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Interesse di Platone è riflettere su un sistema educativo che possa influire sull'anima dei cittadini, quella che è per lui l'essenza autentica dell'uomo, ricercandone la giustizia. Per questa ragione, troviamo riferimenti specifici e dettagliati alla composizione interna dell'anima, che, come vedremo, si pongono in continuità con il mito della biga alata

presente nel Fedro. Nella Repubblica tutti i desideri, compresi gli appetiti fisici, vengono collocati nell'anima piuttosto che nel corpo, in una concezione innovativa rispetto alla tradizione precedente: viene superata la posizione di pensiero di origine orfico-pitagorica che vede l'opposizione sia ontologica che morale tra anima e corpo, in cui la prima rappresenta la polarità divina, immortale e incontaminata, e il secondo l'impurità sia morale che conoscitiva91.

Occorre precisare che sono presenti, nella Repubblica, delle incongruenze riguardo alla natura dell'anima: nel IV libro Platone ne distingue le varie parti che la compongono, ma quando cerca di dimostrare la sua immortalità nei libri IX e X precisa che l'anima che sopravvive alla morte e che si reincarna dopo aver contemplato le Idee è semplice e ben separata dal corpo (Resp. 611b-612a), quindi non corrisponde esattamente a quella che precedentemente aveva indagato in tutta la sua complessità. Quando Platone scrive il Fedone (Phaed. 108a-c), attribuisce all'anima solamente la facoltà razionale, e ritiene passioni ed emozioni, così come l'appetito fisico puro, elementi corporei che hanno come scopo quello di trascinare l'anima in basso, al proprio livello92. La conseguenza di tale posizione è che passioni ed emozioni debbano essere repressi in favore di una “coltivazione” dell'anima che la conduca ad acquisire quelle caratteristiche che avrebbe se fosse disincarnata, in una sorta di "pratica per la morte". Tuttavia, abbiamo visto che le anime disincarnate di cui Platone ha parlato nel mito della biga alata nel Fedro sono composte da tre parti: le anime che sono destinate all'incarnazione nei corpi mortali possiedono già tutti e tre gli elementi prima della caduta dal cielo, mentre ancora cercano di intravedere la realtà nella pianura della verità93. Siamo in una evidente difficoltà se

91 Cfr. Mario Vegetti, Guida alla Repubblica di Platone, Roma, Laterza, 1999, p. 56. Ho fatto simili riferimenti già nel III capitolo, trattando il mito della biga alata nel Fedro, vedi supra, p. 83.

92 Cfr. Sassi, Eros come energia psichica, cit., p. 276. 93 Vedi supra, p. 84-86.

confrontiamo questa visione del destino ultraterreno dell'anima con quelle di altri dialoghi. C'è probabilmente una contraddizione irrisolta nel pensiero stesso di Platone, che oscilla fino alla fine tra una concezione religioso-pitagorica dell'anima concepita in contraddizione dualista al corpo e una concezione dell'anima intesa essenzialmente come sede di una varietà di desideri, compresi quelli fisici94. Guthrie95, ad esempio, sostiene che Platone non abbia mai, in realtà, cambiato radicalmente la sua posizione riguardo l' “essenza” dell'anima: a suo avviso è improbabile che sia arrivato ad includere le due parti inferiori dell'anima nella sua natura più pura e più vera, ma è più plausibile che sia sempre stato convinto che solo la ragione, o per meglio dire, quella parte dell'anima che aspira alla sapienza e alla conoscenza, sia immortale.

Al di là della questione dell'immortalità dell'anima, che non possiamo ulteriormente approfondire in questa sede, è utile ritornare sulla novità significativa della Repubblica, che era già emersa nel mito della biga alata esposto nel Fedro: Platone indaga il conflitto tra passioni, emozioni e razionalità, situandolo interamente nell'anima. La conseguenza di questa nuova consapevolezza è che viene data una maggiore importanza al ruolo di passioni ed appetiti, spostando l'attenzione sulla necessità di una loro regolazione o armonizzazione, piuttosto che di una loro repressione.

Platone individua tre parti dell'anima che sono di fatto tre “centri motivazionali”96: uno passionale, uno animoso e uno razionale, ognuno dei quali possiede diversi tipi di bisogni e desideri. A seconda di quali tipi di desideri prevalgono al suo interno, l'anima risulta dominata da una delle tre specifiche componenti e ne segue che l'individuo è portato ad assumere lo stile di vita corrispondente. La prima, la ragione, viene descritta come la

94 Cfr. W. K. C. Guthrie, Plato's View on the Nature of the Soul, in Recherches sur la tradition

platonicienne – Entretiens sur l'antiquité classique, tome III, Genova, 1955, pp. 7-8.

95 Cfr. ivi, p. 8.

parte che desidera la saggezza e l'apprendimento, e permette di ampliare la sfera della conoscenza escludendo da essa tutto ciò che non corrisponde a verità (Resp. 581b). Essa è inoltre, come sottolineeremo meglio più avanti, l'unica in grado di guardare al bene dell'anima nel suo complesso97, mentre le altre due parti, quella epithymetica e quella

thymoeidetica, mirano al solo soddisfacimento dei propri specifici desideri. L'appetito desidera soddisfare i bisogni del corpo e quindi ricerca cibo, bevande, sesso e il denaro necessario per possedere tali oggetti (Resp. 580e), mentre thymos desidera onore e gloria (Resp. 581a-b).

Per delineare questa tripartizione dell'anima Platone fa riferimento alla fenomenologia dei conflitti psichici, a partire dall'assunto che «l'identico soggetto nell'identico rapporto e rispetto all'identico oggetto non potrà contemporaneamente fare o patire cose opposte» (Resp. 436b). Ciò significa che quando incontriamo una contraddizione di questo genere dobbiamo riportare ogni azione a diversi soggetti. Socrate fa l'esempio di un uomo che allo stesso tempo si trova a desiderare e a rifiutare una bevanda (Resp. 439c). Per spiegare come sia possibile provare entrambi gli opposti desideri (possiamo immaginare che abbia sete ma che la bevanda di fronte a lui, se bevuta, gli recherebbe dei danni) non si può che ipotizzare un conflitto interno all'anima tra un elemento appetitivo, quello che suggerisce di bere, e la ragione che tende all'opposto.

Un simile schema viene seguito per distinguere la parte animosa da quella passionale: Socrate racconta la storia di Leonzio (Resp. 439e-440a) che, passando accanto a dei cadaveri distesi ai piedi di un boia, prova un forte desiderio di guardarli. Insieme a questo desiderio prova repulsione per il fatto stesso di desiderare qualcosa di così riprovevole, ritrovandosi a sperimentare un conflitto interiore, una feroce lotta interna alla

propria anima alla fine della quale cede e guarda i cadaveri dicendo ai propri occhi di “godere del bello spettacolo”, ovvero rimproverando se stesso.

Questo esempio mostra che tutti quegli aspetti legati al senso di dignità personale, alla rabbia, all'indignazione e al desiderio di onore non possono appartenere alla parte appetitiva, perché possono risultare contraddittori rispetto ai desideri di tale parte. È così che viene individuata la parte thymoeidetica dell'anima, chiamata anche “animosa”, capace di fare appello a valori come “nobile” e “ignobile”, fondamentali per stabilire la propria condotta. Essa sembra essere anche la sede di emozioni come la vergogna, di cui abbiamo visto la funzione fondamentale all'interno del metodo confutatorio socratico, e di cui abbiamo sottolineato il legame con eros98. In questo specifico caso, la vergogna di Leonzio è provata nei confronti dell'ideale di persona rispettabile e dignitosa che la società gli ha trasmesso e al quale egli sente di dover corrispondere. Essa, unita all'indignazione verso se stesso, comporta necessariamente una credenza valutativa a proposito di che cosa sia giusto e nobile, e questo ci spiega perché thymos sia considerato da Platone l'alleato naturale della ragione (Resp. 441a): il carattere intrinsecamente sociale dei desideri propri della parte thymoedetica possiede un riferimento al bene comune che la ragione può sfruttare per affermare e far prevalere i propri desideri su quelli prettamente fisici della parte epithymetica99.

Potremmo chiederci, a questo punto, in che relazione questa parte stia con quella razionale. Socrate si preoccupa di distinguere thymos anche dalla ragione, sottolineando come esso sia già presente nei bambini e negli animali, in cui la ragione non è ancora sviluppata. Inoltre, fornisce l'esempio di Ulisse (Resp. 441b-c) che, tornato in incognito nel

98 Vedi supra, pp. 8-12.

suo palazzo a Itaca, scopre che le sue ancelle lo hanno tradito con i Proci e prova un immediato e furioso desiderio di ucciderle. Tuttavia egli si rende conto che cedere alla rabbia ridurrebbe le possibilità di raggiungere il suo scopo principale, cioè uccidere i Proci. Omero dice che Ulisse «“percotendosi il petto rimproverava il suo cuore”» (Resp. 441b) e ciò mostra che siamo di fronte ad un caso in cui la parte razionale dell'anima rimprovera quella thymoeidetica per aver cercato di accendersi irrazionalmente e la convince ad allearsi con lei.

Per A. Hobbs100 thymos si distingue dalla ragione anche per la natura delle sue risposte agli eventi circostanti: esse sono immediate, non riflessive, sono parziali e si occupano di questioni morali solo nella misura in cui tali questioni sono direttamente connesse all'immagine che l'agente ha di sé. Come fa notare Fussi101, rabbia e indignazione non vengono provate dal soggetto sulla base della conoscenza di cosa è giusto, ma sulla base di ciò che “appare” giusto. Per questa ragione thymos può facilmente sbagliare, interpretando frettolosamente gli eventi e vedendo ingiustizie là dove non ci sono; oppure può credere che ciò che è stato commesso sia più grave di quanto lo è realmente, portando l'individuo ad esprimere la sua rabbia in modi e luoghi inopportuni. In questi casi spetta alla ragione acquietare thymos e riportarlo sulla giusta strada.

Occorre notare che è possibile sostenere che anche la parte appetitiva abbia una sua propria opinione102, poiché Socrate afferma che durante il sonno la parte appetitiva è in grado di elaborare sogni complessi ed esercitare il governo sull'anima (Resp. 571c-d). Questa è la parte che domina, anche mentre la ragione è sveglia, nel modo di vivere del tiranno.

100Cfr. A. Hobbs, Plato and the Hero, Cambridge, 2000, p. 19. 101Cfr. Fussi, Retorica e potere, Pisa, ETS, 2006, pp. 193-194.

102Cfr. J. Moline, Plato on the Complexity of the Psyche, in De Gruyter, Archiv fur Geschichte der

Tutto questo mostra che l'armonia interna all'anima è qualcosa di tutt'altro che semplice da realizzare, poiché chiama in causa desideri e aspetti valutativi che finiscono spesso per entrare in conflitto tra loro. È proprio nel miglior equilibrio possibile tra di essi, in particolare nella capacità di ognuna delle tre parti di svolgere esclusivamente il proprio compito, che Platone individua la giustizia dell'anima (Resp. 443c-d). Per giungere ad affermare questa importante tesi, Platone sfrutta l'analogia con lo Stato giusto. La decisione di ricorrere a questa analogia è giustificata dal fatto che “è più facile leggere una stessa cosa scritta a caratteri grandi, piuttosto che a caratteri piccoli” (Resp. 368d), ovvero che è utile comprendere in che cosa consista la giustizia nello Stato, dove risulta più chiaro, per riuscire poi a definire la giustizia dell'anima.

Socrate afferma che «entro ciascuno di noi esistono i medesimi aspetti e caratteri che esistono nello stato […] perché nello stato essi non sono venuti che dall'individuo» (Resp. 435e). Buona parte del dialogo è così dedicata alla teorizzazione di un modello di città giusta, “kallipolis”. Tale città è composta da tre classi sociali: quella dei produttori e degli agricoltori, quella dei guerrieri o guardiani, e quella dei governanti. Platone spiega che la classe dei governanti corrisponde alla parte razionale dell'anima, quella dei guardiani alla parte thymoeidetica, o animosa, e quella dei produttori a quella passionale o epithymetica (Resp. 439c-e). Così come la giustizia nello Stato può realizzarsi solamente se ogni classe sociale svolge le proprie mansioni senza invadere i territori di competenza delle altre due (Resp. 433e-434c), nell'anima vi è giustizia se ogni sua parte svolge esclusivamente la propria funzione, rispettando i ruoli delle altre.

E la giustizia, come sembra, era davvero qualcosa di simile: essa consiste nell'adempiere i propri compiti non esteriormente ma interiormente, in un'azione che coinvolge veramente la propria personalità e carattere, per cui l'individuo non permette che ciascuno dei suoi elementi

esplichi compiti propri di altri né che le parti dell'anima s'ingeriscano le une nelle funzioni delle altre; ma instaurando un reale ordine nel suo intimo, diventa signore di se stesso e disciplinato e amico di se medesimo e armonizza le tre parti della sua anima (Resp. 443c-d).

La funzione propria della ragione è “governare” (Resp. 444b). Qualora questo non accada si genera nell'anima l'ingiustizia, che consiste in una sorta di “usurpazione”, ovvero nel tentativo delle altre parti dell'anima di svolgere il compito proprio della ragione (Resp. 444b). Non dobbiamo fare l'errore di pensare che, se a ogni parte dell'anima è riservata una specifica funzione, ognuna sia in grado di svolgere esclusivamente la propria103. Abbiamo già accennato al fatto che anche la parte animosa e quella passionale possiedono una certa capacità di ragionamento, così come la ragione ha dei suoi specifici desideri, come quello della conoscenza.

Nel IX libro della Repubblica Platone attribuisce ad ogni parte dell'anima uno specifico “amore”: la ragione è definita «amante di apprendere e di sapere» (Resp. 581b), la parte animosa «amante di vittoria e di onori» (Resp. 581b), la parte appetitiva «amante di denaro e amante di guadagno» (Resp. 581a), nella misura in cui il denaro permette di soddisfare i suoi appetiti fisici.

Quest'ultimo caso mostra che ci sono cose amate per se stesse e cose amate in quanto strumenti utili al raggiungimento delle prime. Questo non vale solamente per la parte appetitiva, ma può valere anche per la parte animosa: l'oggetto amato per se stesso è l'onore, mentre la vittoria, la buona reputazione, il dominio, sono amati come mezzi per raggiungerlo104. Questa distinzione mezzi/fini offre la possibilità di pensare all'equilibrio interno all'anima come ad una modulazione dei diversi desideri che non prevede tanto che

103Cfr. Moline, op. cit., p. 8. 104Cfr. ivi, p.10.

alcuni di essi vengano repressi in favore di altri, quanto piuttosto subordinati. Ognuna delle tre parti può detenere il comando e subordinare i desideri delle altre due ai propri, ma solamente quando comanda la ragione l'anima si trova nel suo stato ottimale: essa è l'unica capace sia di cogliere e comprendere i desideri delle altre due parti, sia di aiutare le parti stesse ad avere un'autentica e veritiera concezione dei propri desideri:

A proposito di tutti quegli appetiti che si ricollegano all'amore del guadagno e della vittoria, possiamo dire che quelli che seguono la scienza e la ragione e che, aiutati da queste, mirano e riescono a cogliere i piaceri che l'intelligenza indica, coglieranno i più veri, per quanto è loro possibile coglierne i veri. […] Allora se tutta l'anima segue l'elemento filosofico e non è turbata da discordia, ciascuna sua parte, oltre ad adempiere ogni suo altro compito, è giusta; e inoltre gode i propri piaceri, i migliori e i più veri che le sia possibile. […] Quando però uno degli altri elementi abbia il predominio, avviene che esso non riesce a scoprire il proprio piacere e costringe gli altri a perseguirne uno estraneo e non vero (Resp. 586d-587a).

Se l'anima è governata dalla ragione, in essa regna concordia e giustizia, poiché questa parte è in grado di realizzare ciò che è meglio anche per le altre due, qualora riescano a seguire le sue indicazioni. La razionalità, però, non possiede le stesse capacità per comandare sugli altri desideri che invece possiedono la parte animosa e quella passionale, dotate di forza bruta che deriva dalle forti emozioni e dagli urgenti desideri che le caratterizzano. Per dominare su di esse la razionalità può ricorrere esclusivamente alla sua capacita di comprensione e di persuasione105, mentre la parte animosa e quella passionale utilizzano la violenza per detenere il comando. Cerchiamo di capire, perciò, come sia possibile per la parte razionale riuscire a dominare.

Sulla base dell'analogia che abbiamo visto sopra, a membri di classi sociali diverse

viene attribuita la prevalenza di uno dei tre elementi dell'anima: i governanti sono coloro nella cui anima predomina il principio razionale, capace di guidare le anime individuali e la collettività verso il bene comune, i guerrieri quelli in cui predomina thymos, con la sua aggressività collerica che è però disposta ad ascoltare la ragione, e i produttori coloro in cui hanno il sopravvento i desideri epithymetici, che possono essere temperati solamente con la dote morale della moderazione106. Ogni componente di questi gruppi possiede dunque dentro di sé o l'amore per la conoscenza, o quello per l'onore, o quello per i piaceri fisici. Ora, è interessante porre questo punto in relazione con il passo del Simposio che abbiamo citato nel secondo capitolo107 in cui Socrate afferma che eros, inteso come desiderio del bene, può esercitarsi attraverso molteplici sentieri: gli affari, la ginnastica, o la filosofia (Symp. 205d).

Ora, nella Repubblica chi persegue la filosofia è considerato l'unico individuo “giusto”. Come abbiamo accennato inizialmente in quest'opera Platone mira anzitutto a riflettere su come sia possibile realizzare la giustizia nell'anima e nello Stato, e a trovare una soluzione in una riforma dell'educazione. Occorre vedere, quindi, come l'educazione sia in grado di influire sui desideri dell'anima, orientandoli in modo da favorire il dominio della parte razionale.