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Il Sistema Nazionale di Protezione Civile: un modello sui generis di amministrazione pubblica

CAPITOLO IV. IL GOVERNO DELLA PROTEZIONE CIVILE TRA ORDINAMENTO NAZIONALE ED ORDINAMENTO EUROPEO

1. La Protezione Civile nell’ordinamento nazionale: profili organizzativi e funzional

1.1. Il Sistema Nazionale di Protezione Civile: un modello sui generis di amministrazione pubblica

La riflessione sul modello organizzativo del Servizio Nazionale della Protezione Civile deve essere preceduta dal richiamo al tema nel nostro testo costituzionale. La Prote- zione Civile è stata inserita tra le materie oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni con la l. costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

Con la l. 9 novembre 2001, n. 401, per la conversione in legge, con modificazioni, del de- creto-legge 7 settembre 2001, n. 343, recante disposizioni urgenti per assicurare il coordi- namento operativo delle strutture preposte alle attività di Protezione Civile, si riscontra una inopportuna controtendenza, dal momento che mentre la riforma costituzionale spingeva

materia di volontariato di protezione civile, in armonia con quanto disposto dalla legge 11 agosto 1991, n. 266

3-bis. Entro sei mesi dalla data di conversione del presente decreto, si provvede a modificare il decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 1994, n. 613.

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Decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 1994, n. 613; regolamento recante norme concer- nenti la partecipazione delle associazioni di volontariato nelle attività di Protezione Civile

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verso una “regionalizzazione” della materia di Protezione Civile, la legge ordinaria andava nell’opposta direzione di accentuare la dipendenza della materia dal potere statale e di ri- portare la gestione amministrativa nell’alveo di un soggetto meno autonomo di un’agenzia, come è il Dipartimento della Protezione Civile, mentre invece la controriforma del 2001 riafferma il modello centrale a base tripartita: Presidente del Consiglio dei ministri, Mini- stro dell’Interno e Dipartimento di Protezione Civile. L’articolazione delle competenze che tocca tutti i livelli di Governo e delinea un sistema di Protezione Civile fortemente decen- trato, risulta fortemente complessa; le competenze statali sono infatti tassativamente indi- viduate, mentre si conferiscono le competenze alle autonomie locali in via generale. Il nuovo testo dell’art. 117 Cost., considera la Protezione Civile come una materia autono- ma, assegnata alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, e tale scelta potrebbe essere letta come indice della volontà di superare la trasversalità insita nella Protezione Civile. E’ proprio tale ineliminabile duplicità che rende necessario un modello organizzativo originale, che tenga presente il fatto che in situazioni di normalità, tutte le materie toccate potenzialmente da essa sono attribuite a soggetti ben specificati quasi sem- pre diversi dallo Stato.

La Protezione Civile si articola poi in una serie di attività amministrative che si suddivido- no in tre settori: lo studio e la prevenzione, che possono essere svolte in condizioni di nor- malità e che quindi possono essere considerate alla stregua di altre funzioni amministrative di tipo ordinario; l’intervento nelle situazioni di emergenza; il rientro nelle condizioni di normalità, ovvero funzioni svolte in condizioni straordinarie che richiedono anche una rot- tura del normale andamento delle attribuzioni, delle competenze e dell’uso dei poteri am- ministrativi.

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Il modello organizzativo che risulta dalla legislazione vigente tiene conto delle peculiarità della materia, ma lascia aperti numerosi problemi relativi all’assetto delle competenze normative e amministrative tra Stato, Regioni ed autonomie locali; la soppressione della neonata Agenzia a favore del ripristino del Dipartimento della Protezione Civile apre infat- ti lo spazio ad alcune riflessioni.

Anzitutto il modello organizzativo, che si presenta come una fitta rete di amministrazioni centrali, regionali e locali, non può essere considerato come un modello di amministrazioni in rapporto paritario, a causa della presenza di un centro forte, ovvero il coordinamento po- litico del Governo, tanto che, a sostegno di tale tesi, la duplice scelta di mantenere un mo- dello basato su un assetto centrale tripartito e di porre al centro di esso il Dipartimento, ne risulta fortificata l’attività politico-amministrativa rispetto a quella tecnico-professionale. Inoltre, si possono evidenziare alcuni aspetti critici anche in merito agli interventi nelle si- tuazioni di emergenza, dal momento che il servizio di Protezione Civile si attiva conse- guentemente alla dichiarazione dello stato di emergenza da parte del presidente del Consi- glio attraverso un procedimento macchinoso. I poteri che si attivano in questo modo sono per la maggior parte derogatori rispetto a quelli ordinari e possono sconvolgere l’assetto delle attribuzioni e delle competenze; trattandosi poi di situazioni di emergenza, il coordi- namento tra i soggetti detentori delle competenze ordinarie sembra piuttosto risolversi in un adeguamento delle amministrazioni periferiche a quelle centrali.

La Protezione Civile mantiene comunque le caratteristiche di un servizio nazionale, che ha lo scopo di ricondurre il sistema ad unità e di garantire l’unità della prestazione, anche se questa non è per sua natura standardizzabile se non attraverso protocolli di attività e canoni di comportamento in cui convergono le amministrazioni centrali, regionali, locali nonché i soggetti privati, in genere in forma associata; in effetti ogni evento calamitoso è unico nel

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suo genere e difficilmente la prestazione potrà essere ripetuta esattamente allo stesso modo in contesti diversi.

La Protezione Civile è poi caratterizzata da una forte sussidiarietà orizzontale costituita dalla presenza delle organizzazioni di volontariato che si adoperano nei confronti dei citta- dini colpiti, nonché da una componente tecnica considerata dalle norme che distinguono tra servizio amministrativo e servizio operativo.

La vera peculiarità della Protezione Civile risiede tuttavia nell’uso dei poteri amministrati- vi straordinari e derogatori, che tradizionalmente venivano esercitati dai vertici politici del- le amministrazioni, dai Prefetti e dai Sindaci nell’ambito delle rispettive competenze terri- toriali. E’ però stato riscontrato che l’uso di tali poteri straordinari è strettamente collegato alla natura stessa della funzione di Protezione Civile, che richiede decisioni rapide in grado di superare il normale assetto delle competenze ed il normale svolgimento delle attività delle amministrazioni, e pertanto un modello organizzativo in cui la catena dei comandi sia breve e le responsabilità chiaramente configurate277.

Le scelte operate fanno sorgere alcune perplessità; la scelta di mantenere il vertice del si- stema nella sede del coordinamento politico del Governo sembra contradittoria rispetto alla natura fortemente tecnica della funzione, così come fonte di dubbi è quella di ampliare la sfera delle competenze della Protezione Civile, attribuendole nuove funzioni e ampliando la nozione di emergenza per consentire l’uso dei poteri straordinari.

Purtroppo non si può definire il confine preciso tra l’ordinario e lo straordinario, ed il fatto che su tale funzione amministrativa pesi la forte ipoteca della discrezionalità amministrati- va e politica comporta che si dovrebbero utilizzare le categorie giuridiche e quelle delle scienze politiche e sociali per un’analisi approfondita.

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Si veda Fioritto A., Le forme organizzative dell’amministrazione di emergenza, in Annuario 2005: il di-

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Le società contemporanee sono caratterizzate da incertezza e rischio e il verificarsi dell’emergenza provoca il passaggio da una struttura organizzativa in rete ad una struttura piramidale e monocratica; questo comporta anche un’inversione della struttura della deci- sione che da collegiale o procedimentalizzata diventa accentrata e monocratica, e un’alterazione del sistema delle competenze amministrative, altrimenti ordinato, giustifica- to dalla necessità di provvedere con urgenza ed in deroga al diritto vigente278. E’ quindi necessario operare un bilanciamento tra le esigenze di celerità ed efficacia e quelle del ri- spetto dei principi279 e delle norme sul procedimento amministrativo280, che dovrebbe

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Sul punto, Cavallo Perin R., Il diritto amministrativo e l’emergenza derivante da cause e fattori esterni

all’amministrazione, in Il diritto amministrativo dell’emergenza, Annuario 2005, Milano, 2006 279 Sono principi comuni a tutti i tipi di procedimento amministrativo:

Necessarietà, la mancanza del procedimento comporta l'annullabilità dell'esercizio dell'attività.

Esatta e completa individuazione dei fatti e degli interessi, l'amministrazione deve valutare gli interessi su cui la decisione andrà ad influire, nel caso i fatti assunti alla base della decisione siano infondati, il procedimento è illegittimo. Congruità, coerenza, logicità o ragionevolezza con il presupposto, ovvero ci deve essere corri- spondenza tra le premesse che hanno mosso l'amministrazione e le sue conseguenze. Imparzialità, ha radici nell'art. 97 della costituzione. Conoscibilità. Proporzionalità, la scelta dell'amministrazione deve comportare il minor sacrificio possibile sia per le finanze pubbliche che per l'eventuale lesione di diritti o interessi priva- ti.

280 La struttura del procedimento è varia secondo l'organo competente ad emanare l'atto terminale, la forma di

quest'ultimo, il potere che viene esercitato ecc. Si può però articolare la sequenza di atti e operazioni in alcu- ne fasi, riscontrabili nella generalità dei casi:

fase dell'iniziativa; fase istruttoria; fase costitutiva; fase integrativa dell'efficacia.

La fase dell'iniziativa è quella in cui viene avviato il procedimento. L'avvio può essere deciso dallo stesso or- gano competente ad adottare l'atto terminale (avvio d'ufficio) o essere conseguenza di un atto d'impulso, che può provenire da un privato (istanza) o da un altro organo pubblico (richiesta, detta proposta quando, oltre a chiedere l'avvio del procedimento, indica anche il contenuto del suo atto terminale).

La fase istruttoria comprende le attività volte alla ricognizione e alla valutazione degli elementi rilevanti per la decisione finale. È questa la fase che presenta maggior variabilità secondo la natura del procedimento. Nella fase istruttoria l'organo competente (detto organo attivo) può acquisire il giudizio di un altro organo, di solito collegiale (detto organo consultivo), per decidere con cognizione di causa. L'atto con il quale viene manifestato tale giudizio è detto parere, che può essere:

facoltativo, se l'organo attivo non è tenuto a chiederlo;

obbligatorio, se l'organo attivo è tenuto a chiederlo ma non a decidere in conformità ad esso; vincolante, se l'organo attivo è tenuto a chiederlo e a decidere in conformità ad esso.

Durante la fase costitutiva (detta anche deliberatoria o decisoria) l'organo competente, sulla base delle risul- tanze dell'istruttoria, assume la sua decisione e adotta l'atto terminale. Quest'ultimo, al termine della fase co- stitutiva, è perfetto, ma non necessariamente efficace, ossia in grado di produrre i suoi effetti. L'atto che con- clude il procedimento può non avere natura di provvedimento.

La fase integrativa dell'efficacia comprende gli eventuali atti e operazioni, successivi all'adozione dell'atto terminale, necessari affinché questo divenga efficace.

Rientrano in questa fase, tra gli altri:

la comunicazione o pubblicazione, in varie forme, dell'atto, quando questo è recettizio, ossia quando la sua efficacia è condizionata alla conoscenza da parte del destinatario;

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comportare l’obbligatorietà della motivazione, quanto meno i provvedimenti normativi e amministrativi che autorizzano i poteri straordinari, come pure l’espletamento di una seria istruttoria.

I giudici hanno tuttavia ritenuto necessario operare una distinzione tra i principi generali dell’ordinamento e i principi che regolano il procedimento amministrativo; la sussistenza dello stato di emergenza, che richiede provvedimenti urgenti e straordinari, escluderebbe l’obbligo dell’invio della comunicazione di avvio del procedimento281. La stessa legge sul procedimento amministrativo, l. 241/1990, individua una serie di strumenti di semplifica- zione ed accelerazione che possono essere utilizzati anche nelle situazioni di emergenza; tra questi, l’istituto della conferenza di servizi282, che potrebbe combinare l’esigenza di una istruttoria procedimentale con quella della rapidità e dell’efficacia.

i controlli preventivi nel corso dei quali un organo diverso da quello attivo (detto organo di controllo) verifica la conformità dell'atto all'ordinamento (controllo di legittimità) o la sua opportunità (controllo di merito); l'e- sito positivo di tale verifica è condizione necessaria affinché l'atto possa divenire efficace.

l'esecuzione forzata del provvedimento, anche avvalendosi della forza pubblica, qualora uno o più privati non vi ottemperino. Non costituiscono, invece, una fase del procedimento ma, semmai, un procedimento a sé i controlli successivi. Anch'essi, come i controlli preventivi, possono essere di legittimità o di merito ma, in questo caso, l'esito positivo della verifica non condiziona l'efficacia dell'atto mentre, sulla base dell'esito ne- gativo, può essere adottato un provvedimento di rimozione dell'atto stesso (annullamento) o dei suoi effetti (revoca).

281 Sull’argomento si veda: Angiolini V., Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova 1986; Fresa C., Provvisorietà con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova 1981; Miele G., Le situazioni di neces- sità dello Stato, in "Archivio di diritto pubblico", 1936, I, pp. 377-455; rist. in Scritti giuridici, vol. I, Milano

1987, pp. 169-253; Modugno F., Nocilla D., Problemi vecchi e nuovi sugli stati di emergenza nell'ordina-

mento italiano, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, vol. III, Milano 1988, pp. 513-553; Pinna P., L'emergenza nell'ordinamento costituzionale italiano, Milano 1988.

282 Istituto volto a semplificare l’azione della pubblica amministrazione attraverso l’esame contestuale dei

vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. Viene indetta quando l’inerzia di una o più amministrazioni rischia di impedire l’adozione di un provvedimento ed è volta a scongiurare la possibile paralisi dell’attività amministrativa e gli effetti negativi che verrebbero a subirne i privati. Rispondendo al canone del buon andamento della pubblica amministrazione, la conferenza di servizi dà attuazione ai criteri di economicità, semplicità, celerità ed efficacia. La disciplina è contenuta nella l. n. 241/1990, con le relative modifiche apportate dalla l. n. 15/2005, che prevede una disciplina generale (art. 14 e ss.) e una disciplina speciale per alcuni procedimenti di particolare complessità (art. 14 bis). Di norma la conferenza vieneconvo- cata dall’amministrazione procedente, o da quella che cura l’interesse prevalente, ma può essere anche richie- sta da qualunque amministrazione coinvolta, tramite il responsabile del procedimento. Può essere inoltre in- detta su richiesta del privato interessato, quando la sua attività sia subordinata ad atti di consenso di più am- ministrazioni pubbliche (art. 14, co. 4). La pubblica amministrazione si avvale della conferenza laddove ri- tenga opportuno esaminare contestualmente i vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministra- tivo o in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti i medesimi risultati e attività (art. 14, co. 1 e 3; cosiddetta conferenza di servizi istruttoria); oppure qualora debba acquisire intese, concerti, nullaosta o as-

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1.2. La legge 24 febbraio 1992, n. 225

Nel 1981 il regolamento d’esecuzione della l. 8 dicembre 1970, n. 996283, recante le norme sul soccorso e l'assistenza alle popolazioni colpite da calamità, individua per la prima volta dopo 11 anni dall’approvazione della legge, gli organi ordinari (Ministro dell’Interno, Prefetto, Commissario di Governo nella Regione, Sindaco) e straordinari

sensi, comunque denominati, da parte di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione da parte dell’amministrazione competente della relativa richiesta, o qualora il provvedimento finale sostituisca tutti gli atti di competenza delle amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare ma assenti (art. 14, co. 2, prima parte, e 14 ter, co. 9; cosiddetta conferenza di servizi decisoria).

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Per la prima volta il nostro ordinamento recepisce il concetto di Protezione Civile e precisa la nozione di calamità naturale e catastrofe. Si afferma quindi il concetto di Protezione Civile intesa come predisposizione e coordinamento degli interventi e si individuano i compiti fondamentali affidati ai vari organi della prote- zione civile per una razionale organizzazione degli interventi e per far arrivare nel modo più rapido ed effica- ce i soccorsi alle popolazioni colpite.

La direzione e il coordinamento di tutte le attività passano dal Ministero dei Lavori Pubblici al Ministero dell’Interno. E’ prevista la nomina di un commissario per le emergenze, che sul luogo del disastro dirige e coordina i soccorsi. Per assistere la popolazione dalla prima emergenza al ritorno alla normalità vengono creati i Centri Assistenziali di Pronto Intervento (Capi). Per un miglior coordinamento dell’attività dei vari ministeri viene istituito il Comitato Interministeriale della Protezione Civile.

Per la prima volta viene riconosciuta l’attività del volontariato di Protezione Civile: è il Ministero dell’Interno, attraverso i Vigili del Fuoco, ad istruire, addestrare ed equipaggiare i cittadini che volontaria- mente offrono il loro aiuto.

La l. 96/70 privilegia il momento dell’emergenza: di fatto si disciplina solo il soccorso da mettere in campo nell’immediatezza dell’evento. Il regolamento d’esecuzione della legge viene approvato solo dopo 11 anni; nel frattempo rovinosi terremoti colpiscono nel 1976 il Friuli e nel 1980 la Campania.

In occasione di questi due grandi terremoti, che provocano rispettivamente 976 e 2570 vittime, la gestione dell’emergenza e della ricostruzione è molto diversa, anche se i primi giorni sono caratterizzati in entrambi i casi dalla lentezza dei soccorsi e dalla mancanza di coordinamento.

In Friuli Venezia Giulia vengono coinvolti da subito il governo regionale e i sindaci dei comuni colpiti, che lavorano in stretto contatto con il Commissario straordinario (Giuseppe Zamberletti) fin dall’inizio dell’emergenza. Per la prima volta vengono istituiti i “centri operativi”, con l’obiettivo di creare in ciascun comune della zona colpita un organismo direttivo composto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbli- che e private, sotto la presidenza del sindaco, con il potere di decidere sulle operazioni di soccorso, cono- scendo le caratteristiche del territorio e le sue risorse. Anche nella fase della ricostruzione viene dato potere decisionale ai sindaci per avere un controllo diretto sul territorio che allo stesso tempo faccia sentire le istitu- zioni vicine ai cittadini. La popolazione partecipa attivamente alla ricostruzione del tessuto sociale e urbano secondo il “modello Friuli”, “com’era, dov’era”, completata in poco più di 15 anni.

La gestione dell’emergenza dopo il terremoto dell’Irpinia è fallimentare, sia nelle prime ore post sisma sia nella successiva fase della ricostruzione. I primi soccorsi sono caratterizzati dalla totale mancanza di coordi- namento: volontari, strutture regionali e autonomie locali si mobilitano spontaneamente senza aver avuto in- dicazioni e precisi obiettivi operativi dal Ministero dell’Interno. Dopo il caos dei primi tre giorni, il Governo interviene nominando il Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che riesce a riorganizzare i soccor- si e a dialogare con i sindaci.

Di fronte a queste catastrofi il sistema dei soccorsi mostra tutti i suoi limiti: si apre un dibattito civile e cultu- rale con l’obiettivo di superare il vecchio assetto operativo. Comincia a farsi strada l’idea che i disastri vada- no affrontati dopo averli “immaginati, descritti e vissuti” prima e che occorra dimensionare le strutture di in- tervento tenendo conto di scenari già elaborati e di misure di prevenzione già messe in atto. Si comincia a parlare di Protezione Civile non solo come soccorso, ma anche come previsione e prevenzione.

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(Commissario straordinario), disciplinandone le rispettive competenze, e la Protezione Ci- vile viene quindi definita compito primario dello Stato.

Nel 1982 con la legge n. 938, per la conversione in legge, con modificazioni, del decreto- legge 12 novembre 1982, n. 829, concernente interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite da calamità naturali o eventi eccezionali, viene formalizzata la figura del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile284, una sorta di “commissario permanente” pronto ad intervenire in caso di emergenza, in modo da evitare ogni volta di individuare un commissario.285 Il Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile si avvaleva del Dipartimento della Protezione Civile, istituito con DPCM del 22 giugno 1982. Il Diparti- mento della Protezione Civile raccoglieva informazioni e dati in materia di previsione e prevenzione delle emergenze, predisponeva l’attuazione dei piani nazionali e territoriali di Protezione Civile, organizzava il coordinamento e la direzione dei servizi di soccorso, promuoveva le iniziative di volontariato e, infine, coordinava la pianificazione d’emergenza, ai fini della difesa civile.

La svolta definitiva arriva con la l. 24 febbraio 1992, n. 225, per l’istituzione del Servizio nazionale della Protezione Civile, il cui compito era quello di tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi. La struttura di Protezione Civile viene per- tanto profondamente riorganizzata come un sistema coordinato di competenze al quale

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Art.1, Per provvedere alle esigenze connesse agli interventi di primo soccorso alle popolazioni ed a quelli necessari per la riattivazione degli immobili danneggiati dagli eventi sismici che hanno colpito nei giorni 17 ottobre 1982 e successivi alcuni comuni della regione Umbria, il Ministro per il coordinamen- to della protezione civile è autorizzato ad utilizzare, con le modalità del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 428, convertito, con modificazioni, nella legge 12 agosto 1982, n. 547, le disponibilità del "Fondo per la Protezione Civile" di cui all'articolo 2 del medesimo decreto-legge.

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A seguito del clamore e delle polemiche dovute al caso del mancato soccorso al piccolo Alfredino Rampi, l'incidente di Vermicino in cui perse la vita il piccolo caduto in un pozzo artesiano, con il decreto legge nº 57 del 27 febbraio 1982 (convertito nella legge n. 187/1992) Zamberletti è il primo ad essere nominato a capo del nuovo Ministero per il Coordinamento della Protezione Civile, che nella sua attività si avvarrà del Dipar- timento della Protezione Civile, istituito con DPCM del 22 giugno 1982, con a capo Elveno Pastorelli, il co- mandante dei Vigili del Fuoco di Roma che aveva coordinato le iniziative di salvataggio di Alfredo Rampi.