PROSPETTO DELL’ARGOMENTAZIONE
108.] A dreg sera mauditz qui am s
4. UNA TRADUZIONE
4.1. Introduzione metodologica
Si è già accennato a come lo studio delle varianti del Libre permetta di distinguere due momenti compresenti: quello della copia (che considera il testo come una possibile realtà diacronica in termini verticali, da un punto x a un punto y) e quello della traduzione (che lo considera, al contrario, un dato che si confronta con la sua realtà fattiva e contestuale).256
Richiamando la teoria degli insiemi e il relativo concetto di diasistema, secondo la formulazione proposta da Segre,257si considerino da un lato S
1 (la Somme
le roi francese) e dall’altro S2 (la sua traduzione occitanica). Le scelte
traduttologiche e gli adattamenti linguistici che si verificano al passaggio da S1 a S2
sono l’oggetto di riflessione di questo capitolo.258 La trasmissione del testo ha
conosciuto, come si è visto, almeno un terzo passaggio che si risolve, proseguendo con questa impostazione schematica, con un S3, che corrisponde alla traduzione
catalana, senza dubbio dipendente dalla tradizione occitanica (cfr. 4.4).
Da un punto di vista tanto concreto e quanto metodologico, al vaglio del prima (S1) e del dopo (S3), emergono caratteristiche di S2 di primaria importanza. In effetti,
sollecitata in tal senso, l’examinatio delle varianti mostra come l’opposizione delle lezioni, ponderata sulle intersezioni dei singoli codici afferenti alla recensio con i primi due sistemi (S1 e S2, modello e traduzione), non si risolve sempre nei soli
termini di un processo diacronicamente degenerativo, ovvero di inesorabile allontanamento dall’Ur-Text.
Ai concetti, fondamentali di errore, autenticità, seriorità, deteriorità ecc. non corrispondono, a questo secondo livello di analisi, classificazioni altrettanto precise o comunemente condivise dalla critica testuale: tuttavia è nel rilevamento stesso di queste oscillazioni che si potrà dire veramente qualcosa di più sulla particolare fisionomia di questo testo.259
256 Questo stesso ragionamento è valutabile anche per testi di natura spiccatamente letteraria, ulteriormente implicati da un alto grado di autorialità; mi riferisco, ad esempio, al caso della tradizione del Chevalier de
la Charrette. Particolarmente interessanti le riflessioni di Asperti-Menichetti-Rachetta 2012 a proposito del Charrette Project dell’Università di Princeton, dove «La tradition manuscrite est prise en considération du
point de vue de la mouvance: chaque témoin est étudié dans sa singularité, et n’est jamais comparé aux autres» e ancora, più avanti: «Nous voudrions, quant à nous, souligner l’importance e l’intérêt de la quantité de données restées en parti ou complétement “abandonées à elles-mêmes” dans les archives du Charret Proget, et proposer une solution pour les mettre en valeur».
257 L’argomento, ancora centrale nelle riflessioni ecdotiche tanto di natura teorica quanto riferite a singole edizioni, è formulato ed elaborato dallo studioso a più riprese a partire dal concetto di diasistema enunciato, in ambito dialettologico, da Weinreich (cfr. Weinreich 1953), a partire dal primo studio, legato alla tradizione della Chanson de Roland pubblicato in francese (Segre 1976) e poi tradotto in Segre 1979, e poi nelle ulteriori specificazioni per cui si rimanda a Segre 1978 e Segre 1998 [1991].
258 In questi termini, parzialmente inficiata in partenza, ovvero nell’assenza di una certezza reale di un S1 (ossia di un modello di traduzione) affidabile. La virtualità di S1 è un presupposto che si dà per scontato, ovvero si ritiene che, in assenza di argomenti contrari, la lezione, così come si legge nell’edizione BRAYER-
LEURQUIN 2008, costituisca il punto di partenza della traduzione: i singoli casi sono valutati isolatamente e, laddove necessario, problematizzati.
259 Si richiama quanto detto da Varvaro sul concetto di copia: «S’intende dunque perché le trattazioni del processo di copia tendano a trasformarsi in manuali di patologia e, per converso, la prassi degli editori venga concepita come terapeutica. (…) In realtà l’esigenza della tradizione meccanica, la negazione del valore della copia e l’idealizzazione dell’originale sono tre elementi di un sistema coerente e compatto»
CXLVII A queste considerazioni teoriche va aggiunto che esiste un dato, spesso, come nel nostro caso, impalpabile e indimostrabile fattivamente, ma tacitamente presente, ovvero l’ampia disponibilità di materiali di copia nei luoghi di produzione dei codici. Tale assunto è postulabile solo in via teorica per quanto concerne la tradizione del
Libre, quantomeno allo stato attuale degli studi sulla sua circolazione e sulla
diffusione, nel Sud della Francia, del modello francese: nel momento in cui sarà possibile – e se sarà possibile – approfondire gli ambiti di produzione relativi a ciascuno dei testimoni che compongono la tradizione del testo, allora si potranno fornire indicazioni precise e, con ogni probabilità, avvalorare quanto qui si congettura e si suppone. A fronte di tali mancanze, il rapporto con l’ipotesto, nei termini di maggiore o minore fedeltà, è valutabile all’interno di uno stretto e stringente margine di incertezza, poiché non si può escludere – e anzi, lo si ritiene altamente probabile, considerando le tracce di un’attività elaborativa ponderata nel passaggio dal francese all’occitano, come si tenta di provare in questo capitolo – che una maggiore fedeltà possa corrispondere a un’operazione innovativa di ritorno alla fonte o di comparazione di versioni diverse, in potenza disponibili nei centri di produzione manoscritta.260
Da un punto di vista operativo, in fase di constitutio textus, il criterio del riscontro sull’ipotesto ha assunto il valore di conferma su cui valutare l’accordo dei testimoni e, eventualmente, in assenza di motivi contrari (come nei casi di rimaneggiamento più evidente), sostenere la lezione del testo base in adiaforia. La cautela richiesta sia in fase di recensio, ovvero nella determinazione dei rapporti tra i codici (cap. 3), che nelle scelte degli interventi sul testo base, nell’uso del principio di attinenza con il modello tradotto si può verificare in molti punti, commentati nella nota al testo. Il caso della variante al § 60 del capitolo 11 risulta particolarmente pertinente in tal senso e si inserisce, a titolo esemplificato, in questo contesto di introduzione.
LIBRE DE VICIS ET DE VERTUTZ Varianti
(Varvaro 2004 [1998], p. 624) e più avanti: «la gamma di variazione, nella trasmissione testuale come in quella figurativa, è determinata da fattori che sono sicuramente gli stessi. In primo luogo, certo, la capacità professionale del copista; ma anche la variazione diacronica del gusto (…). Un terzo fattore è certo il rapporto tra copista (o atelier) e committente (…)» (ivi, p. 633). Tra i vari esempi che si possono allegare a quanto sostenuto – lasciando da parte, per il momento, il caso di traduzioni e volgarizzamenti – si rimanda al concetto di “tradizione caratterizzante” formulato da Branca per il Centonovelle, («Dopo molte esitazioni, dopo molte prove e riprove in direzioni diverse, ho potuto comprendere che si tratta di varianti tipiche diffusesi non in senso verticale, ma orizzontale, e non per contaminazione (esclusa categoricamente dagli altri elementi), ma per l’affinità di copisti anche diversissimi e lontani nel tempo e nello spazio, appartenenti però ad una stessa “compagnia”» (Branca 1960, p. 73; per un aggiornamento e un approfondimento sulla questione, applicata al caso dei codici di Boccaccio, cfr. Cursi 1998).
260 Nell’ambito delle traduzioni dal latino, tale possibilità è stata provata per la Bible di Herman de Valenciennes. In ultima analisi, ponderando, rispetto alla fonte, elementi innovativi e tendenze di conservazione, Rachetta perviene a tracciare un quadro del tutto condivisibile e, pur con ben minori implicazioni in termini di attività adattiva operata sull’ipotesto, valide anche per il nostro: «Cette transmission est conçue surtout comme une dégénération, un éloignement par rapport à une source qui est la seule à garder la plenitude des contenus. Contrairement à cette théorie, nous considérons la Bible comme le résultat d’un essai de fonctionnaliser des contenus dans un domaine linguistique et dans un contexte social différents: nous la voyons comme une forme d’exégèse narritive sélective (…) Le concept de traduction en diglossie nous a conduit à envisage ce phénomène en synchronie et non plus, donc, comme le moment final d’une longue diachronie» Rachetta 2014, p. 96.
CXLVIII 59.] § Le .iii. rams es can fan encrezent
ad alcunas personas que els aian alcuns bens et alcunas gracias e nenguna non a d’aquellas; 60.] et aytals apella l’Escriptura encantadors, car encantan la gent. [11.60.a] Ben es hom encantatz qui de si crey mays per autre que per si; ben es hom encantatz, qui sap per cert que non a aquel ben ni aquella gracia ni aquella vertut en si e, sol que .i. lauzengier o diga, el la cuia aver.
qui de si crey mays per autre que per si
Av P9
qui de si cres mais as autre que a si Bc qui tantost cre mays ad autre que a se P5
om. B7 P7 V
om. E M
Se l’assenza della lezione nel solo gruppo B7 P7 V, confermato dal riscontro, in questo caso, di entrambi i codici catalani, può imputarsi a un saut, occorrerà in primo luogo rilevare come il periodo, così come conservato in Av P5 P9 e Bc, corrisponda, pur parzialmente rimaneggiato, a quanto si legge nell’ipotesto: «Et pour ce les apele l’Escripture anchanteurs, car il anchantent tant l’omme que il les croit plus que soi meismes».261 Il secondo periodo, condiviso da tutti i codici, recupera,
rimodulandola da un altro punto di vista, la completiva del § 59. (que els aian alcuns
bens et alcunas gracias e nenguna non a d’aquellas) ed è, invece, assente nel testo
francese.
A complicare il quadro, come in B7 P7 V e nei testimoni catalani E M, anche nel Vergier de cunsollacion, traduzione valdese che rimaneggiata la versione occitana della Somme le roi, il brano non conserva il primo periodo di Av Bc P5 P9 (che è, invece, l’unico dei due presenti anche nell’ipotesto):
En aquest peccat son aquilh que donan ha entendre, ho fan encreire ha alcune personas, qu’ilh ayan alcun ben, he alcuna gracia, qu’ilh non an, per que el s’en done vanagloria, mas li mal ni li seo defalhiment non li volon dire; eytal son apella encantador. Aquel es encanta, que sa qu’el non ha aquella gracia, ni aquella vertut, he pur que un lausengier ho dia, la cuyda aver, e cre mais a czo que li autre diczon, que a czo a czo qu’el sap. 262
Immaginando per assurdo di aver perso la testimonianza di quest’ultimo gruppo e di aver conservato solo la lettura di B7 P7 V ovvero la lettura confermata in S3 e non anche quella di S1 (ovvero della Somme), nel testo si sarebbe potuta
ravvisare semplicemente una riduzione della lezione dell’ipotesto.
Con questo caso, si vuole mostrare il modus operandi che ha determinato la selezioni degli esempi che qui si allegano, nonché delle lezioni commentate nelle note al testo: ci si è sempre chiesti, in sostanza, come si sarebbe interpretata una certa lezione adiafora, magari isolata nella tradizione (quindi indifferente ma non equipollente), se sia conservato un’alternativa (anche laddove, per diverse ragioni più o meno sicure, questa alternativa si possa ritenere più valida)? Non mancano zone di confine, ovvero in molti casi è difficile marcare con certezza programmatica
261 BRAYER-LEURQUIN 2008,p. 161. 262 DEGAN CHECCHINI 1979, p. 67.
CXLIX ciò che si colloca a un determinato livello di stratificazione della variantistica e molti sono i casi che rimangono aperti.
4.2. Quale modello?
Prima di valutare, le manifestazioni più significative di quanto detto, bisognerà soffermarsi su un problema di non poco conto, ovvero l’incertezza rispetto al modello da cui è tratta la versione provenzale. Qualche cautela a proposi to della questione si è già manifestata al momento di valutare gli errori condivisi da tutta la tradizione. Come segnalato, il problema si pone già a partire dallo studio di Boser che comprende e spiega con chiarezza le implicazioni del problema così posto:
D’une part, la rédaction provençale fait à la lecture l’impression d’un texte original et non pas d’une traduction; d’autre part, il est peu probable que dés la première moitié du XIVe siècle on ait senti,
dans le nord, le besoin de remanier et de transformer aussi profondément un text presque encore dans sa nouveauté. L’on s’explique beaucoup mieux qu’un traducteur intelligent, poussé en même temps par le désir de corriger e d’amplifier le texte qu’il avait sous les yeux et par la nécessité qui s’impose à tout traducteur de s’écarter quelquefois du text original, en soit arrivé à doter la littérature provençale d’un ouvrage qui, tout en reproduisant exactement pour le fond la compilation française de frère Lorens, en diffère presque partout pour la forme et n’en est souvent qu’un espèce de paraphrase.263
Non è stato possibile rintracciare con precisione il modello da cui si può presumere sia tratta la traduzione occitanica.
L’edizione BRAYER-LEURQUIN 2008 prende in considerazione quattro degli oltre cento testimoni recensiti,264 ovvero:
Paris, Bibliothèque Mazarine, 870 (W),
London, British Library, Additional, 54180 (X), Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 6329 (Y), Metz, Bibliothèque municipale, 665 (Z).
L’edizione riproduce il testo di W, riscontrato su quello del gemello X.265 I
codici sono tutti databili tra il 1295 e il 1311 e rispecchiano, pertanto, la fase più antica della trasmissione del trattato francese. Sulla base delle valutazioni complessive che, allo stato attuale degli studi, descrivono la tradizione della Somme
le roi, mi sembra possibile, in generale, valutata anche la compresenza di diverse
263 Boser 1895, pp. 62-63.
264 Si veda la relativa scheda su JONAS (http://jonas.irht.cnrs.fr/oeuvre/2201).
265 «Les copies (…) sont des manuscrits “jumeux”. (…) Il est tout à fait probabile (…) que les deux exemplaires, aient été réalisé en même temps, pour les deux exemplaires diffPrents mais sous la direction d’un même maître d’ œuvre veillant à la mise en page de l’illustration comme à celle du text», BRAYER- LEURQUIN 2008,p. 71.
CL redazioni testuali, ritenere che il modello dell’edizione offra un riscontro approssimativamente solido e sicuro per il testo di Libre de vicis et de vertutz. 266
In ogni caso, tenendo conto delle poche indicazioni e dell’impossibilità di accedere più a fondo nella tradizione della Somme, si propone di isolare alcune lezioni della traduzione ritenute propedeutiche a una futura – e necessaria – riconsiderazione del problema e utili, pertanto, a indicare un possibile orientamento nella ricerca di un modello di traduzione il più possibile prossimo.
A tal proposito, una minima selezione in tal senso è operabile già all’interno della pur minima recensio considerata per l’edizioneBRAYER-LEURQUIN 2008. In più di un caso, in effetti, il testo della versione occitana ha mostrato una certa affinità con il testimone Z della tradizione della Somme.267
Prescindendo dai singoli rilevamenti che, imputabili potenzialmente alle più varie ragioni, ci porterebbero su un terreno troppo incerto,268 si consideri almeno un
caso in cui nel testo del Libre occitanico si osserva la presenza di un errore
266 I testimoni selezionati conservato la redazione a del trattato, la più antica. Il primo studio dedicato alla sovrapposizione di più versioni dell’opera, con particolare attenzione per l’intreccio tra la tradizione della
Somme e quella del Miroir du Monde è Meyer 1892 (b). Lo studioso riprenderà l’argomento qualche anno
dopo, rivedendo ampiamente le sue posizioni, a conferma della difficoltà del caso (cfr. Meyer 1894). Per un esame più esteso dei reciproci rapporti tra testimoni, si rimanda allo studio di Brayer 1958, che indaga in particolare i rapporti e le interferenze con il Miroir du monde, senza però a mio parere affrontare in maniera precisa e compiuta le difficoltà enormi poste dalla questione, in mancanza di un’edizione del
Miroir, fonte principale del trattato dei vizi, e della Summa di Peraldo, fonte del trattato delle virtù. In ogni
caso, può essere utile richiamare alcuni snodi dello studio menzionato. In primo luogo, ritengo interessante il rilevamento per cui, nella tradizione della Somme, la posizione dei primi due capitoli non risulti sempre stabile: talvolta si dispongono all’inizio, talvolta alla fine, talvolta tra le due macro-componenti dell’opera (il trattato dei vizi e il trattato delle virtù) che, tra loro, possono essere invertiti. La studiosa individua e descrive alcune redazioni: redazione d (i peccati della bocca sono notevolmente ridimenzionati e disposti prima del trattato sulla lussuria; il testo è notevolmente abbreviato); redazione e (tipo riconducibile al ms. n. 116 della Biblioteca municipale di Lille, datato al 1358. Il trattato degli articoli di fede è rimpiazzato da una redazione più ampia, preceduta da un prologo. Gli articoli sono divisi in due serie: sei articoli per la divinità e sei per l’umanità e l’attribuzione degli articoli agli apostoli viene posta in blocco alla fine); redazione f (riconducibile al ms. della BnF, fr. 409. L’inizio del trattato dei doni dello Spirito Santo è stato rimaneggiato; sono introdotte importanti aggiunte, in particolar modo nella descrizione delle virtù cardinali, declinate secondo quattro gradi: comuni, purgatorie, di pure cuore, esemplari di altre cose); redazione g (conservata da almeno tre manoscritti– BnF fr. 1895, Estense di Modena, alfa P. 8. 6. e Valencia, Bibl. univ. 863 – aggiungono alla fine un opuscolo sui remedi contro i peccati, nello stesso ordine in cui li presenta la Somme, e oppongono ai peccati di lingua il profit de la langue. Nei Manoscritti di Parigi, Modena e Valenzia questo capitolo è separato da un foglio bianco o annunciato da miniatura. Tali rimendi, presenti anche nel ms. BnF fr. 1134, risultano qui intercalati immediatamente dopo il vizio corrispondente: questa redazione sarà molto fortunata nella tradizione che vede intrecciarsi Miroir e Somme e ad essa Brayer dedica la parte conclusiva dello studio, alle pp. 433-470).
267 Cfr. supra. A differenza degli altri quattro codici, il manoscritto di Metz, testimone cartaceo che conserva unicamente la Somme le roi, è una copia ordinaria e non di lusso. Particolarmente rilevanti risultano le considerazioni delle editrici nel merito delle peculiarità che contraddistinguono il testo da esso conservato: «les deux copistes, et particulièrment le second, font prueve d’intelligence dans leur compréhension du texte et d’une certaine indépendance. Les variantes sont donc nombreuses mais restent souvant minimes; seules ont été relevées [e dunque riportate in apparato] celles d’une certaine importance – soit par leur longueur, soit par leur sens – et toutes celles qui portent sur des passages où la leçon du manuscript de base a été rejetée», BRAYER-LEURQUIN 2008, p. 70.
268 Si rimanda alle note di commento al testo per l’eventuale segnalazione di questo tipo di riscontro, ovvero laddove la coincidenza si verifichi per una lezione indifferente.
CLI conservato anche nel manoscritto Z, così come registrato nell’apparato dell’edizione francese.
Cap. 27 § 19.
Si leggano distesamente i paragrafi coinvolti, da § 18 a § 24:
LIBRE DE VICIS ET DE VERTUTZ SOMME LE ROI,
pp. 260-261
18.] § Aquest don de Sciencia es priors claustiers en la claustra de l’arma que fa ben gardar l’orde a totz et en totz luox degutz: § premieramentz en cor, pueys en los autres uficis. 19.] § En aquest cor a .ii. uficis, so es entendement e voluntat – d’autramentz si nomna li razon e li afection. 20. § Cant aquestas .ii.a. partz del cor s’acordan, ellas fan mot dous cant e dousa melodia e mot bel servizi 21. et ayso es cant li voluntat vol tot so que l’entendement decha de ben e cant li voluntat consent so que razon entent. 22. § Cascuna d’aquestas .ii.a. partz de l’arma [70vA] fa .iiii. officis, 23.] so son .iiii. serors en l’una part del cor e .iiii. de l’autra, que azordenan tot l’ufici. 24.] § De la part de l’entendement es ben enquere e ben juiar, ben renebrar, ben demostrar so que ben entent.
18 Cist dons est li prieurs ou cloistre
de l’ame, qui guarde l’ordre et fet guarder partout, primes ou cuer et puis es autres offices. 19 En ce cuer a .II. costez: l’entendement et la volenté, la reson et l’affeccion. 20 Quant cist dui cousté s’acordent, ilfont mout douce melodie et mout beau servise, 21 c’est quant volentez veut quanque entendemenz enseigne de bien, affeccion sent quanque reson entent. 22 Or entent dont de ces .II. costez qui sont en l’ame, comment il doivent acorder. 23 En l’un costé a .IIII. sereurs et en l'autre .IIII., 24 car la reson a .IIII. offices, c'est d’enquerre, de jugier, de remembrer et de moustrer ce qu’ele entent par paroles
Il paragone tra il dono di Scienza, tema cui è dedicato l’intero capitolo 27, e il priore di una comunità religiosa si imposta sull’argomento nodale della funzione organizzativa esercitata da entrambi: come il secondo amministra, gerarchizzandole, le attività del monastero posto sotto la sua direzione, così il dono dello Spirito Santo regola le attività dell’anima e, in primo luogo, del ‘cuore’. Come nel Libre così anche nella Somme, il periodo precedente (§ 18) si chiude con il lemma uficis, con cui è da intendersi il riferimento alle altre attività sottoposte al regolamento esercitato dal dono di Scienza: