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Dalla realtà sensibile all'intelligibile

La seconda parte del curriculum educativo è riservata a coloro che sono idonei ad intraprendere il percorso di ascesa filosofica. Questi individui possiedono una natura filosofica: «amano sempre una disciplina che sveli loro un po' di quell'essenza che perennemente è e che non subisce le vicissitudini della generazione e della corruzione» (Resp. 485a-b). Il passaggio da guardiano a filosofo costituisce l'inizio di un percorso di conoscenza articolato e complesso. Affinché i guardiani diventino filosofi, non devono mai interrompere la strada dell'apprendimento, ma devono «percorrere il giro più lungo e affaticarsi nello studio non meno che nella ginnastica» (Resp. 504d), altrimenti non verranno mai a capo della disciplina più sublime, quella che ha per oggetto l'idea del Bene, quell'idea che occupa il sito più alto del mondo intelligibile. Essa viene immediatamente introdotta:

di essa non abbiamo una conoscenza adeguata; ma se non ne abbiamo conoscenza, anche se conoscessimo perfettissimamente tutto il resto senza di questa, vedi bene che non ne ritrarremmo nessun giovamento, come non lo ritrarremmo se possedessimo una cosa senza il bene (Resp. 505a- b).

Possedere l'Idea del Bene è per il filosofo una conquista imprescindibile. Definirla chiaramente, però, risulta essere un'impresa alquanto difficile. Innanzitutto veniamo a sapere che non è possibile identificare il “Bene” né con l'intelligenza, né con il piacere (Resp. 505b). L'identificazione del Bene con l'intelligenza produce una definizione circolare: l'intelligenza è tale, infatti, soltanto se ha per oggetto il Bene, quindi non può essere identificata con il Bene in sé. L'identificazione del Bene col piacere, ancora, genera una contraddizione non appena si riconosce che esistono piaceri cattivi. Infatti, se il Bene coincide con il piacere, allora qualsiasi piacere deve costituire un bene, ma è possibile individuare più di un esempio che dimostra il contrario (Resp. 505c-d).

Il Bene viene, inoltre, distinto dal giusto e dal bello: gli individui, pur essendo disposti a compiere azioni che appaiono giuste o belle senza in realtà esserlo, non accettano, di contro, di possedere beni che sono tali solo in apparenza (Resp. 505d). A questo proposito si afferma anche che per i guardiani di kallipolis è fondamentale conoscere in che relazione le cose giuste e belle stanno con l'idea del Bene (Resp. 506a), se desiderano possederne una conoscenza autentica. Per chiarire la natura di questa “suprema” Idea, Platone presenta un'analogia tra il Bene e il sole, osservando che «ciò che nel mondo intelligibile il bene è rispetto all'intelletto e agli oggetti intelligibili, nel mondo visibile è il sole rispetto alla vista e agli oggetti visibili» (Resp. 508c).

Il sole mette in atto la potenzialità della vista: quando guardiamo oggetti illuminati dal sole, riusciamo a vedere, mentre quando guardiamo oggetti oscuri, è come se fossimo ciechi (Resp. 508c). Il Bene fa lo stesso con l'anima: quando essa si fissa su ciò che è illuminato dalla verità e dall'essere, ovvero il Bene, lo coglie e lo conosce, mentre quando si fissa su ciò che è oscuro e “viene ad essere e perisce”, allora ha solo opinioni, si offusca e

somiglia a chi non ha intelletto (nous).

questo elemento che conferisce la verità e a chi conosce dà la facoltà di conoscere, dì pure che è l'idea del bene; e devi pensarla causa della scienza e della verità, in quanto conosciute. Ma per belle che siano ambedue, conoscenza e verità, avrai ragione se riterrai che diverso e ancora più bello di loro sia quell'elemento. E come in quell'altro ambito è giusto giudicare simili al sole la luce e la vista, ma non ritenerle il sole, così anche in questo è giusto giudicare simili al bene ambedue questi valori, la scienza e la verità, ma non ritenere il bene l'una o l'altra delle due. […] agli oggetti visibili il sole conferisce non solo la facoltà di essere visti, ma anche la generazione, la crescita e il nutrimento, pur senza essere esso stesso generazione […] anche gli oggetti conoscibili non solo ricevono dal bene la proprietà di essere conosciuti, ma ne ottengono ancora l'esistenza e l'essenza, anche se il bene non è essenza, ma qualcosa che per dignità e potenza trascende l'essenza ( Resp. 508e-509b).

Come il sole fornisce alle cose visibili non solo la nascita, la crescita e il nutrimento, ma anche la capacità di essere viste, così il Bene conferisce ai conoscibili sia l'essere che l'essenza (ousia). Platone imposta il discorso sia a livello conoscitivo che ontologico: essendo il Bene causa di conoscenza e verità, ma trovandosi al di là dell'essere, dal punto di vista conoscitivo è possibile pensare che esso sia immaginabile come l'orientamento di ogni conoscenza, mentre dal punto di vista ontologico come ciò in vista di cui ogni agire tende (benché l'analogia sia con il sole, che non è causa finale ma efficiente)118. In generale, però, Platone non spiega in modo sistematico perché e in che senso il bene sia causa dell'essere e della scienza, né cosa significhi il suo essere al di là dell'essere119.

Un ulteriore chiarimento è offerto grazie all'immagine della linea (Resp. 509d-511e), intesa come una prosecuzione dell'analogia fra sole e Bene. Platone invita ad immaginare una linea divisa in due segmenti, uno per la sfera del visibile e uno per quella

118Cfr. Bruno Centrone, La Repubblica, Roma, Bari, Laterza, 2001, p. 770. 119Cfr. ivi, p. 771.

dell'intelligibile, a loro volta divisi in due “sotto-segmenti”. Secondo l'interpretazione onto- gnoseologica120, ognuno di questo quattro sotto-segmenti rappresenta una “fase della conoscenza” a cui corrispondono da un lato certi tipi di oggetti distinti secondo gradi dell'essere, ovvero in progressione crescente di realtà ontologica, dall'altro le affezioni dell'anima, ovvero le modificazioni che si verificano in essa quando ha a che fare con tali oggetti. Le diverse fasi sono distinte in base a criteri di verità e chiarezza: come le diverse tipologie di oggetti partecipano in grado differente della verità, le affezioni partecipano in grado differente della chiarezza, e la chiarezza ottenibile dall'intelletto dipende dal grado di verità proprio degli oggetti.

Il primo sotto-segmento, ovvero il grado più basso della linea (che occorre, appunto, immaginarsi in verticale), corrisponde all'immaginazione/congettura (eikasia) che si verifica nell'anima quando si trova in relazione alle immagini delle cose sensibili, come le loro ombre e i loro riflessi (Resp. 509e-510a). Al secondo sotto-segmento corrisponde invece la “credenza fondata” (pistis) in relazione alle cose sensibili, come gli animali, le piante e tutti gli oggetti artificiali (Resp. 510a-b). Il segmento dell'intelligibile, invece, vede corrispondere la sua parte inferiore alla dianoia, traducibile con “intellezione articolata”121, quella che ha che fare con gli oggetti delle scienze matematiche, geometriche e simili, che si servono delle cose visibili per cogliere l'intelligibile (Resp. 510b-511a). L'ultimo sotto- segmento, infine, il più alto, corrisponde alla dialettica, che permette di vedere e contemplare le Idee, gli enti immutabili.

L'ultima “fase” è qualcosa che il filosofo è chiamato a raggiungere, e in questo senso le distinzioni interne all'immagine della linea possono essere viste come tappe di un

120Questa interpretazione si oppone a quella illustrativa, secondo cui i due segmenti inferiori della linea si limitano a illustrare analogicamente, proseguendo l'analogia del sole, il rapporto tra i due metodi di conoscenza, matematica e dialettica, descritte nei due segmenti superiori.

percorso di ascesa dal mondo sensibile a quello intelligibile.

Si tratta di un percorso filosofico che Platone cerca forse di illustrare con il mito della caverna, che vale la pena riprendere, date le assonanze con l'immagine della linea che ne hanno, tra l'altro, favorito un'interpretazione in analogia con essa. I prigionieri della caverna sono legati mani e piedi, costretti ad osservare delle ombre proiettate sul muro di fronte a loro grazie alla luce di un fuoco dietro di loro, convinti che quella sia la realtà. Quando uno di loro viene slegato e condotto presso la realtà esterna, lungo un percorso articolato e difficoltoso, passa dalla visione delle ombre proiettate sul muro a quella degli oggetti “reali” di cui prima vedeva le ombre, rendendosi conto di come quella che credeva essere la realtà fosse in realtà un'illusione, per poi progredire ancora uscendo dalla caverna e vedendo le cose che sono al di fuori, nel mondo superiore (Resp. 516a), autentico. Anche qui, dato che i suoi occhi non sono ancora abituati alla luce, prima di vedere gli oggetti, è costretto a guardare il loro riflesso nell'acqua. Solo in seguito riesce a guardare gli oggetti illuminati dalla luce del sole, per riuscire infine a guardare direttamente il sole.

Il tentativo di mettere in corrispondenza le tappe attraversate dal prigioniero con i gradi della conoscenza presentati nell'immagine della linea ha creato non poche difficoltà. La prima tappa, ovvero la visione delle ombre, dovrebbe corrispondere al grado più basso delle affezioni dell'anima presente nella linea: l'immaginazione/congettura (eikasia). Questa corrispondenza è però già problematica: chi vede ombre, secondo la linea, sa di vedere delle immagini riflesse, mentre il prigioniero è convinto che le ombre siano reali. Lo stato conoscitivo del prigioniero sembra corrispondere alla credenza (pistis) piuttosto che all'eikasia, ma nella linea la pistis corrisponde allo stadio successivo alla visione delle ombre e dei riflessi, il secondo grado della conoscenza. Se allora cerchiamo di individuare una corrispondenza della pistis con la seconda tappa del percorso attraversato dal

prigioniero troviamo nuovamente un'incongruenza: la liberazione dalle catene implica una condizione conoscitiva in cui lo stato di “credenza” è già superato.

Vi è, tuttavia, la possibilità di interpretare la visione delle ombre nella caverna in modo simbolico e non in stretta corrispondenza con il primo stadio conoscitivo della linea, ovvero vedendole come false credenze dal punto di vista etico, false opinioni122 da cui è necessario liberarsi. Per quanto riguarda le fasi successive del percorso del prigioniero liberato, abbiamo che la visione del riflesso degli oggetti nell'acqua dovrebbe corrispondere alla fase della dianoia nella linea, quella in cui ci si serve degli enti matematici come immagini delle entità ideali, e la visione delle cose sensibili corrisponderebbe alla conoscenza vera delle Idee (episteme). La visione del Sole, infine, corrisponde alla contemplazione dell'Idea del Bene.

Tra le immagini che il prigioniero vede appena uscito dalla caverna, ovvero i riflessi, e il mondo matematico non c'è, di nuovo, una chiara corrispondenza: agli enti matematici si giunge a partire dagli oggetti sensibili, operando una sempre maggiore astrazione, ma i riflessi degli oggetti nell'acqua fuori dalla caverna non hanno alcuna relazione con il mondo dentro la caverna. Vediamo così che, in generale, la sequenza tra gradi della conoscenza presente nell'immagine della linea non trova corrispondenza nel mito della caverna.

Al di là di tali difficoltà, comunque, l'immagine della caverna offre l'illustrazione di un percorso di progressivo avvicinamento alla verità, a quel mondo delle Idee che costituiva già la meta ultima degli altri percorsi di “elevazione dell'anima” che Platone ha esposto sia nel Simposio che nel Fedro.

Sciogliersi dai legami, volgersi dalle ombre alle immagini e alla luce, ascendere dal mondo sotterraneo verso il sole […]: questo potere è posseduto da tutto quello studio delle arti di cui abbiamo discorso, uno studio che eleva la parte migliore dell'anima alla contemplazione dell'essere più sublime (Resp. 532 b-c).

Quando Platone parla dello “studio delle arti di cui abbiamo discorso” si riferisce al curriculum educativo che abbiamo visto cominciare con ginnastica e mousiké, di cui ricordiamo la capacità di fornire all'anima una pre-concezione di ciò che è bello, cui si aggiungono poi i mathemata e la dialettica. La necessità di un tale percorso educativo che si estende per anni può essere colta alla luce delle difficoltà che caratterizzano l'uscita dalla caverna: il prigioniero liberato non riesce subito a guardare la luce del sole, che possiamo senza problemi leggere in analogia con il Bene, ma è costretto ad attendere che i suoi occhi si abituino prima di riuscirci, e solo dopo che questo è avvenuto egli in grado di giudicare ciò che vede più vero della realtà della caverna (Resp. 515c-516c). È in questo senso che Platone afferma che la ragione deve voltarsi in direzione della verità insieme a tutta l'anima (Resp. 518c): essa deve essere capace di resistere a tale contemplazione, e deve perciò essere allenata in precedenza con le discipline che Platone ha inserito nel suo programma educativo.

Quando la dialettica capita in mano ai giovani, infatti, essi se ne servono a loro piacimento come se fosse un gioco, per contraddire chiunque gli capiti, e finiscono così per rinnegare tutto ciò in cui credono, gettando scredito su se stessi e sulla filosofia (Resp. 539b-c). Essi devono imparare le basi della dialettica, ma prima di giungere alla “meta ultima” dovranno assumere i comandi bellici e ricoprire le cariche pubbliche, affinché ne facciano esperienza e vengano messi alla prova. Se il loro animo non è turbato dai fini proposti dalla carriera militare e politica, una volta raggiunti i cinquant'anni d'età

verranno costretti a volgere in su il raggio dell'anima e a guardare a ciò che a ogni cosa dà luce; e dopo aver veduto il bene in sé a usarlo come un modello e ordinare, ciascuno a turno, per il resto della vita, lo stato e i privati cittadini e se stessi (Resp. 540a-b).

Il percorso educativo si estende lungo tutto l'arco della vita, e coloro che riescono a raggiungere il culmine della più alta educazione sono indubbiamente coloro che Platone ritiene prescelti per ricoprire le cariche governative. Essi hanno il compito di prendere le decisioni più importanti in quanto sono i soli in grado di deliberare basandosi sulla verità, senza perdersi nella molteplicità delle opinioni. Essi sono capaci prima di tutto di mantenere saldo il controllo della propria anima, dato che, come abbiamo visto, la loro anima si caratterizza per il migliore equilibrio interno possibile: la ragione possiede il comando, la parte irascibile è in accordo con essa e quella passionale le obbedisce.

Nella Repubblica, a differenza del Simposio e del Fedro, il filosofo è invitato, una volta contemplata la realtà immutabile delle Idee, a non «plasmare solo se stesso» (Resp. 500d), ma a modificare anche la polis sulla base di tale «modello divino» (Resp. 500e): egli è chiamato a gettare il proprio sguardo ora da un lato ora dall'altro al fine di migliorare la costituzione della città e gli altri uomini in base al modello ideale (Resp. 500d). Quello che nel Simposio era lo stadio finale e che nel Fedro era seguito da un movimento discendente dall'unità alla molteplicità nell'ambito di una corretta argomentazione dialettica, nella Repubblica è seguito dalla necessità di tornare indietro nella vita pubblica. Questo aspetto si pone in sintonia con il progetto generale di riforma sociale che muove Platone quando scrive la Repubblica. Tuttavia, si afferma che il filosofo si trova “costretto” (Resp. 500d) a tradurre in caratteri umani gli oggetti della sua visione, sintomo del fatto che preferirebbe passare il resto della sua vita contemplando le Idee piuttosto che impegnarsi nell'attività politica123, il che significa in qualche modo occuparsi di affari dai

quali il filosofo si sente ormai distante, avendo conosciuto una realtà più perfetta e divina.