• Non ci sono risultati.

La matematica e la dialettica

Abbiamo visto che l'educazione proposta nella Repubblica per coloro che sono destinati a diventare filosofi prevede, per riprendere l'immagine della linea, il passaggio cruciale dalla sfera del sensibile a quella dell'intelligibile. Sappiamo che nella porzione inferiore della sezione dell'intelligibile Platone pone i mathemata, che quindi costituiscono la chiave per comprendere come possa avvenire questo “salto” da una dimensione all'altra. Per mathemata si intendono tutte quelle discipline che si servono di immagini sensibili, come, ad esempio, disegni di figura geometriche ricavate dall'osservazione di oggetti fisici, per pensare a modelli intelligibili, come può essere l'Idea del triangolo in sé o gli enti matematici in generale. Queste discipline, ovvero la matematica, la geometria, l'astronomia e l'armonica, conducono «dal mondo della generazione al mondo dell'essere» (Resp. 521d). In particola la matematica «sospinge energicamente l'anima in alto» (Resp. 525d) grazie alla sua capacità, di fronte a percezioni contrastanti, di ricercare la verità tramite l'intelletto. La percezione di una “confusione” di contrari, come possono essere grande e piccolo, o gli stessi visibile e intelligibile, costringe l'anima a risvegliare la sua noesis, la sua pura facoltà intellettuale, per porsi dubbi e iniziare un nuovo lavoro di indagine e discussione, rivolto a distinguere la vera natura delle cose. In questa ricerca l'anima si serve di oggetti sensibili come immagini di enti intelligibili e procede formulando ipotesi di cui scopre via via la fondatezza o meno, in modo da poter giungere alla formulazione di leggi generali (Resp. 510b). La matematica, la geometria, l'astronomia e l'armonica costituiscono, così, gli strumenti di una sorta di “ginnastica” nell'ambito della logistiké, affinano la minore o

maggiore acutezza di ingegno posseduta naturalmente dal filosofo, avviandolo alla dialettica.

I mathemata si distinguono dalle altre discipline che finora Platone ha descritto: nonostante sia la ginnastica che la mousiké perseguano armonia, equilibrio e proporzione, la ginnastica è subordinata a ciò che nasce e perisce, in quanto «si occupa della crescita e della diminuzione dei corpi» (Resp. 521e) e alla musica manca la capacità di «trainare l'anima da ciò che diviene a ciò che è» (Resp. 521d). Abbiamo già sottolineato la loro importanza per la stabilità e l'equilibrio interni dell'anima, ma per raggiungere una conoscenza puramente razionale come quella delle Idee, occorre l'esclusivo esercizio del logistikon, quella parte dell'anima che è detta, appunto, razionale.

L'ultima fase dell'ascesa, la più importante, è costituita dall'esercizio della dialettica. Il procedimento per cui, nei libri VI e VII della Repubblica, si passa dai mathemata alla dialettica mostra un certo parallelismo con il passaggio della scala amoris del Simposio124 in cui all'eros rivolto alla bellezza delle scienze (Symp. 210d) si passa all'amore per il Bello in sé125.

In generale, in entrambi i dialoghi si prevede un percorso di distacco dalla realtà sensibile e di un sempre maggiore utilizzo della facoltà razionale. Nell'ultima tappa della scala amoris, infatti, abbiamo visto che l'emotività da cui si era partiti non svolge più alcun ruolo. Allo stesso modo nella Repubblica, thymos, la parte dell'anima sede delle emozioni, non interviene nella fase finale dell'educazione, quella dialettica. Questa dimensione, però, ha costituito un elemento fondamentale delle prime tappe dell'ascesa, sia nella scala amoris che nell'educazione, e occorre sottolineare che di fatto non si può mai davvero

124Vedi supra p. 61-62.

prescindere da essa. Nella Repubblica è grazie al lavoro fatto sulla parte thymoeidetica che la ragione può raggiungere i livelli più alti di conoscenza: la dialettica deve essere insegnata solamente a coloro che hanno una natura ordinata e ferma (Resp. 539d). Ancora, sia nel percorso educativo che nella scala amoris, la ragione, che finisce per essere preponderante nella tappa finale, interviene già nelle prime fasi dell'ascesa, favorendo, passo per passo, una sempre maggiore presa di coscienza.

Oltre a questi punti comuni, la struttura gerarchica che caratterizza eros da un lato e il percorso che va dai mathemata alla dialettica dall'altro, ne mette in luce la continuità126: in entrambi i percorsi di ascesa la predisposizione dell'anima guadagna uno stato di più elevata perfezione via via che aumenta il valore (da intendersi in senso ontologico) degli oggetti cui si riferisce. Inoltre, è stato osservato che non è del tutto corretto considerare il primo stadio dell'educazione come semplicemente abituale e pre-razionale. Gill, ad esempio, sostiene che già nella prima fase l'anima utilizzi il ragionamento inferenziale quando conserva le giuste convinzioni, e invita a riflettere sul fatto che la ragione sarebbe presente in entrambe le fasi educative e non solamente nella seconda, che di fatto fornirebbe la comprensione delle strutture intelligibili che sono alla base delle credenze sviluppate nel primo stadio127. Sia in un caso che nell'altro, quindi, la componente razionale e quella emotiva collaborano per buona parte del percorso filosofico, favorendo un progresso graduale che conduce l'anima a volgere il proprio sguardo presso la realtà ideale.

L'educazione non è proprio come la definisco alcuni che ne fanno professione. Essi dicono che essendo l'anima priva di scienza, solo loro che la istruiscono, come se in occhi ciechi ponessero la vista […] Invece, il presente discorso vuole significare che questa facoltà insita nell'anima di

126Cfr. Jerry Stannard, Socratic Eros and Platonic Dialectic, in Phronesis, 4, 1959, pp.126-127. 127Cfr. BMCR 2005.10.28, Ideal & Culture of Knowledge in Plato, owner-bmcr-1@brynmawr.edu, p.2

ciascuno e l'organo con cui ciascuno apprende si devono staccare dal mondo della generazione e far girare attorno insieme con l'anima intera, allo stesso modo che non è possibile volgere l'occhio dalla tenebra allo splendore se non insieme con il corpo tutto (Resp. 518 b-c).

Si ribadisce che l'anima intera deve seguire il movimento dell'intelletto. Abbiamo visto sopra128 che la fermezza e l'equilibrio dell'anima sono favoriti da una corretta canalizzazione dei desideri, ovvero un'adeguata distribuzione del flusso di energia presente nell'anima nelle sue tre parti in modo che ad essere privilegiata sia la ragione.

Inoltre, questo passo mette in evidenza il fatto che la teoria dell'educazione platonica si pone in continuità con la maieutica socratica, nel comune presupposto che la conoscenza della verità non possa essere acquisita tramite un'istruzione che preveda il trasferimento di nozioni dall'esterno all'interno, ma possa essere raggiunta tramite qualcosa che già possediamo, che è già dentro di noi. In altre parole, si tratta di conferire all'anima la migliore costituzione possibile prendendosene cura. A questo proposito, sottolineiamo che il tema della cura dell'anima permane costante in ognuno dei dialoghi che abbiamo preso in considerazione in questo lavoro, sia quando il tema trattato è l'eros, prima socratico che platonico, sia quando si tratta l'educazione. Permane immutato, in un'ottica molto generale, anche il fine di tale cura, inteso come una certa “conversione” dell'anima. Come ricavare informazioni esaustive su tale “conversione” resta però un'impresa difficile. Nella Repubblica, come nel Simposio, Platone lascia intravedere un processo a più stadi in cui l'ultima tappa è costituita da un atto intuitivo129. Tuttavia, riguardo l'ascesa del filosofo nella Repubblica, Platone non spiega mai con chiarezza come si arrivi alla meta finale dell'ascesa, ma spiega solamente il modo in cui si procede:

128Vedi supra, p. 127-128.

Allora comprendi che per secondo segmento dell'intelligibile io intendo quello cui il discorso attinge con il potere dialettico, considerando le ipotesi non principi, ma ipotesi nel senso reale della parola, punti di appoggio e di slancio per arrivare a ciò che è immune da ipotesi, al principio del tutto; e, dopo averlo raggiunto, ripiegare attenendosi rigorosamente alla conseguenze che ne derivano, e così discendere alla conclusione senza assolutamente ricorrere a niente di sensibile, ma alle sole idee, mediante le idee passando alle idee; e nelle idee termina tutto il processo (Resp. 511b-c).

Il procedimento dialettico è presentato come un cammino, un'ascesa (Resp. 519d) in cui i gradini sono costituiti dalle ipotesi, che, di volta in volta superate, permettono di risalire fino al non ipotetico, il principio del tutto, in modo da giungere a conclusioni che vertono su Idee, senza fare più ricorso a nulla di sensibile. Le scienze non sono capaci di condurre fino a questo punto: l'apprendimento delle scienze per Platone è ateles, senza telos, ovvero senza compimento, imperfetto (Resp. 530e). Esercitando la dialettica, invece, l'intelletto si serve di Idee, passa attraverso Idee ed è rivolto ad Idee:

quando uno, servendosi della dialettica e prescindendo da ogni sensazione cerca di muovere con la ragione verso ciascuna cosa che è, in se stessa, e non desiste se prima non è riuscito a cogliere con la pura intellezione la reale essenza del bene, giunge proprio al limite estremo dell'intelligibile (Resp. 532a-b).

Molte difficoltà emergono quando cerchiamo di capire se la meta finale sia stata effettivamente raggiunta attraverso un'operazione logico-discorsiva o un'intuizione noetico-eidetica, cioè in una sorta di visione che, a causa della natura extra-linguistica degli oggetti ideali, non può più essere discorsiva. Il Bene, infatti, è il punto di approdo di un procedimento volta per volta sottoposto a verifica ipotetica e, nello stesso tempo, si pone fuori di esso. È utile notare che quando Platone parla di ciò che sta al di là del

procedimento conoscitivo, in una dimensione ontologica nettamente distinta, non parla di “idea del Bene”, ma solamente di “Bene”130, suggerendo una realtà che va al di là di qualsiasi procedimento conoscitivo. Una soluzione al compromesso può essere quella di assegnare la conclusione noetica del percorso dialettico uno “stato di comprensione” stabile a cui si perviene dopo un lungo lavoro critico-confutatorio attuato nell'ambito dell'argomentazione discorsiva131. Potrebbe essere utile notare che, più avanti, Platone afferma che il metodo dialettico procede “eliminando le ipotesi” (Resp. 533c), ma non è chiaro, anche qui, che cosa intenda Platone con questa espressione. Una delle convinzioni più diffuse è che si tratti di superare il carattere ipotetico delle ipotesi, una volta dimostrata la loro verità, trasformandole in assiomi da utilizzare come teoremi della dialettica. Tuttavia, Platone non afferma che la dialettica utilizza le ipotesi come principi, bensì come punti di partenza il cui carattere ipotetico non viene affatto soppresso132. Nel Fedone (Phaed. 101d) Platone parla di un procedimento simile che consiste nel sostituire ad un'ipotesi, che in un primo momento sembrava la più solida, un'altra ipotesi, che sia la migliore tra quelle che si pongono ad un livello superiore rispetto alla precedente, fino a che non si arriva a qualcosa di “sufficiente”133.

Può venire in nostro soccorso il significativo passo del Fedro in cui vengono definiti “dialettici” coloro che sono in grado di pensare e di parlare grazie alla capacità di operare divisioni e sintesi (Fedro, 266b). Il metodo da loro utilizzato è in grado di far scoprire la verità delle cose, ovvero dare definizioni riguardo alla loro vera natura utilizzando un procedimento di unificazione e divisione. Come abbiamo già accennato134, esso consiste

130Cfr. Di Benedetto, op.cit., p. 30.

131Cfr. Vegetti, Dialettica, in La Repubblica, a cura di Mario Vegetti, Vol. V, Napoli, Bibliopolis, 2003, p. 426.

132Cfr. Centrone, op. cit., p. 784. 133Cfr. Di Benedetto, op. cit., p. 18. 134Vedi supra, p. 105.

nel riunire sotto un'unica idea distinte realtà sensibili, per poi procedere da tale idea con divisioni che ne seguano la naturale articolazione, per comprendere come dall'unità possa articolarsi la molteplicità. In questo modo la dialettica offre una visione sia sinottica che sistematica delle Idee e dei loro reciproci rapporti135. È possibile riconoscere questo aspetto anche nella scala amoris del Simposio, in cui eros, riconoscendo ad ogni stadio la presenza di carenze ed imperfezioni nel precedente, è in grado di porre i vari tipi di amore e i relativi oggetti in una prospettiva ampia che metta ognuno di essi in un'opportuna relazione con gli altri136.

Data l'affinità tra i percorsi di ascesa del Simposio e della Repubblica, possiamo chiederci se sia possibile individuare una corrispondenza tra il Bello in sé di cui Platone parla nel Simposio e il Bene descritto nella Repubblica. Su questo punto, però, Platone è tutt'altro che esplicito. L'Idea del Bene è posizionata al vertice della piramide delle Idee e il Bello nel Simposio sembra occupare il medesimo sito. Possiamo affermare che da esso discende e dipende la bellezza sensibile, ma non possiamo affermare di più, dato che il Bello non è descritto in maniera esaustiva: l'autore si limita a elencare dei predicati, come l'eternità, l'essere in sé e per sé, l'uniformità (Symp. 211a-c), che tuttavia non esplicano con esattezza che cosa sia la Bellezza in sé. Possiamo notare che nella Repubblica non si parla di una visione improvvisa dell'Idea più “alta”, come si afferma invece nel Simposio (Symp. 210e), forse perché tale espressione risulta meno compatibile con la maggiore articolazione della descrizione dell'ascesa compiuta attraverso la dialettica137. Quello che possiamo affermare è che la visione del Bello in sé si manifesta come un'esperienza metafisica, che consiste in una conversione intellettuale dell'anima. Nel Simposio Platone descrive così la

135Cfr. Stannard, op. cit., pp. 133-134 136Cfr. ivi, p. 129.

condizione di colui che è giunto alla contemplazione del Bello ideale:

In questa sfera di esistenza, semmai in altra, o mio caro Socrate – disse l'ospite di Mantinea – la vita è per l'uomo degna di essere vissuta, contemplando il bello in sé. […] E dunque – disse – che cosa non immagineremo se a qualcuno fosse dato di vedere il bello in sé nitido, puro, intatto, incontaminato da umane carni e colori e ogni altra effimera vanità, ma potesse scorgere il divino in sé, bello e uniforme? Credi forse che possa diventare meschina la vita di un uomo che abbia l'occhio fisso su quella mèta e contempli il bello con lo strumento con cui appunto bisogna contemplarlo e viva con esso? Non comprendi – aggiunse – che soltanto a questo stadio, guardando il bello con lo strumento con cui si può guardare, gli sarà dato di partorire non già immagini di virtù (infatti non attinge a un'immagine), ma la virtù vera, e allevandola, gli riuscirà di diventare amico del dio, e, se altri mai, immortale anch'egli? (Symp. 211d-212a).

La contemplazione del Bello ideale porta, nel Simposio, ad acquisire la virtù. Questo passo può essere messo in relazione con quello della Repubblica in cui si afferma che

chi pensa seriamente alle «cose che sono», non ha nemmeno tempo libero per abbassare lo sguardo alle cose degli uomini, riempirsi d'invidia e di astio combattendo con loro. Tali persone guardano invece oggetti ordinati e sempre invariabilmente costanti, e osservano che non si fanno reciproca ingiustizia, ma che se ne stanno tutti ordinati secondo un principio razionale; e perciò li imitano e si fanno simili a loro quanto più possono. Credi che si possa evitar d'imitare ciò con cui si vive in armonia e che si ammira? […] Se dunque il filosofo vive in armonia con ciò che è divino e ordinato, egli diviene ordinato e divino, per quanto è possibile a un uomo (Resp. 500 c-d).

Notiamo che sia chi giunge alla contemplazione del Bello, sia chi coglie l'Idea del Bene, ne ricava una sorta di “conversione”, un mutamento profondo nel proprio modo di vivere, che diviene sempre più affine a quello “divino”. Anche nel Fedro abbiamo visto che il ricordo della realtà ideale fa sì che, nel rapporto d'amore, l'amante si trovi ad essere “sempre più divino”, rendendo tale anche l'amato (Fedro, 253b-c). Permane costante in tutti e tre questi dialoghi il perfezionamento morale dell'individuo come conquista finale

dell'“ascesa”, con l'assimilarsi del filosofo, anche a livello etico, agli enti che contempla. Già nell'eros socratico, di cui abbiamo visto un'esemplificazione nell'Alcibiade I, il miglioramento morale era lo scopo della relazione tra Socrate e i suoi allievi. Sulla base anche di questo punto è possibile vedere eros come elemento di continuità tra la psicacogia socratica e l'educazione platonica.

CONCLUSIONE

Il percorso che abbiamo compiuto qui, adottando eros come filo conduttore del passaggio dall'educazione socratica alla dialettica platonica, ha mostrato che è in effetti possibile vedere nell'amore un efficace elemento di continuità. Abbiamo cominciato nel I capitolo analizzando l'Alcibiade I, inteso come dialogo in cui Platone riporta fedelmente l'“approccio socratico”. L'esame di questo dialogo ha consentito di mettere in luce la decisiva funzione di eros nella confutazione socratica mostrando l'importanza delle emozioni, in particolare la vergogna, nel processo di “conversione su di sé”, capace di aprire alla sfera della cura di sé e del miglioramento dell'anima. Abbiamo ritenuto importante sottolineare la capacità di eros di favorire la nascita di relazioni “a doppio ruolo”, ovvero di rendere il rapporto tra amante e amato il contesto più adatto all'avvio di un percorso di crescita condiviso in direzione della conquista della virtù: un risultato che, come vedremo fra poco, si è rivelato fruttuoso per la lettura del Fedro.

Nel II capitolo abbiamo esaminato la rielaborazione del concetto di eros in Platone grazie all'analisi del Simposio. In questo dialogo, l'amore mantiene una funzione decisiva per la conoscenza, ma è trasformato in elemento “mediatore” tra due mondi, capace di elevare l'anima dal mondo sensibile al mondo delle Idee. Nello stesso tempo, in Platone, anche il processo di conoscenza di sé subisce una trasformazione e diviene conoscenza della realtà ideale. Questa trasformazione diventa ancora più evidente nel Fedro (dialogo che abbiamo preso in esame nel III capitolo) grazie all'introduzione della teoria dell'anamnesi. Ma sia nel percorso erotico proposto nel Simposio, la scala amoris, sia nel processo di reminiscenza nel Fedro, l'anima viene condotta in alto grazie alla spinta propulsiva di un sentimento amoroso che muove dalla visione di una bellezza individuale e

corporea. Inoltre, nel Fedro viene ripreso l'aspetto di crescita reciproca caratteristico dell'eros socratico. La meta finale, comunque, sia in Socrate che in Platone, è uno stato di comprensione e di consapevolezza che porta ad un cambiamento profondo e permette di “vivere una vita degna di essere vissuta”.

La capacità di disporre l'anima nelle condizioni più adatte per un percorso che permetta all'individuo di giungere alla verità, finora attribuita ad eros, è attribuita nella Repubblica all'educazione. Questo è stato illustrato nel IV capitolo, dove abbiamo utilizzato il paradigma interpretativo inaugurato da Cornford, ovvero la nozione di eros come flusso del desiderio che può essere diversamente canalizzato, per riscontrare una certa continuità in questo sviluppo: la migliore disposizione dell'anima si può realizzare grazie al corretto indirizzamento del flusso di energia da una parte all'altra di essa. Sia l'ascesa della scala amoris nel Simposio, sia la follia amorosa del Fedro, sia quella dialettica nella Repubblica, prevedono un'alternanza e combinazione tra emotività e razionalità che è importante sottolineare nelle sue variazioni da un dialogo all'altro. In ogni caso, sia Simposio che Repubblica sfruttano la qualità del bello sensibile come tramite di elevazione verso l'alto.

Nella Repubblica Platone descrive l'ascesa del filosofo verso il mondo delle Idee come un percorso prevalentemente razionale e dialettico. Tuttavia, si parla di desideri che possono essere canalizzati nelle diverse parti dell'anima grazie all'educazione.

Data la possibilità di concepire l'educazione come un processo di canalizzazione nel modo corretto del flusso erotico sembra plausibile pensare che le riflessioni sull'eros rimangano implicitamente sottese all'elaborazione platonica della teoria educativa. In base a tutte queste considerazioni, mi è parso di poter concludere che eros, nelle sue varie forme, costituisca un elemento di continuità tra psicagogia socratica e dialettica platonica.

BIBLIOGRAFIA

Fonti:

Platone

Alcibiade primo, a cura di D. Puliga, BUR, Milano, 2015. Simposio, a cura di F. Ferrari, BUR, Milano, 2005.