• Non ci sono risultati.

57 Vedi supra, pp. 53-54. 58 Vedi supra, pp. 36-37.

La discussione prende quindi le mosse a partire dalla lettura da parte di Fedro del discorso di Lisia. Il retore ha cercato di dimostrare la sua abilità nell'arte retorica argomentando in favore di una tesi che contraddice le opinioni socialmente più diffuse. La tesi che Lisia sostiene è che sia meglio per un giovane concedersi a chi non lo ama piuttosto che a chi lo ama. Si tratta di una tesi paradossale, ma i punti argomentativi che tocca non sono moralmente scandalosi, dato che fanno appello ad alcune convinzioni radicate nella società ateniese. Occorre ricordare che Lisia cerca di persuadere un pubblico che ha presente il legame tra eros e le pratiche educative, data la decisiva funzione che le relazioni pederastiche svolgono nella formazione dei giovani ateniesi, trasmettendo valori e norme sociali.

Sottolineando che il fine di tali rapporti è il “miglioramento” del giovane (Fedro, 233a) Lisia cerca di mostrare che una relazione con qualcuno che non è innamorato può offrire più benefici rispetto ad una relazione intrattenuta con qualcuno che si trova in preda al sentimento amoroso. Queste sono le sue parole:

se mi dài retta, ti frequenterò non servendo solo il piacere del momento ma anche il tuo interesse futuro, non dominato dall'amore ma nel pieno possesso di me stesso, senza farmi trascinare in un odio violento per delle piccolezze ma contenendo piuttosto l'irritazione nelle questioni serie, pronto a perdonare i torti involontari e cercando di scongiurare quelli volontari: queste sono le prove di un'amicizia che durerà a lungo nel tempo (Fedro, 233 b-c).

A suo parere, gli innamorati prendono decisioni mentre sono trascinati dalla passione. Concedersi a un uomo innamorato e ascoltare i suoi consigli è dannoso perché chi ama loda le azioni e le parole dell'amato senza tenere conto del loro valore: lo fa per evitare che egli lo odi o perché il suo giudizio è offuscato dal desiderio (Fedro, 233 a-b).

Lisia lascia emergere una valutazione negativa di eros, che viene visto come una follia che si impadronisce degli uomini e che comporta il fatto che essi non siano più «nel pieno possesso delle proprie facoltà» (Fedro, 231d). Per questo motivo, quando tornano in sé, gli innamorati «rimpiangono i benefici che hanno fatto» (Fedro, 231a). Lisia contrappone a questa immagine di innamorato malato quella di un “non amante” sano, capace di valutare lucidamente quali siano le scelte più vantaggiose per sé e per l'amato. Per indicare la “non padronanza” di sé dell'innamorato si parla di mancanza di sophrosyne, un termine che ha sia valore morale che intellettuale: indica sia la temperanza e il controllo di sé, che una mente o un pensiero integro59. Quando Socrate lascerà emergere un'immagine positiva di

eros nel suo secondo discorso affermerà proprio l'opposto, ovvero che la follia erotica è ciò che permette di riscoprire il vero sé, e con esso il giusto modo di vivere, caratterizzato proprio dalla temperanza. Affronteremo questo aspetto più avanti, mentre è significativo riportare qui un passo del discorso di Lisia, in cui vengono descritte nel dettaglio le azioni che sono soliti compiere gli innamorati:

tentano di impedire ai loro amati di frequentare gli altri: temono i ricchi, perché li potrebbero superare con i loro beni, e temono le persone colte, perché potrebbero risultare migliori per intelligenza; diffidano di chiunque abbia un qualche ascendente. Convincendoti a odiare tutti, costoro fanno il vuoto intorno a te. Ma se consideri il tuo interesse personale e mostri più giudizio dei tuoi amanti, è con costoro che dovrai litigare. Al contrario chi non ama, quando grazie alla sua virtù avrà ottenuto ciò che desiderava, non sarà geloso delle tue frequentazioni […] Per di più, molti amanti desiderano il corpo prima ancora di conoscere il carattere o di avere fatto esperienza delle altre qualità: è dunque incerto se vorranno essere ancora amici dopo che il desiderio sarà passato (Fedro, 232c-d).

L'immagine della persona innamorata che emerge in questo passo è quella di un

individuo irrazionale, possessivo, indiscreto, egoista e incostante. I contenuti di questo discorso rispecchiano convinzioni diffuse nella società ateniese, ovvero precetti tradizionali come l'esortazione a non cedere ad eros, visto alla stregua di una malattia, o l'elogio di una temperanza che trae legittimità dai vantaggi che procura. La morale implicita nel discorso di Lisia è che per ottenere la felicità, intesa come successo pubblico e privato, “occorre appagare con intelligenza i propri desideri”60. Il modo più intelligente è ovviamente quello di concedersi ad una persona che non è innamorata, ovvero che mantiene intatta la sua lucidità e la padronanza di sé. La conseguenza è che il rapporto che viene a crearsi sembra d'amicizia più che d'amore, data l'assenza del “dannoso” eros, e lo stesso Lisia non esita a parlare di “amicizia” (philia). Non viene però offerta una spiegazione all'attrazione dell'amante nei confronti dell'amato: se egli non prova amore, e non è accecato dal desiderio erotico, deve esserci un'altra ragione per cui è attratto dal giovane, ma non ci sono indizi in proposito. È possibile ricollegare questa osservazione al fatto che, nel discorso che Socrate pronuncerà subito dopo, il non amante di cui ha parlato il retore si trasforma in un amante mascherato, ovvero in un individuo che prova amore ma finge che non sia così.

Il discorso di Lisia si conclude ribadendo il concetto già sostenuto, secondo il quale conviene concedersi a chi non è innamorato in ragione del fatto che le decisioni che prenderà saranno accompagnate dalla padronanza di sé. L'aspetto ripetitivo, oltre ad altre caratteristiche della struttura compositiva del discorso di Lisia, vengono sottolineate da Socrate come imperfezioni e riprese nella seconda parte del dialogo come esempio di errata costruzione di un discorso retorico. Dopo che si è conclusa la lettura del discorso di Lisia da parte di Fedro Socrate si rivolge così al giovane:

Davvero Fedro, mi è sembrato, ma forse tu sei di altro parere, che siano state ripetute le stesse cose due o tre volte, come se gli mancassero i mezzi per sviluppare lo stesso tema; o come se forse di un simile argomento non gliene importasse nulla. Mi è sembrato proprio un ragazzotto bramoso di mostrare che era capace di dire le stesse cose ora in un modo ora in un altro, ma sempre nel modo migliore (Fedro, 235a).

Socrate afferma che l'argomentazione di Lisia contiene al suo interno ripetizioni e carenze compositive che mostrano come l'interesse principale del retore fosse dimostrare le sue abilità persuasive, piuttosto che comporre un bel discorso. Il filosofo sostiene così di aver sentito pronunciare discorsi migliori (Fedro, 235c) e Fedro lo convince a pronunciare lui stesso un discorso che, centrato sugli stessi temi, risulti migliore. Socrate esita inizialmente, ma poi accetta di pronunciare tale discorso «con il capo coperto» (Fedro, 237a), in modo da non «provare vergogna» (Fedro, 237a). Le tesi che va a sostenere, infatti, come sarà più chiaro in seguito, non rispecchiano il suo pensiero, ma sono riprese dal discorso di Lisia. Egli si trova quindi ad argomentare intorno agli stessi nuclei tematici toccati dal retore, ma presenta le sue argomentazioni come se fossero pronunciate da un amante mascherato, un amante che «aveva convinto il ragazzo che non l'amava» (Fedro, 237b), e non da un “non amante”, come si era presentato Lisia.

La prima cosa che Socrate sottolinea è la necessità di partire dalla definizione di eros, in accordo con la sua convinzione che, per argomentare correttamente, occorre iniziare dalla definizione dell'oggetto di cui si tratta. Si ricordi che già nel Simposio (Symp. 199c) Socrate aveva sottolineato l'opportunità di non trascurare questo aspetto.

Si afferma così, prima di tutto, che eros è un desiderio, ma si precisa subito che «desidera le cose belle anche chi non ama» (Fedro, 237d). Per distinguere chi ama da chi non ama Socrate sostiene che bisogna tener presente che ci sono due principi che ci

spingono all'azione: uno è il desiderio di piaceri e uno la convinzione acquisita, l'assennatezza. Il predominio dell'assennatezza consiste nella temperanza, mentre quello del desiderio irrazionale è la smodatezza (Fedro, 237e-238a). Sulla base di questa distinzione Socrate dà la definizione di eros:

il desiderio irrazionale che domina sull'opinione indirizzata al meglio, che si lascia trascinare verso il piacere della bellezza e che si rinforza vigorosamente per opera dei desideri a lui affini volti alla bellezza del corpo – quel desiderio, quando diventa guida vittoriosa, proprio da quella forza prende il suo nome e viene chiamato amore (Fedro, 238b-c).

Eros è visto come un desiderio irrazionale che domina sulla ragione, ne segue che l'uomo che è dominato da tale desiderio agisce in preda all'irrazionalità. Di fatto, l'innamorato descritto in questo discorso è schiavo del desiderio di piacere e fa di tutto per rendere l'oggetto del suo desiderio il più possibile piacevole per sé. Viene ripresa e ribadita l'osservazione di Lisia per cui l'amante è come colpito da una malattia, e vale la pena riportare l'acuta descrizione che Platone ci offre per voce di Socrate a proposito della psicologia e del comportamento di un individuo mosso da questo tipo di amore (vedremo più avanti che c'è un altro modo di intendere eros, che Socrate descriverà nel suo secondo discorso):

Chi è dominato dal desiderio, l'uomo servo del piacere, non potrà fare altro che foggiarsi l'amato in modo da trarne quanto più piacere possibile: per chi è malato piacevole è infatti tutto ciò che non gli si oppone, ma odioso ciò che gli è superiore o pari. Non tollererà dunque di buon grado che l'amato gli sia superiore e neppure pari, ma farà sempre di tutto perché gli sia inferiore e da lui dipenda. […] È inevitabile che sia geloso e che gli impedisca la frequentazione di molte altre compagnie, anche utili, grazie a cui potrebbe diventare un vero uomo; è perciò causa di un grande danno, un danno grandissimo quando gli impedisce la frequentazione di chi lo aiuterebbe a diventare un vero saggio. Intendo la divina filosofia, da cui è inevitabile che l'amante tenga lontano

l'amato per paura di essere disprezzato. Escogiterà di tutto perché l'amato rimanga nell'ignoranza e non abbia occhi che per il suo amante (Fedro, 239a-b).

Vediamo in questa descrizione che chi è innamorato ostacola i progressi dell'amato, la sua crescita, il suo possesso di beni, in modo che la sua condizione di inferiorità lo porti a dipendere da lui e a restare costantemente al suo fianco come suo oggetto di «piacere immediato» (Fedro, 239a). In un suo articolo61 Fussi fa notare che è possibile tradurre con “invidia” il vedere come odioso tutto ciò che è superiore o pari. Osserva che la bellezza che ispira amore, e che, come vedremo nel secondo discorso di Socrate, attrae e colpisce profondamente l'amante in quanto è qualcosa di “superiore”, proprio per questo ispira anche il desiderio di degradare tale bellezza fino a distruggerla. Riprenderemo più avanti questa riflessione per confrontare il tipo di reazione di questo amante di fronte alla bellezza con quella che ci viene descritta nella palinodia socratica. Occorre invece notare qui che, oltre che di invidia, Socrate parla anche di gelosia che spinge l'amante ad impedire al suo amato di intrattenere rapporti con altri individui, anche quelli che potrebbero essere benefici per lui, favorendo così la sua ignoranza. In generale, Socrate afferma che il rapporto con qualcuno che è innamorato comporta più svantaggi che vantaggi, e soprattutto risulta dannoso nei confronti dell'educazione dell'anima, la cui importanza è sottolineata in modo ricorrente all'interno dei vari dialoghi platonici, e di cui anche nel Fedro, proprio in questo frangente, si ribadisce che «niente è o giammai sarà più prezioso né per gli uomini né per gli dei» (Fedro, 241c).

Oltre a questi svantaggi che comporta il rapporto intrattenuto con qualcuno che è innamorato, Socrate ci descrive anche gli aspetti negativi di una relazione del genere che si

61 Cfr. A. Fussi, “As the Wolf Loves the Lamb”: Need, Desire, Envy, and Generosity in Plato's Phaedrus, in

avvia alla fine, quando, svanito l'amore, l'amante diventa un'altra persona, poiché «intelligenza e sobrietà hanno preso il posto dell'amore e della follia» (Fedro, 241a). A questo punto l'amante fugge, interrompe la relazione senza dare spiegazioni, poiché

si vergogna di dire che ormai è un altro né sa come mantenere giuramenti e promesse fatti sotto l'imperio della precedente dissennatezza, perché teme, ora che ha recuperato intelligenza e senno, che rifacendo le stesse cose non diventi di nuovo simile o addirittura identico a quel che era (Fedro, 241 a-b).

Proprio come se guarisse da una malattia, l'innamorato il cui amore svanisce diviene un'altra persona, e non può mantenere saldo il rapporto precedente con il suo amato. Una volta guarito riconosce la malattia che lo colpiva e, pur di non tornare in quelle condizioni, fugge senza riuscire a dare spiegazioni all'amato, tradendo così ogni promessa e privandolo improvvisamente di tutti i vantaggi che gli procurava. Socrate offre questa riflessione per spiegare come, al contrario, un rapporto instaurato con qualcuno che non è innamorato non mette il giovane nelle condizioni di poter subire un tale danno. In conclusione del suo discorso Socrate aggiunge queste parole: «l'amicizia di un amante non nasce dall'affetto, ma è come cibo per saziarsi: come i lupi amano gli agnelli, così “gli amanti si tengono caro il proprio fanciullo”» (Fedro, 241d). L'immagine dell'amore che emerge da questo discorso è decisamente negativa: l'amato sembra essere nutrimento per l'amante, mero oggetto di soddisfazione del suo desiderio. Fussi sottolinea l'importanza della metafora del nutrimento e sottolinea che il tipo di nutrimento di cui Socrate parla in questo passo consiste nel processo per cui l'altro viene trasformato in qualcosa di proprio, ovvero assimilato come si assimila un cibo o consumato come un carburante di cui si ha costantemente bisogno62. È

possibile ricollegare questo passo a quello del Gorgia in cui Socrate fa notare al suo interlocutore, Callicle, che la tesi da lui sostenuta, per cui la felicità consiste nel soddisfare il più possibile i propri desideri, non è veritiera, perché può essere vista come il tentativo di riempire costantemente una giara bucata con dell'acqua: essa non potrà mai riempirsi, ma ci sarà sempre bisogno di continuare ad aggiungere acqua. Si tratta di una nozione negativa del bisogno: un appagamento del desiderio che consiste nel soddisfare i bisogni immediati è proprio di una natura animale o vegetale, non di una umana, in cui ciò può essere trasceso63.

Fussi invita a mettere a confronto questo tipo di nutrimento con quello che verrà presentato poco più avanti a proposito della capacità dell'anima di nutrirsi della verità grazie all'eros. In questo secondo caso, non si tratta di un'assimilazione, ma di un nutrirsi che non consuma e non modifica: la verità non diminuisce o muta mentre l'anima vi attinge. È sempre l'altro, l'amato, che è fonte di nutrimento, ma non più come qualcosa che viene trasformato in una parte di sé, ovvero assimilato, ma qualcuno la cui alterità viene rispettata e mantenuta intatta.

Questo secondo modo di vedere eros, quindi, viene presentato come più autentico: abbiamo visto nel Simposio che secondo Platone l'amore è una via da percorrere per raggiungere la vera conoscenza, la saggezza, la virtù, ma nel discorso che Socrate ha appena pronunciato qui nel Fedro si configura un percorso diverso. È probabilmente per questa ragione che il filosofo non riesce a proseguire il discorso, anche se non sembra aver concluso: Fedro si aspetta che Socrate enunci i vantaggi che comporta intrattenere una relazione con qualcuno che non è innamorato, visto che fino a quel momento si è parlato solo degli svantaggi che un innamorato può arrecare. Socrate, invece, vorrebbe congedare

Fedro e smettere di parlare, ma quando si accinge a farlo avverte il suo “segno divino” che lo invita a non andarsene prima di aver pronunciato un altro discorso, ovvero uno che sia veramente degno di eros. Troviamo qui il riferimento a quella voce interiore che abbiamo visto intervenire anche nell'Alcibiade I (Alc. I, 103a), dove si legge che il daimonion aveva trattenuto il filosofo dal parlare con Alcibiade fino a che non fosse giunto il momento opportuno. Nel Fedro Socrate sostiene di aver nuovamente avvertito questo segno, e spiega a Fedro che tale voce gli ha intimato di “purificarsi”, come se avesse «commesso qualche colpa nei confronti della divinità» (Fedro 242c). Si rende così conto di non aver parlato secondo ciò che è opportuno, poiché di fatto ha calunniato eros che, come abbiamo visto nel Simposio, è un essere divino. Socrate si rende conto che gli dei potrebbero punirlo per questo, a meno che non proceda con una palinodia, ritrattando tutto ciò che ha appena sostenuto.