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Una volta concluso il discorso di Socrate, la conversazione tra Fedro e il filosofo si sposta sul tema della retorica. Fedro risponde a Socrate senza riconoscere la rilevanza dei contenuti filosofici che egli ha esposto, ma si esprime esclusivamente in relazione alla superiorità del suo discorso dal punto di vista retorico. La retorica è un tema caro a Platone, che lo affronta in diversi dialoghi, principalmente nel Gorgia. Essa, così come eros, ha per Platone uno stretto legame con la verità che emerge subito nel Fedro, quando Socrate domanda al giovane: «Non è forse necessario che i discorsi ben detti presuppongano nella mente di chi li tiene la conoscenza della verità in merito all'argomento di cui si deve parlare?» (Fedro, 259d). Fedro risponde facendo presente a

85 Vedi supra, p. 85.

Socrate che molti sostengono il contrario, ovvero che ciò che conta nella retorica non è la verità, ma l'opinione di coloro a cui si rivolgono i discorsi, ovvero «non ciò che è realmente buono, ma ciò che sembrerà tale» (Fedro, 260a). Socrate e Fedro cominciano allora ad interrogarsi sulle caratteristiche della retorica e concordano che, per persuadere o ingannare, è necessario conoscere le somiglianze o le dissomiglianze tra le cose: non è possibile ingannare se non si conosce con certezza la verità sull'argomento di cui si parla (Fedro, 262b).

Poiché conoscere la natura delle cose non è semplice, Socrate individua un metodo composto da due procedimenti: uno che considera «insieme ciò che è molteplice e disseminato per ricondurlo a una sola forma, in modo da rendere chiara, definendola, ciascuna cosa intorno a cui ogni volta si voglia insegnare» (Fedro, 265d) e uno che consiste nel «suddividere nuovamente l'oggetto per specie, seguendone le articolazioni naturali» (Fedro, 265c). Viene così delineato il procedimento proprio del dialettico: la capacità di condurre prima il molteplice ad un'unica idea, e poi suddividere tale idea secondo le sue linee naturali, offrendone un quadro sinottico. Un esempio di questo procedimento è riscontrabile nella definizione che Socrate dà della mania per spiegare come sia stato possibile passare da un discorso di biasimo nei confronti di eros ad uno di lode: entrambi i discorsi hanno considerato come unica la follia che colpisce gli uomini, ma se si utilizza il procedimento dialettico è possibile offrirne un quadro sinottico che mostra una diramazione interna al concetto di mania: esiste una follia «derivante dalle malattie umane» (Fedro, 264b), e una che consiste in una condizione provocata dalla divinità. Questo procedimento di “ascesa” e “discesa” proprio del dialettico, è l'unico in grado di svelare il funzionamento della retorica e condurre alla verità sull'oggetto dell'argomentazione,, quella verità che sta alla base di ogni tipo di persuasione, anche di

quella che mira all'inganno.

Per persuadere non è sufficiente che il retore conosca dell'oggetto di cui si parla: occorre conoscere anche la natura dell'anima, in particolare quanti e quali tipi di anime esistono, poiché non tutti gli uomini si lasciano persuadere dai medesimi discorsi. Socrate sostiene che discorsi diversi siano in grado di persuadere tipologie di anime diverse (Fedro, 271d), e per questo occorre essere consapevoli degli effetti che specifiche tipologie di discorsi possono avere e su anime diverse. Questo aspetto è comune alla retorica e alla medicina: come la medicina deve conoscere il corpo per curarlo, così è necessario per la retorica conoscere la natura dell'anima per avere effetto su di essa (Fedro, 270b). il procedimento da seguire per conoscere l'anima è quello proprio di una techne:

Non bisogna forse ragionare intorno alla natura di una cosa, quale che sia, nel seguente modo? Prima di tutto, se sia semplice o multiforme ciò di cui vogliamo diventare esperti e capaci di rendere tali gli altri; in un secondo momento, nel caso sia semplice, occorre indagare la sua capacità, vale a dire da un lato quale capacità di agire abbia, e su che cosa, dall'altro quale di subire e per opera di che cosa. Nel caso sia invece multiforme, occorre enumerarne le parti, per vedere, come nel caso dell'oggetto unico, quale capacità abbia di agire e su che cosa, e quale di subire e per opera di che cosa (Fedro, 270d).

Il retore è chiamato a catalogare i tipi di anime e a stabilire i generi di discorso che si addicono a ciascuno. A questa conoscenza va aggiunta quella «del momento opportuno per parlare o tacere, riconoscendo anche la misura adatta e inadatta per i discorsi brevi, lo stile compassionevole, quello veemente e tutti i generi di discorsi appresi: solo allora si sarà raggiunta una completa perfezione della tecnica» (Fedro, 272a).

Questa approfondita descrizione dei meccanismi della retorica si spiega con la convinzione platonica per cui «la potenza del discorso culmina nella guida delle anime» (Fedro, 271d). Solo chi conosce la verità sia riguardo all'oggetto di cui parla, sia riguardo

agli effetti che il tipo di discorso ha e su quali tipi di anime, può esercitare un'efficace persuasione nell'anima dell'interlocutore e impiantare in lui quei discorsi che lo porteranno alla pratica della filosofia. Per comprendere meglio che cosa si intenda con “impiantare nell'anima” i discorsi, occorre fare riferimento alla critica alla scrittura presente nelle ultime pagine del Fedro e che viene introdotta con un mito: il mito di Theuth.

Tale mito narra l'invenzione della scrittura da parte di Theuth, un dio che vive in Egitto sotto il regno di Thamous. Nel presentare la sua invenzione, Theuth descrive la scrittura come uno strumento in grado di favorire sapienza e memoria. Il re, al contrario, gli spiega che essa genera oblio sulle anime di chi l'apprende, poiché, confidando nella scrittura, gli individui non esercitano la memoria dall'interno di se stessi, ma dall'esterno (Fedro, 275a). Questa affermazione è da collegare con la reminiscenza, il processo favorito d a eros in grado di risvegliare nell'anima il sapere già presente in essa. I discorsi possiedono questa capacità preziosa di “guidare” l'anima in questo percorso di riscoperta della verità, ma non indifferentemente nei confronti dei vari individui: abbiamo visto sopra che certi tipi di discorsi si adattano a certe anime e non ad altre, e se «l'unico vero sapere è il sapere che è nell'anima, il criterio per stabilire il valore relativo dei discorsi risiede nella maggiore o nella minore incidenza che un discorso riesce ad ottenere su questo terreno»87. Il discorso scritto, ad esempio, possiede un difetto ineliminabile: può finire nelle mani di chiunque ed essere letto sia da coloro sui quali può avere un effetto positivo, che da coloro che possono fraintenderlo. In altre parole, il problema principale della scrittura consiste nell' «incapacità di armonizzare anime e discorsi»88. Inoltre, un discorso scritto non può venire «in soccorso a se stesso» (Fedro, 276a): ormai fissato ed immutabile, non può

87 F. Trabattoni, Scrivere nell'anima, La Nuova Italia Editrice, 1993, pp. 63-64. 88 Trabattoni, op. cit., p. 68.

chiarire in alcun modo al lettore il significato che vuole veicolare, rischiando di essere inutile o, nei casi peggiori, dannoso. Il discorso orale, invece, permette all'oratore di scegliere i discorsi oche più si adattano all'anima dell'individuo che li ascolta, favorendo il recupero interiore della verità in cui consiste la vera conoscenza. È possibile riconoscere che il discorso scritto possiede una funzione positiva: è un utile «supporto per la memoria di chi già sa» (Fedro, 278a). Tuttavia, dato che «la verità è un attributo dell'anima e non dei discorsi»89

è molto più bello impegnarsi sul serio qualora, valendosi dell'arte dialettica e presa un'anima appropriata, con scienza (episteme) si piantino e si seminino discorsi, i quali sono in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e che, invece di essere sterili, hanno un seme da cui nasceranno sempre altri discorsi in altri caratteri, così da riuscire a rendere il processo immortale, e da far felice chi lo possiede nel più alto grado possibile a un essere umano. (276e-277a)

La differenza fondamentale stabilita dal Fedro non è dunque quella fra discorso scritto e discorso orale, ma fra il sapere dell'anima e i discorsi in generale90. Quello che conta è la capacità del discorso di risvegliare la verità presente nell'anima.

Anche nel Simposio si riscontrano riferimenti al potere delle parole: l'ascesa dell'individuo verso la verità prevede ad ogni tappa la creazione di discorsi che conducano l'anima a conquiste cognitive fondamentali per progredire nel percorso verso la contemplazione del Bello ideale. A differenza del Fedro, però, non si parla di dialettica, la quale, se contribuisce all'ascesa come abbiamo appena ipotizzato, lo fa favorendo il processo per cui l'anima riconduce il molteplice all'unità, senza che faccia poi la comparse un movimento “discendente”, ovvero di ritorno alla molteplicità, come quello delineato nel

89 Ivi, p. 72. 90 Ivi, p. 63.