione dei dati scientifici, prima di ricorrere al principio di precauzio- ne.

Rischio ambientale significa la probabilità che un certo fenomeno naturale, una volta supe- rata una determinata soglia, produca perdite in termini di vite umane, di proprietà, di capa- cità produttive. Tale rischio si esprime in funzione di tre fattori: pericolosità ambientale,

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Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, cit., 1, par. 3.

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A tale nozione globale di ambiente corrisponde una nozione globale di rischio: cfr. U. Beck, La società

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cioè la probabilità che un determinato fenomeno si verifichi in un certo territorio e in un determinato intervallo di tempo, vulnerabilità territoriale, cioè l’insieme della popolazione, delle infrastrutture, delle attività economiche, che può subire danni materiali ed economici, ed infine valore, ovvero il danno che viene prodotto.

L'analisi del rischio ambientale è oggi una disciplina di cui si occupano diverse organizza- zioni internazionali, decine di riviste e migliaia di studiosi e di professionisti. Tuttavia, pur- troppo, l’opinione pubblica non nutre grande fiducia, poiché nel passato la maggioranza degli studi sul rischio ambientale, commissionata da enti pubblici e aziende multinazionali, ha avuto l'intento di dimostrare il ridotto impatto delle loro iniziative; tutto questo si esprime in una crescente conflittualità tra le popolazioni, da un lato, e le amministrazioni pubbliche e grandi aziende, dall'altro, fino a una vera e propria paralisi decisionale.

Il concetto di vulnerabilità è di fondamentale importanza nella valutazione del rischio am- bientale, poiché sono molti i fattori che vi influiscono, tra i quali la densità della popola- zione e le interazioni tra i vari sistemi territoriali. La vulnerabilità si divide in due tipolo- gie: fisica del territorio, ad esempio la franosità, la sismicità e la vulcanicità, e sistemica, tipica delle aree densamente popolate e ad alta tecnologia. Come precedentemente accen- nato, il rischio ambientale di origine naturale si può gestire con una buona programmazio- ne del territorio, moderne tecnologie e adeguati piani di emergenza.

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2. Il principio di precauzione, principio guida dell’amministrazione del