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Secondo la filosofia platonica è possibile conservare dentro di sé un ricordo delle Idee che sono state contemplate prima dell'incarnazione, tanto più intenso quanto più a lungo l'anima è stata capace di vedere la verità. Nel Fedro, così come nel Simposio, è presentata la possibilità del filosofo di attingere al mondo ideale a partire dalla percezione sensibile delle realtà terrene, ma questa volta un ruolo decisivo è svolto dalla reminiscenza, ovvero dal recupero d'un ricordo:

Ma ricordarsi delle cose di laggiù a partire da quelle di quaggiù non per tutte le anime è facile – non per quelle che hanno goduto di una visione fugace delle cose di laggiù, né per quelle che, una volta cadute quaggiù, ebbero la sventura di dimenticare le sacre visioni di cui avevano goduto un tempo, trascinate da cattive compagnie nell'ingiustizia; poche allora ne rimangono capaci di ricordare in modo adeguato: e queste, quando vedano delle immagini somiglianti alle cose di lassù, ne vengono sconvolte e non sono più padrone di sé. Non sono in grado di comprendere ciò che provano perché non riescono a coglierlo in maniera adeguata (Fedro 250a-b).

Le “immagini somiglianti alle cose di lassù” sono quelle qualità presenti nelle realtà sensibili che sono comuni al divino. In particolare, fra tali realtà, è la bellezza sensibile a risvegliare il ricordo di una bellezza più autentica, quella ideale, che è stata contemplata prima dell'incarnazione. Questo avviene attraverso l'amore: la bellezza della persona amata, più di ogni altra, coinvolge e sconvolge tutta l'anima favorendo quella che all'interno del mito della biga alata è stata descritta come la “crescita dell'ala”, e permettendo il ricongiungimento con la verità. Tale ricongiungimento avviene insieme ad uno sconvolgimento emotivo che non è del tutto comprensibile da parte di chi lo prova, e che getta l'amante nell'incapacità di essere padrone di se stesso. Ritorna il concetto di padronanza di sé, già centrale nei discorsi precedenti, ma stavolta perdere tale padronanza non è considerato il danno più grande, ma il dono più prezioso. Abbiamo visto sopra che la

prima mossa di Socrate, nella sua palinodia, è proprio quella di accostare eros a forme di mania positive, quelle con cui l'uomo è capace di attingere al mondo celeste, di entrare in comunicazione con gli dei. Platone la definisce «quella follia per cui quando si vede la bellezza di quaggiù, ci si ricorda la vera bellezza, si mettono le ali» (Fedro 149d). La bellezza, in particolare quella della persona amata, è il fattore fondamentale, quello che nel Fedro, come nel Simposio, è in grado di condurre il filosofo alla contemplazione delle Idee.

A proposito della bellezza, Platone afferma che «anch'essa risplendeva insieme agli altri, ed è ancora lei, luminosa di più intensa chiarezza, che noi cogliamo una volta giunti qui in basso per mezzo del più chiaro dei nostri sensi» (Fedro, 250d). Con “il più chiaro dei nostri sensi” Platone intende la vista, la cui importanza era emersa già nel Simposio. La visione della bellezza sensibile è l'unica che, immediatamente, è in grado di avviare il processo di ricongiungimento con il mondo ideale: tale processo si presenta come una progressiva '“ascesa” nel Simposio, e come immediata “reminiscenza” nel Fedro. Nel Fedro, infatti, il ricordo del mondo ideale si manifesta alla mente in maniera immediata, attraverso una forma di entusiasmo, un'estasi, che abbiamo visto lasciare chi la prova nelle condizioni di non saperne dare ragione. Nel Simposio, benché anche qui la visione delle Idee non consista in qualcosa di razionale, ma, come abbiamo visto, in qualcosa di istantaneo ed intuitivo65, Platone non fa riferimento al legame tra eros e la mania. Qui nel

Fedro l'irrazionalità è molto più accentuata, e fa la sua comparsa sin dall'inizio.

Vale la pena riportare per intero, in tutta la sua bellezza, il passo in cui Platone descrive quel che avviene nel filosofo non appena si trova di fronte alla bellezza della persona amata:

Mentre lo guarda si produce in lui un cambiamento, e dopo i brividi si copre di sudore provando un insolito calore: il fatto è che ricevendo gli effluvi della bellezza attraverso gli occhi si scalda nel punto in cui l'ala viene irrorata. Per il calore si scioglie la zona in cui crescono le ali, zona che prima era dura e impediva loro di sbocciare; affluendo il nutrimento, il fusto dell'ala si inturgidisce e inizia a sbocciare dall'alveolo, su tutta la superficie dell'anima. Perché l'anima prima era tutta alata. Ribolle allora tutta intera ed erompe, prova il dolore di chi sta mettendo i denti: quell'irritazione fastidiosa alle gengive che si prova quando spuntano i denti è la stessa che prova l'anima di chi comincia a mettere le ali; mentre le ali spuntano l'anima ribolle, prova fastidio, sente prurito. Quando dunque l'anima fissa lo sguardo sulla bellezza del ragazzo, accogliendo le particelle che di lì partono e fluiscono (che per questo sono dette “desiderio”) ne è irrorata e riscaldata, cessa di soffrire e gioisce. Quando invece ne è separata e si inaridisce, gli orifizi dei pori, dove le penne premono, si seccano e si chiudono ostruendo i germogli dell'ala: e quei germogli, chiusi all'interno insieme al flusso del desiderio, palpitando come arterie pulsanti, premono ciascuno contro il proprio poro, così che l'anima, punta tutt'intorno, smania per il dolore; ma il ricordo della bellezza la riempie di gioia. Nella mescolanza di queste emozioni s'inquieta per l'assurdità di quello che prova; s'infuria nella sua incapacità di trovare una via d'uscita; nel pieno della follia non riesce a dormire di notte né a trovare riposo di giorno, ma corre desiderosa là dove si immagina che potrà vedere colui che possiede quella bellezza. Ma come lo vede s'impregna di desiderio e si sciolgono allora i condotti prima ostruiti: trova requie dalle punture e smette di soffrire, e coglie finalmente il frutto di quel piacere dolcissimo (Fedro, 251a-252a).

Quando la bellezza risveglia il ricordo del mondo ideale l'innamorato prova uno sconvolgimento interiore in cui il dolore si mescola alla gioia. Il dolore della “crescita dell'ala” è paragonato a quello provato da chi mette i denti, ma è una sofferenza che si trasforma in gioia in presenza dell'amato. La bellezza irrora e riscalda l'anima, apre i condotti prima ostruiti, nutre l'ala che permette all'anima di tornare com'era in origine. Come fa notare Sassi, in questo passo viene presentato uno scenario che somiglia ad un'«elaborata irrigazione di un corpo-giardino, attraversato da solchi che ora fanno fluire,

ora si ostruiscono e bloccano il passaggio di particelle del mondo sensibile»66. Prima di Platone, è Empedocle che ha spiegato la percezione sensibile in termini di “effluvi”, intendendo con essi i flussi di particelle materiali che, a suo avviso, si staccano dagli oggetti esterni per penetrare nel soggetto senziente. (Altri riferimenti simili possono essere individuati in alcuni scritti ippocratici come il Morbo Sacro o il De Victu67).

Questo risulta ancor più evidente quando Platone riprende l'immagine della biga alata per spiegare in maniera più approfondita lo sconvolgimento che colpisce l'anima in preda a d eros: tutte e tre le componenti dell'anima, di fronte alla bellezza dell'amato, sono travolte dalla divina follia erotica, ed ognuna reagisce secondo quelle che sono le sue caratteristiche peculiari. L'auriga è la parte in cui la percezione della bellezza sensibile si trasforma in reminiscenza del mondo ideale: esso contempla la bellezza dell'amato lasciando che il ricordo della bellezza ideale venga risvegliato. Il cavallo nero, invece, che rappresenta l'irresistibile forza della passione, preme affinché venga soddisfatto senza alcun freno il desiderio fisico che tale bellezza suscita, mentre il cavallo bianco, frenato dal pudore, è trattenuto dall'avvicinarsi e sottostà al comando dell'auriga.

Platone rappresenta diversi momenti di interazione delle diverse componenti dell'anima tra di loro: dopo un'iniziale resistenza, l'auriga e il cavallo bianco accettano l'invito del cavallo nero ad avvicinarsi all'amato, ma quando l'individuo incrocia il suo sguardo, l'auriga ricorda le Idee che ha contemplato un tempo ed è immediatamente pervaso dall'essenza della bellezza, dalla purezza e dalla temperanza. Di conseguenza, in preda ad una forte emozione di venerazione, quasi spaventato, cade indietro e trascina con sé entrambi i cavalli. Il cavallo nero non comprende le motivazioni che stanno alla base del

66 M. M. Sassi, Eros come energia psichica. Platone e i flussi dell'anima, in Interiorità e anima, cit., p. 285. 67 Cfr. Sassi, Eros come energia psichica, cit., p 287.

comportamento dell'auriga: si lascia convincere ad aspettare ma vive questo gesto come un tradimento, rimproverando l'auriga e il cavallo bianco per la loro mancanza di virilità. Vi è poi un secondo momento in cui il cavallo nero cerca di persuadere nuovamente l'auriga e il cavallo bianco, senza la minima intenzione di non essere assecondato, e con forza scalpita e si agita, tanto che l'auriga ricorre alla violenza per tenerlo a freno (Fedro, 254d-e). Questo sembra ripetersi più volte fino a che il cavallo nero, esausto in seguito ai molteplici tentativi, non segue il volere dell'auriga.

È interessante notare che, in questa battaglia interna all'anima, sia l'auriga sia il cavallo nero ricorrono a metodi che sarebbero più appropriati per l'antagonista: inizialmente il cavallo nero usa la forza bruta, ma quando si rende conto che l'auriga e il cavallo buono non cedono ricorre al ragionamento per persuaderli, così come l'auriga ad un certo punto ricorre alla violenza. G. R. F. Ferrari fa notare che c'è comunque una sostanziale differenza tra il tipo di ragionamento utilizzato dal cavallo nero e quello proprio dell'auriga68, in quanto il cavallo nero è in grado di deliberare solamente in vista del soddisfacimento del suo preponderante desiderio: quando, ad esempio, definisce l'auriga e il cavallo bianco “codardi”, vede solo un lato della situazione. La razionalità che utilizza è solo un mezzo per raggiungere il suo fine, non è capace di valutare in un'ottica più ampia la bontà di esso o di ampliare il proprio orizzonte. Non vale, invece, l'inverso: l'auriga capisce le motivazioni del cavallo nero, le ritiene unilaterali e riduttive, ed è in grado di valutare che cosa sia veramente bello e buono, riuscendo ad andare al di là del desiderio fisico. La forza utilizzata dall'auriga è legata ad un desiderio più intenso rispetto a quello del cavallo nero: è il desiderio del Bello e del Bene che caratterizza la natura

68 Cfr. G.R.F Ferrari, The Struggle in the Soul: Plato, Phaedrus 253c7-255a1, in Ancient Philosophy 5, 1985, p. 4.

filosofica, indubbiamente più autentico rispetto alla passione erotica che muove il cavallo nero. Si dice che alla fine della lotta, una volta che il cavallo nero è domato, quando l'auriga vede il bel ragazzo «si sente venir meno per la paura» (Fedro, 254e) e che quindi «l'anima dell'amante si accompagna a quella dell'amato piena di pudore e timore» (Fedro, 254e-255a). Si tratta di una paura legata al timore di commettere qualche tipo di ingiustizia nei confronti di quel mondo delle Idee di cui la vista dell'amato ha risvegliato il ricordo. Il cavallo bianco, che si oppone anch'esso al cavallo nero, sembra capire il legame tra bellezza e moderazione, poiché, essendo per natura incline all'onore, vede questa opposizione come favorevole al raggiungimento del suo fine. Anche nel suo caso il ragionamento è limitato a soddisfare i propri desideri senza la capacità di vedere la situazione da una prospettiva più ampia69.

Abbiamo visto che, per loro natura, il cavallo nero e quello bianco possiedono dei propri e particolari desideri che vanno in direzioni diverse e contrastanti rispetto a quelli dell'auriga: viene detto anche che la tendenza naturale dei cavalli è di portare verso il basso (Fedro, 247b, 248a), mentre ciò che rende possibile la contemplazione è un movimento verso l'alto, favorito dalla crescita dell'ala (Fedro, 246d-e). Ora, Socrate ad un certo punto afferma che è la ragione del filosofo che mette le ali (Fedro, 249c), mentre successivamente dice che l'ala cresce su tutta la superficie dell'anima (Fedro, 251b). Nasce così il problema di rendere compatibili queste due affermazioni. Una soluzione plausibile potrebbe essere ritenere che tutta l'anima diviene alata, ma grazie all'attività della ragione, o dell'auriga, soprattutto grazie alla sua capacità di imporre la direzione giusta ai cavalli, in modo che contribuiscano, o quanto meno non si oppongano, al movimento verso l'alto70.

69 Cfr. G. R. F. Ferrari, op. cit., pp. 4-6.

70 Cfr. Sheffield, Eros before and after tripartition, in R. Barney, T. Brennan, C. Brittain, Plato and the

5. Eros e cura di sé

Dopo aver sottolineato il notevole sconvolgimento che colpisce l'anima alla vista della bellezza dell'amato, non ci resta che vedere che cosa avviene una volta che viene instaurato il rapporto con la persona amata. Socrate afferma che, in preda all'amore, l'innamorato perde di vista tutte le altre cose importanti: «si dimentica di madri, fratelli, degli amici tutti e neppure si preoccupa se le sue ricchezze andassero in rovina; disprezzando tutte le regole di condotta di cui prima si faceva bella» (Fedro, 252a). Nel momento in cui l'individuo si innamora avviene un vero e proprio sconvolgimento dei parametri e dei valori che regolavano la vita precedente. È possibile vedere in questo aspetto un parallelismo tra eros e l'esperienza della filosofia, che, come è già emerso nei dialoghi che abbiamo analizzato, ma sarà ancor più evidente quando prenderemo in considerazione la Repubblica, è capace di rivoluzionare l'intera vita di chi vi si dedica71.

Questo però non avviene per tutti allo stesso modo. La reminiscenza stessa non è qualcosa che ogni individuo indifferentemente può sperimentare:

è giusto che solo la ragione del filosofo metta le ali: perché, per quanto le è possibile, è sempre fissa sul ricordo di quelle cose, che rendono divino un dio quando si rivolge a esse. L'uomo che si serve correttamente di questi strumenti per rinnovare la memoria, iniziandosi sempre ai misteri perfetti, è il solo che può diventare veramente perfetto: allontanandosi dalle preoccupazioni umane e occupandosi di ciò che è divino, è accusato dalla massa di essere fuori di sé, e nessuno capisce che è divinamente occupato (Fedro, 249 c-d).

Come abbiamo accennato sopra72, le anime che più a lungo sono riuscite a contemplare la verità si incarnano in individui dal carattere filosofico (Fedro, 248d), di conseguenza è il filosofo il solo che è capace di riconoscere nella bellezza dell'amato le tracce della bellezza ideale, e di sperimentare il processo della “crescita delle ali”.

Una volta avvenuto l'incontro tra un'anima del genere e il giovane di cui si innamora, si instaura tra i due una relazione caratterizzata da una frequentazione assidua e lunghe conversazioni. Una volta che l'amato ha accettato di parlare e frequentare l'amante «la benevolenza dell'amante, manifestandosi più da vicino, sbalordisce l'amato» (Fedro 155b), poiché ne riconosce la straordinarietà, la qualità divina:

la fonte di quel flusso, che Zeus innamorato di Ganimede chiamò “desiderio”, si riversa copiosa sull'amante, penetrando prima dentro di lui, e poi traboccando di fuori quando lui ormai ne è pieno. Come un soffio di vento o un'eco che rimbalzando su una superficie levigata e solida ritorna al punto da cui era partito, così, attraverso gli occhi, il flusso della bellezza ritorna sul bel ragazzo; e lì è naturale che proceda verso l'anima e, una volta raggiuntala, la disponga al volo, irrorando i condotti, spingendo le ali a crescere e riempendo di amore l'anima dell'amato. Allora ama, ma non sa chi; e non comprende ciò che prova né sa esprimerlo: come se avesse contratto da altri una malattia agli occhi non sa dirne il motivo e non si accorge di vedere nell'amato se stesso come in uno specchio. Quando gli è vicino, smette di provare dolore, proprio come lui desidera ed è desiderato, perché prova un amore di risposta, immagine dell'amore (Fedro 255 c-e).

Lo sconvolgimento provato dall'amante alla vista della bellezza dell'amato si trasferisce all'amato stesso, dalla cui bellezza di fatto era partito. L'amore provato dall'amante, quindi, inonda l'amato, che cade anche lui in preda alla follia amorosa, senza però capire quello che sta succedendo, in quanto si tratta di un amore di riflesso, che fa sì che egli veda nell'altro se stesso come in uno specchio. Vediamo tornare l'immagine dello

specchio che abbiamo visto nell'Alcibiade I, atta a illustrare che all'interno del rapporto erotico è possibile, appunto, vedere se stessi nell'anima della persona amata come se ci si stesse riflettendo in uno specchio73. Il concetto di “rispecchiamento” che nell'Alcibiade I era riconducibile alla scoperta di una dimensione interiore di virtù comune sia all'amante che all'amato, ritorna nel Fedro sotto una nuova luce offerta dalle originali riflessioni platoniche.

Nel Fedro, a differenza che negli altri dialoghi, è la somiglianza tra anime la ragione dell'insorgere di eros: in altre parole, la bellezza che attrae l'amante non è solo di tipo fisico, ma anche di tipo psichico. Tra i due amanti c'è un'affinità la cui origine è rintracciabile nell'esperienza che le anime hanno fatto durante la loro permanenza nell'iperuranio prima dell'incarnazione. Ognuna di esse, infatti, si trovava al seguito di una specifica divinità dotata di peculiari caratteristiche, alla quale cercava di rendersi “simile”. Secondo le parole di Socrate, il carattere della divinità influenza direttamente il temperamento dell'individuo in cui l'anima che ne era al seguito va ad incarnarsi. Chi era al seguito di Zeus, per esempio, si incarna in un individuo con un carattere adatto al comando e incline all'amore per la sapienza, così come chi era al seguito di Era si incarna in un individuo dal carattere regale, e così via. Il ricordo del dio al cui seguito l'anima si trovava nasce proprio in seguito alla vista dell'amato, ed è in questo senso che Socrate afferma che attraverso l'amato è possibile partecipare a ciò che è divino:

E così i seguaci di Zeus cercano come amato chi abbia un'anima affine a quel dio: osservano se abbia una natura filosofica e incline al comando, e quando lo trovano se ne innamorano e fanno di tutto perché rimanga tale. Se prima non si erano impegnati in una tale occupazione, ora vi si accingono, imparando da dove possono e applicandosi per loro conto. Mettendosi sulle tracce

riescono facilmente a trovare da sé la natura del loro dio; erano stati infatti costretti a fissare il loro sguardo intensamente su di esso: quando entrano in contatto con lui tramite la memoria, venendone ispirati, ne adottano le consuetudini e le occupazioni, per quanto è possibile all'uomo partecipare di ciò che è divino. E attribuendo il merito di tutto ciò ai loro amati, li amano ancora di più: anche se attingono da Zeus come le Baccanti, riversando nell'anima dell'amato ciò che hanno attinto, lo rendono quanto più possibile simile al loro dio (Fedro, 252e-253b).

Un amante che era al seguito di Zeus ricerca sulla terra un individuo che, come lui, sia stato al seguito dello stesso dio, e che quindi possieda un'anima simile alla sua. Trovando un amato della sua stessa natura, gli si presenta di fronte un'immagine del dio del quale entrambi erano al seguito. Così, il primo scopo dell'amante è far sì che quelle qualità affini al divino che egli ha visto nell'amato siano valorizzate il più possibile. Il ricordo del dio ispira l'amante a compiere azioni sempre più affini a quelle del dio, e in questo modo la sua anima si fa sempre più divina, per quanto è permesso all'uomo. Socrate aggiunge che