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3. STUDIO ECDOTICO

3.1 ERRORI COMUN

Le coordinate sommariamente esposte nel cappello introduttivo comportano, al passaggio ai dati di fatto, vari livelli di ulteriore problematizzazione afferenti, in primo luogo, al collocamento di una lezione patentemente erronea, condivisa da tutti i codici, all’altezza di un archetipo, di un originale o di un modello di traduzione.

In generale, la definizione di archetipo è subordinata alla possibilità di imputare a un testimone non conservato almeno una corruttela condivisa da tutti i codici recensiti, a patto che questa non risulti compatibile con l’idea di autenticità che si associa all’originale ipotizzato: in tal senso, la lezione addotta come prova deve presupporre un punto di partenza non conservato e intrinsecamente autentico. Come si è accennato, il Libre de vicis et de vertutz si pone, in quanto traduzione, all’interno di un più ampio intreccio di testi e tradizioni che coinvolge in prima testo è infine assai meno rispettosa: un tipo di tradizione che chiamerei attiva» Varvaro 2004 [1970], p. 580.

125 Tale compresenza è una possibilità che lo stesso Varvaro considera: «Si tratta ovviamente di una schematizzazione che non esclude affatto la convivenza, in tempi e ambienti diversi, di ambedue i tipi»,

Ibidem. Il caso esaminato, pertinente a questa premessa di carattere generale, è la tradizione delle poesie di

Rigaut de Berbezilh che permette di valorizzare il carattere preminentemente quiescente della famiglia ε. 126 cfr. Secondo la formulazione datane da Avalle 1972, pp. 3-15. Si vedano anche le riflessioni di Leonardi 2012, pp. 42-44.

XLVII battuta un modello francese non identificato:127 a tale evidenza corrisponde un

margine di incertezza nella valutazione di alcune lezioni ritenute erronee al vaglio di un parametro interno, che difficilmente saranno collocabili a una determinata altezza della storia di questo testo e del suo passaggio dal francese all’occitano. Si prenda ad esempio un caso di errore intrinsecamente patente e condiviso da tutti i testimoni al paragrafo § 20 del capitolo 27:

20.] enaysi fom plens Jhesu Christ de totas gracias, sa dis sant Johan : § «Le filh de Dieu es tant plens de gracias e de vertutz, que de sa plenetat nos prenem tuch».

La lezione e de vertutz, evidenziata in grassetto, è così conservata in tutti i testimoni della tradizione occitanica e in E e M, i due codici di riscontro della ritraduzione catalana.128 Rispetto alla citazione evangelica, chiaramente richiamata

nel passo (dal Vangelo di San Giovanni 1,14: «plenum gratiae et veritatis»), e al modello di riferimento, seguito con pur minimo scarto in questo punto («ausi fu il, si come dit sainz Jehanz, si plains de grace, si plains de verité, que de sa planté nous prenons tuit»),129 la lezione in esame risulta, di fatto, sbagliata in tutti i codici

conservati. A partire da tale rilievo, possono seguire almeno le seguenti considerazioni:

(I.) La confusione tra veritat e vertut è abbastanza diffusa, probabilmente a causa della similarità nella resa grafica, in particolar modo in coincidenza di una forma abbreviata.130 Pertanto, almeno da un punto di vista teorico, l’errore potrebbe

ritenersi non congiuntivo o solo debolmente congiuntivo. Sicuramente non è separativo dal momento che qualsiasi copista avrebbe potuto, indipendentemente dalla lezione riportata, trascrivere involontariamente un veritat – corretto contestualmente ma erroneo rispetto al vertut di partenza;

(II.) Il sintagma di derivazione scritturale è riportato correttamente in altri testi in lingua d’oc. Lo si ritrova almeno nella traduzione del Nuovo Testamento conservata nel manoscritto di Lione («E la Paraula es faita carns, et estec e nos, e vim la gloria de lui enaissi coma gloria d’u-engenrat del Paire, ple de gracia e de

veritat»)131 e nel Rituale Cataro conservato nel manoscritto di Lione («a Patre

127 Sarà centrale, nelle future ricerche sul Libre, l’identificazione, pur approssimativa, di un modello di partenza: in ogni caso, sono stati individuati, isolati e commentati alcuni passaggi dove sembra conservata una traccia ascrivibile al modello francese e, pertanto, utile a orientarsi nell’ampia tradizione del trattato (cfr. cap. 4.2.2).

128 Alcuni degli esempi allegati in questo capitolo sugli errori comuni sono stati verificati ulteriormente verificato sul manoscritto n. 2009 della Biblioteca Nacional de Catalunya di Barcellona (B2009), afferente alla recensio della traduzione catalana che si ritiene dipendente dal Libre de vicis et de vertutz. La selezione non ha un valore operativo: non disponendo di una fotoriproduzione del codice, il confronto è stato possibile solo per le lezioni già rinvenute nel momento in cui si è avuta la possibilità di visionare il testimone direttamente a Barcellona, nel corso della prima parte del periodo di cotutela dottorale (nel secondo anno di dottorato).

129 BRAYER-LEURQUIN 2008,p. 228.

130 Il fraintendimento si verifica nel Libre in più punti e in entrambe le direzioni. Veritat in luogo di vertut al cap. 2 § 58 e al cap. 4 § 421 (sempre in P5), al cap. 22 § 4 nella rubrica di P9 e al cap. 23 § 331 in P7 V; il contrario, ovvero vertut per veritat è verificato al cap. 19 § 273 in Av P9.

131 Bibl. du Palais des Arts 36, «écrit au XIIIe s. vers Albi» BML n. 111, p. 34. Per il passo cfr. l’edizione digitale RICKETTS-ROY HARRIS 2010 [RIALTO], per la lettura u-generat nella citazione allegata, cfr. nota

1815: «du engenrat, in which u-engenrat is a calque on Vg. unigeniti; cf. forms of unigenitus also in Joh 1:18, 3:16, 18; Heb 11:17; 1 Jo 4:9».

XLVIII plenum gracie et veritatis»);132 infine, citato direttamente in latino, nel Petit

Thalamus («a patre plenum gratie et veritatis»)133 A fronte di una citazione

evidentemente conosciuta, sembra difficile che tutti i codici cadano nello stesso errore, a meno di postulare un’ipotesi, improbabile, per cui potesse circolare una versione della citazione latina con virtutis in luogo di veritatis.

Nel Libre la citazione è ripresa anche al Cap. 24 § 51:

51. § Mas le Sant Esperitz, per aquestos .vii. dons, espan si mezeys en nostres corages, plens de gracias e de vertut e de sa pleneza, nos humple totz

Il passo non riferisce esplicitamente la citazione evangelica, da cui si differenzia soprattutto perché il riferimento non è al Figlio, così come nell’esempio che si sta commentando del capitolo 27, ma allo Spirito Santo. Tuttavia, guardando alla varia lectio, si noterà nel gruppo di codici Bc P7 V (il testimone B7 non conserva questa parte per danno materiale, cfr. 2.2.3) una versione ampliata della serie di specificazioni all’aggettivo plens:

o de vertut Av

de vertut P9 virtutz P5

e de caritat e de vertut e de veritat Bc et de veritat et de vertutz P7 V

Prescindendo dalla disposizione della lezione, il fatto che in Bc P7 V si conservino entrambi i sostantivi (veritat e vertut) è particolarmente sintomatico di quella che sembra la traccia di una memoria evangelica, pur se nella fattispecie non pertinente con il relativo contesto.

Valutata anche in relazione alle considerazioni esposte in precedenza, quest’ultima segnalazione avvalora e conferma la possibilità che qualsiasi copista, percependo uno scarto, avrebbe potuto ricostruire con facilità la corretta pericope evangelica e, di conseguenza, ripristinarne autonomamente una versione emendata.

In un caso simile, mi sembra che le stesse ragioni che dimostrano la natura non separativa permettano di ridimensionare la possibilità che l’errore sia solo debolmente congiuntivo: se è vero che lo scambio tra i due sostantivi in causa è possibile e attestato, è altrettanto vero che la citazione evangelica è facilmente riconoscibile, anche solo a partire da un richiamo interno. Assumendo, con qualche riserva, che la lezione corrotta possa dirsi minimamente congiuntiva, non si potrà dire molto di più: l’errore poteva essere già nel modello francese – in un testimone non conservato o non recensito per l’edizione di riferimento – o essersi generata per una distrazione del traduttore, per cui si tratterebbe di un errore di originale. Senz’altro, non è possibile presupporre un archetipo su una base simile, ovvero non si può ritenere che la lezione non possa essersi generata se non a partire da un vertat

132 Il testimone lionese è lo stesso della traduzione evangelica. Per il passo, cfr. l’edizione digitale (su RIALTO) ROY HARRIS 2005. Come nel caso del registro consolare di Montpellier, anche qui la citazione si

inserisce nell’ambito di una più ampia interpolazione che comprende l’intero inizio del Vangelo di San Giovanni (i versetti implicati vanno da 1,20 a 1,31 e il riferimento è riportato all’inizio del codice). 133 PEGAT THOMAS -DESMAZES 1836, p. 247 (la citazione è interpolata nel registro, tra un elenco di beni dati per pagare un’imposta al console di Montpellier e il giuramento che devono recitare i consoli e i sette elettori dei consoli davanti al re alle calende di marzo. L’interpolazione comprende parte dell’inizio del vangelo di San Giovanni e del vangelo di San Marco, riportate in latino).

XLIX dell’originale ipotizzato, corrotto in una fase di passaggio da cui far dipendere tutti i codici conservati.

Riallacciando il discorso di partenza, la permeabilità del confine che separa il modello di traduzione dall’originale e l’originale dall’archetipo compromette il tentativo di collocare la lezione indifferentemente a ciascuno di questi livelli. Da ciò ne deriva un problema strutturale, di natura teorica, che si riproporrà in più esempi, allegati qui o commentati nella nota al testo, e che deve confrontarsi con due possibili sfumature di cosa si intende per autentico. Esiste un’autenticità della fonte, che si può in qualche modo circoscrivere, segnalando i vari casi di errore di traduzione che a loro volta descrivono un’autenticità dell’originale e, pertanto, vengono lasciati a testo, alla stregua di un errore d’autore.135 Sono numerosi,

tuttavia, i casi per i quali tale approssimazione non risulta di facile dimostrazione e che, allo stato attuale degli studi, ovvero mancando informazioni certe sul modello di partenza, risultano solo provvisoriamente valutati.136 Per quanto concerne casi

limite che non permettono di ragionare in termini di patente corruttela comune ma rivelano un’oscillazione significativa, in parte motivabile, rispetto al modello di riferimento, si rimanda al capitolo relativo alla tracce per l’individuazione dell’esemplare tradotto (4.2).

Alla stregua del caso precedentemente esposto, ovvero nel merito di errori valutabili in quanto tali in relazione a un contesto esterno, che stabilisce un parametro di correttezza – tendenzialmente rispettato nel modello – si può segnalare ancora la lezione al paragrafo § 166 del capitolo 28.

Si legga estesamente il contesto, che introduce, secondo una modalità diffusa nell’intero trattato, l’architettura dell’esposizione che segue:

164. De proeza si fa .i. trop bel albre on a .vii. brancas, so es .vii. manieras en que si mostra li proeza del cavallier de Dieu 165. car per .vii. manieras de batalhas ven hom a .vij. manieras de victorias 166. e, per .vii. manieras de victorias, conquer hom .vii. manieras de regnes, 167. so son li .vii. loguier de que sant Johan parla en l’Apocalipsi.

Al sostantivo regnes, evidenziato in grassetto, (conservato così in Av P9) corrispondono le varianti sostanzialmente indifferenti:

de reyames Bc de regismes B7 de regimens P5 P7 V

135 Il fatto rimane, di per sé, massimamente problematico in assenza di un riscontro preciso su un modello individuato con certezza: si richiama, per meglio definire i termini del problema, la questione della traduzione del Tresor di Raimondo da Bergamo, così come esposta da Beltrami:« La traduzione del Tresor firmata da Raimondo da Bergamo comincia “Questo libro apelato Tesoro” dove (considerando anche il séguito) manca palesemente è (è apelato); ma la traduzione dipende da un manoscritto del testo francese in cui il verbo già mancava, e quindi si può ritenere che il traduttore abbia scritto così, traducendo parola per parola. Tutti questi errori devono essere rispettati e, piuttosto, commentati in nota» (Beltrami 2010, p. 32; per più precisi riscontri sulla traduzione di Raimondo da Bergamo, cfr. Beltrami 1993, in particolare le pp. 180-190).

136 In questi termini, il problema è risultato chiaro già a Boser: «la question de savoir si le remaniement attesté par la rédaction provençale est du fait du traducteur lui-même, ou si celui-ci n’a fait que traduire un texte français déjà remanié, est plus difficile à trancher» (Boser 1895, p. 62). Per le implicazioni di questa affermazione si rimanda al capitolo dedicato all’approfondimento del rapporto con l’ipotesto (cfr. 4.1).

L Rispetto alla lezione del modello («et par ces .VII. victoires il conquiert .VII. manieres de couronnes, 167 ce sont .VII. loiers dont sainz Jeanz parole en l’Apocalipse»),137 si nota lo scarto significativo nel passaggio dal couronnes

francese alle varianti regne, reyames, regisme, esito in tutto decontestualizzato nell’economia dell’intero capitolo 28, strutturata sulla partitura, di derivazione apocalittica, in sette battaglie e sette conseguenti vittorie. Non sembra possibile spiegare la lezione regne altrimenti che non in termini degenerativi: la sfasatura, provata in prima battuta dalla perfetta compatibilità tra ipotesto e citazione scritturale, è ulteriormente confermata da almeno due riscontri interni. Nel paragrafo immediatamente successivo (§ 168), legato dal nesso causale con quanto si sta presentando ai paragrafi §§ 166-167, è messo in evidenza, tramite una citazione da San Bernardo,138 il nesso vittoria-corona che si presume alterato in § 167

Car, aysi com dis sant Bernart, mot es fol qui sens victoria cuia aver

corona.

E con ancora maggiore pertinenza, nella ripresa conclusiva di questo cappello introduttivo, al § 177

§ Sant Johan, segon que nos avem tocat, pauza .vii. victorias e .vii.

coronas, so son .vii. loguiers que Dieus promet ad aquels que en

portaran la victoria.

In entrambi gli estratti riportati, è chiaro che non vi sono interferenze di alcun tipo riguardanti la pericope neotestamentaria che determina la scansione del trattato in battaglie, cui seguono ricompense.

È possibile aggiungere, con qualche riserva, l’esempio di errore debolmente congiuntivo, sempre dimostrabile sulla base di un riferimento esterno, possibile anche nel modello francese, al paragrafo § 114 del capitolo 24:

LIBRE DE VICIS ET DE VERTUTZ

SOMME LE ROI (p. 234)

aysi com dis .i. ancians phyzolophes que a nom Platon en .i. libre que fa d’aquestas .iiii. vertutz

si com dit un anciains phylosophes qui ot a non Plotin en son livre que il fist de ces .IIII. vertuz

In realtà, va riconosciuto come, in un caso simile, le maglie di possibile interpretazione autonoma siano decisamente più ampie: la confusione tra i nomi dei filosofi è logicamente possibile e la conservazione del più comune Platone rispetto a Plotino (tecnicamente una difficilior) si piega difficilmente a una dimostrazione stessa di corruttela. È tuttavia valorizzabile il fatto che all’auctoritas di Plotino è 137 BRAYER-LEURQUIN 2008, p. 282. Nelle note di commento all’edizione, si rimanda a Ap. 2 e 3 (per cui cfr. infra) e si aggiunge: «les sept loyers promis aux sept église d’Asie seront repris en désordre par Laurent aux § 374, 385, 397, 405, 407, 422, 439», ivi p. 418.

138 Così nella nota di commento al § 168 nell’edizione della Somme: «S. Bernard, Sermones super Cantica

Canticorum, sermo 13, par. 5: impudentissime mihi arrogo vel gloriam absiques victoria, vel victoriam sine pugna. À rapprocher également du paragraphe suivant», ibidem.

LI effettivamente ricondotta la classificazione delle quattro virtù cardinali, così come nella Somme le roi è più volte ribadito, ad esempio più avanti in questo stesso capitolo 24, nella sezione dedica alla Joustice (§ 134) al Plotino della Somme corrisponde un Platon nella versione occitanica.141 In ogni caso è evidente che si

possa parlare di errore da un punto di vista intrinseco, poiché il riferimento nella

Somme a Plotino è sostanziale, tuttavia l’errore, banalizzante, risulta difficilmente

emendabile e può essersi generato a qualsiasi altezza delle tre possibilità segnalate. Lasciando aperti, dunque, gli esempi fin qui presentati e rimandando, come si è detto, una più dettagliata casista le discrasie analoghe rispetto all’ipotesto, non accolte in questo capitolo perché non dimostrabili come errori certi, al cap. 4.2., si passa a segnalare alcuni casi tipologicamente differenziati che, in misura maggiore o minore, sono risultati erronei.

A una micro-lacuna testuale condivisa sembra ascrivibile la lezione al paragrafo § 57 del capitolo 21:

LIBRE DE VICIS ET DE VERUTZ SOMME LE ROI, p. 197

D’aytals delietz e d’aytals dousors non pot hom pauzar comparacion ni son semblant an tot cant es en aquest mont. § D’aquesta font parla Jhesu Christ en l’Avangeli

[Tali gioie e tali dolcezze non possono essere messe a confronto con tutto ciò che vi è nel mondo. Di questa fonte parla Gesù nel Vangelo]

56 De tel joie ne de tel delit nule semblance ne nule comparaison ne puet estre trovee es joies et es deliz du monde, 57 qui ne sont fors que guotes au

regart de la fontene de douceur. 58

C’est la fontene dont Nostre Sires parole en l’Euvangile

[Tale gioia e tale diletto non possono essere comparati con le gioie e i diletti del mondo, che non sono altro che gocce rispetto alla fontana di dolcezza. Questa è la fontana di cui parla il Nostro Signore nel Vangelo (…)]

141 cfr. la nota di commento ai §§ 114-118, 134: «Plotin, citation non identifiée», BRAYER-LEURQUIN 2008, p. 410. Pur non essendo rintracciabile un riferimento puntuale alla possibile fonte, implicitamente richiamata nel trattato francese mi sembra di rinvenire un indizio della tradizione che imputa a Plotino la formulazione del teoria sulle virtù nel commento di Macrobio al Somnium Scipionis (Commentariorum in

Somnium, Macrobio), in particolar modo nella significativa vicinanza tra questa e la citazione (riferita nel Libre a Platone) che segue ai §§ 115-117: « I 8,7 est politici prudentiae ad rationis normam quae cogitat quaeque agit universa dirigere ac nihil praeter rectum uelle uel facere humanisque actibus tamquam diuinis arbritris prouidere» (MARINONE 1970). Da confrontare con il testo francese: «Et dit il que prudence a .IIII. offices, que par ceste vertu quanque li hons fet et dit e pense, 116 tout li ordene et maine a riule a la ligne de reson»BRAYER-LEURQUIN 2008, p. 234. Anche se riferita alla prudenza dell’uomo politico, va

considerato che questa parte del commento di Macrobio è fortemente influenzata dalla dottrina plotiniana delle virtù e che queste pagine hanno avuto una grandissima fortuna nel medioevo. Per una disamina sulla questione, cfr. Henry 1934, pp. 248-250 (dove è citato San Bonavenutra, In Hexaemeron Collatio VI, 25- 35 (Opera omnia, Quaracchi, t. V, 1891, p. 264) e la monografia dedicata alla teoria plotiniana della virtù, con particolare attenzione per l’influenza esercitata nella teologia tomistica, in Van Lieshout 1925 (che invece richiama lo Speculum Morale di Vincent de Beauvais, lib. I, dist. VII, ad v. (nella stampa di Douai del 1623, t. III, col. 187).

LII Testimoni catalani:

D’aytals delits e doussor no pot hom posar comparacion ne semblants de tot quant es en aquest mon. § D’aquesta font parla Jhesu Christ en la Avangeli E

D’aytals delits et daytals dolssors no pot hom posar comparacio ne son semblant en tot quant es en aquest mon. D’aquesta font parla Jhesu Christ en l’Avangelj. M

L’assenza dell’intero paragrafo § 57, in cui è menzionata la fontene de

douceur,142 non inficia il significato del par. § 56, che di per sé rimane una frase di

senso compiuto, ma rende il riferimento successivo ad aquesta font ingiustificato, soprattutto nell’uso del aggettivo dimostrativo. Anche in questo caso, il mantenimento del deittico non costituisce di per sé una prova certa sulla base della quale presupporre che in un originale dovesse esserci il paragrafo, venuto a mancare in un eventuale archetipo, e non si può escludere che la caduta fosse già nel modello francese.

Una più minuziosa analisi richiede il complicato esempio al paragrafo § 60 del capitolo 10, che funge da raccordo interno nella sezione dedicata alla prima branca del peccato di gola (maniar denant hora § 33). La struttura dell’argomentazione è così disposta:

§§ 33-36 introduzione all’argomento da un punto di vista generale (è deplorevole e peccaminosa l’incapacità di attendere l’ora dei pasti);

§§ 38-41 tale incapacità è imputabile alla debole volontà dell’uomo; §§ 49-54 il peccato è aggravato dal coinvolgimento di altre persone,

inoltre questi peccatori sono soliti deridere chi digiuna; §§ 55-59 molti sanno digiunare fino a notte per dedicarsi ai piaceri

mondani, mentre tornano bambini nel momento in cui il digiuno è richiesto da Dio.

Al paragrafo § 60 seguono ulteriori considerazioni, utili a rilevarne il senso e, dunque, a dimostrare la corruttela:

§§ 61-71 Chi ama restare sveglio fino a notte pecca in molti modi: inverte il ritmo del giorno e della notte stabilito da Dio e, nel tempo che sottrae al riposo funzionale al potersi dedicare al servizio divino e alle buone opere di giorno, perde tempo in cattive abitudini, come il gioco d’azzardo

Da § 74. in poi si passa alla seconda branca della gola (maniar e beure

otra mezura).

142 L’allusione, esplicitata nel paragrafo precedente, è ai versetti del Vangelo di San Giovanni 3, 13-14: qui

autem biberit ex aqua quam ego dabo ei (…) fiet in eo fons aquae salients in vitam eternam Riprendo la