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L’esperienza degli assistenti social

Domande I risultati corrispondono

MATRICE BINARIA MATRICE PESATA

5.6 Gli utenti finali dei progetti Iris e Grisù: le famiglie a rischio di esclusione sociale

5.6.4 L’esperienza degli assistenti social

Relativamente alla dimensione procedurale in fase organizzativa è emerso fondamentalmente un giudizio critico rispetto al ruolo svolto dall’ASL, il cui apporto ai

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progetti risulta scarso o, in alcuni casi, addirittura nullo. Un giudizio che conferma quanto già emerso dall’intervista ai diversi coordinatori dei progetti finanziati. Le spiegazioni che gli assistenti danno della mancanza di partecipazione iniziale da parte dell’ASL attengono innanzitutto ad una inadeguata comunicazione interna alla struttura stessa, che comporta una scarsa diffusione delle attività e delle funzioni che vengono svolte al di là del contesto ospedaliero. Il problema non dipende, quindi, dall’assenza di una procedura formalizzata che individui una figura competente, interna alla struttura, predisposta alla raccolta dei dati utili alla definizione del rischio, tanto più se si pensa che si tratta di informazioni a cui è possibile risalire anche attraverso l’anamnesi effettuata prima del parto. Piuttosto gli assistenti sociali adducono la possibilità che, essendo l’ASL una struttura caratterizzata da una decentralizzazione e frammentazione di servizi e funzioni, diventa più difficile la gestione di una così data complessa rete interna e quindi risulta difficile l’interazione con le strutture esterne. Ne consegue, da quanto detto, un operare rivolto non tanto all’ottica della prevenzione quanto piuttosto su casi emergenti o dove il rischio è ormai conclamato, senza la possibilità di condividere le idee e decidere insieme quale sia il percorso migliore per i nuclei familiare a rischio.

Se si tiene conto di questa prima difficoltà, il modello procedurale sembrerebbe non aver funzionato. In realtà il fatto di essere i principali autori delle segnalazioni (i servizi sociali sono i primi ad essere avvisati in caso di situazioni di rischio) permette comunque alla rete di attivarsi attraverso la partecipazione alle U.V.M. e l’attivazione dei progetti individualizzati.

Riguardo la seconda dimensione, quella esperenziale, tutti gli assistenti sociali hanno la percezione del loro lavoro nei progetti come un qualcosa che non ha alcun costo (di tempo, di energie, economico) in più rispetto a quanto già si faceva in precedenza. In realtà il fatto di dover gestire un maggior numero di relazioni attraverso il rapporto continuo (soprattutto telefonico) con i tutor per monitorare l’andamento della loro attività, e i contatti con le altre figure professionali afferenti all’ambito territoriale, attraverso la partecipazione alle riunioni indette dal coordinatore, non è avvertito come un surplus di lavoro. Questo perché da un lato il tutor rappresenta un aiuto prezioso che agevola il lavoro dell’assistente sociale nella gestione e nel monitoraggio delle famiglie a rischio; dall’altro l’impegno nella partecipazione alle U.V.M. è compensato dalla capacità che esse hanno di facilitare la gestione dei casi difficili e multiproblematici attraverso una condivisione di competenze e di responsabilità.

Rispetto alla terza dimensione procedurale, in fase di implementazione, gli assistenti sociali condividono l’idea che le U.V.M. rappresentino una modalità molto efficace di

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intervenire sul bisogno. Solo attraverso il contributo di ogni singolo attore e la condivisione delle competenze professionali di ognuno è possibile arrivare a costruire interventi mirati ed adeguati ai bisogni delle famiglie. Per quanto riguarda i tutor, nonostante gli assistenti sociali ammettano che si tratta di figure importanti perchè permettono di evidenziare con più facilità i bisogni sociali di una famiglia, di portare avanti la progettualità sul singolo caso, di apportare modifiche continue in corso d’opera e di favorire il dialogo con i servizi sparsi sul territorio, tutti ritengono che non siano stati adeguatamente formati. In realtà, sl di là del riscontro positivo in termini di supporto alle famiglie, gli assistenti sociali affermano che, probabilmente, una maggiore esperienza professionale nel settore sociale ed una maggiore istruzione scolastica dei tutor avrebbe sicuramente agevolato la comunicazione e lo scambio di informazioni.

Le esperienze personali degli assistenti sociali rispetto a singoli casi di famiglie entrate nei progetti Iris e Grisù rivelano, nel complesso, ottimi risultati in termini di capacità di arginare il rischio sociale. Ovviamente si tratta di piccoli passi in avanti della famiglia, in particolare nell’acquisizione delle capacità genitoriali o nella gestione delle problematiche della vita quotidiana.

Di seguito sono riportate alcune testimonianze degli assistenti sociali di esperienze vissute in cui emergono le problematicità dei nuclei familiari e le diverse modalità di svolgimento delle attività di tutoraggio.

Tra gli assistenti sociali c’è chi racconta di avere in carico nei progetti un nucleo familiare composto da una madre con i suoi tre figli, di cui il terzo avuto con un secondo partner. L’assistente sociale prosegue nel racconto affermando che:

«il tumore che ha colpito la madre ha comportato non solo problemi di carattere economico, ma anche un forte disagio psicologico. I progetti Iris e Grisù sono intervenuti attraverso un’attività di tutoraggio rivolta principalmente all’accudimento dei figli, in modo tale da consentire alla madre di sottoporsi ad alcuni cicli di chemioterapia. Quando poi è entrata nella fase terminale della malattia, il disagio economico è aumentato ed è stato concesso loro un contributo per poter pagare l’affitto dell’appartamento nel quale vivevano, che avrebbero altrimenti dovuto lasciare. Successivamente al decesso della madre è continuato il tutoraggio anche attraverso l’erogazione di una borsa lavoro a favore del padre del bambino che aveva difficoltà a trovare un lavoro avendo avuto precedenti penali ed essendo stato condannato a 2 anni e 5 mesi di carcere per un reato commesso molti anni fa. Siamo riusciti, anche coadiuvati dal coordinatore dell’Ambito S1, ad evitargli il carcere così da consentirgli di occuparsi del bambino che aveva lui come unica figura di riferimento»

Rispetto al tutoraggio domiciliare l’assistente sociale afferma che:

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tutoraggi, ed è andato sempre tutto bene. I riscontri sono stati sempre positivi. I tutor sono valori aggiunti al progetto».

Tra i diversi casi di famiglie che ha in carico, un altro assistente sociale racconta di una situazione molto difficile relativa ad una ragazza di 23 anni con quattro figli, di cui un’ultima figlia nata da una relazione extraconiugale.

«La bambina soffre di una malattia grave per la quale, prima o poi, sarà costretta a stare attaccata ad un respiratore. Nonostante questa signora abitasse molto vicino al Comune, non aveva mai chiesto aiuto, per diversi motivi: per orgoglio, per paura di perdere i figli, per paura del marito, uno spacciatore al momento in galera, per il fatto che l’ultima figlia era frutto di una relazione extraconiugale. Il marito aveva denunciato dalla galera la signora ai servizi sociali perché lasciava i figli per prostituirsi. Indagando meglio la situazione abbiamo scoperto che anche gli altri figli avevano disturbi affettivi, di linguaggio e dell’apprendimento. Grazie al progetto Iris e Grisù, è stato possibile assegnare un tutor domiciliare, dare a questa ragazza una casa migliore. Ha avuto modo di avere fiducia dei servizi sociali quando prima aveva molta paura, e grazie anche al suo prodigarsi, si sono raggiunti risultati impensabili. Questa ragazza ha ritrovato la propria serenità sentendosi anche meno esclusa dalla vita sociale. E’ stata davvero una vittoria. E’ importante migliorare la comunicazione e dare la giusta informazione sul territorio di cosa rappresentano i servizi sociali. Spesso la gente crede che un assistente sociale interviene solo per portare via i figli”. Questa ragazza non ha avuto la borsa lavoro, non perché non gli fosse stata assegnata, ma perché è stata lei ad averla rifiutata in quanto, avendo il tutor domiciliare che si occupa dei figli, si è impegnata a lavorare. E’ evidente che non ha approfittato dell’aiuto ricevuto, ma vuole fare del suo meglio per poter uscire dalla difficile condizione in cui vive. Si reca periodicamente con la piccola presso l’ospedale per le cure. E’ al 100% mamma, e togliere i figli a lei, significherebbe doverli togliere a tutti. Nonostante queste attenzioni particolari per l’ultima figlia, è stata sempre molto presente anche con gli altri tre bambini».

Inoltre, rispetto ai i tutor l’assistente sociale afferma:

«il tutor ha avuto un ruolo importante, soprattutto come guida per questa ragazza. Inoltre hanno un rapporto splendido tra loro, nonostante ognuna riconosca il ruolo dell’altra».

Infine, un’ultima esperienza riportata da un altro assistente sociale si riferisce ad una famiglia che si è rivolta spontaneamente ai servizi sociali territoriali.

«Un giorno un ragazzo è arrivato da noi, ai servizi sociali, dicendoci di aver avuto uno sfratto esecutivo con 4 figli. Gli abbiamo spiegato che al momento dello sfratto, sarebbero stati contattati dai servizi sociali e lui rischiava di perdere i figli per affidarli ad una casa famiglia. Al sentire queste cose ha iniziato a piangere. E’ tornato ai servizi sociali accompagnato dalla moglie affermando che avrebbero fatto di tutto per non perdere i figli. Il ragazzo riesce ad evitare lo sfratto, trasferendosi in un garage in periferia con tutta la sua famiglia. Quando siamo andati sul posto ci siamo resi conto di quanto fossero pessime le condizioni in cui vivevano. A quel

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punto abbiamo deciso, con l’Ambito S1, di assegnargli un tutor che, però, non si è rivelato all’altezza della situazione, o meglio perchè si è fatto prendere troppo dal sentimentalismo a discapito della professionalità. Faceva cose che non gli competevano, come portare loro cose da mangiare, oppure portarli in giro con la propria auto, non stimolandoli a sollevarsi dalla loro situazione e perdendo la sua funzione educativa. E’ stato perciò incaricato un nuovo tutor che sembra aver portato il “sole” in quella famiglia. Questo nuovo tutor ha dato tanto, ma ha anche preteso rispetto. Sono stati inoltre aiutati i bambini, attraverso un’insegnante di sostegno in particolare per uno di loro che presenta un ritardo mentale. Il padre ha iniziato a fare lavoretti per una parrocchia del paese. La moglie ha avuto la borsa lavoro ed, inoltre, è stata molto aiutata nel capire l’importanza anche di curare il suo aspetto. Era molto trasandata, molto magra e aveva pochi denti, mentre adesso ha acquisito più femminilità. Inoltre sono stati aiutati a trovare una nuova casa e ad arredarla».

Rispetto alle capacità dei tutor e ai risultati ottenuti attraverso le attività di tutoraggio presso le diverse famiglie prese in carico l’assistente sociale dice:

«E’ fondamentale che chi si impegna come tutor lo faccia dedicando anche molto tempo, perché i risultati non sono sempre immediati. E deve avere anche la possibilità di farlo senza limiti di tempo. In generale il progetto è andato molto bene e abbiamo avuto molti casi andati a buon fine. Un unico caso non è risultato vincente ma non perché non sia stato dato il giusto supporto al nucleo familiare. Si tratta di una famiglia in cui la madre di colore, abbandonata dal marito, con 4 figli ha ricevuto il tutoraggio domiciliare ed ha rifiutato la borsa lavoro perché era già impegnata in un’altra attività. Poi però, in un secondo momento, ha perso il lavoro. Il problema è subentrato quando ha cominciato a frequentare una persona poco affidabile, e probabilmente in quella casa, c’è adesso un giro di stupefacenti. Ci si sta muovendo per portarle via i bambini».

In conclusione, gli assistenti sociali intervistati condividono l’idea che l’integrazione socio-sanitaria non sia avvenuta o che sia stata raggiunta solo in parte, se si tiene conto di alcune segnalazioni di casi di famiglie a rischio inviate all’Ambito S1 direttamente dalle U.O.M.I., che rappresentano la parte sanitaria operante sul territorio. Inoltre, rispetto alle U.V.M., esse sono considerate come un momento fondamentale nei progetti per poter intervenire, attraverso la condivisione di idee, obiettivi, esperienze e competenze degli attori coinvolti, su casi specifici e diversificati di famiglie a rischio. In riferimento all’attività di tutoraggio, infine, gli assistenti sociali esprimono un giudizio molto positivo. Nonostante alcuni casi in cui il tutoraggio non ha prodotto i risultati desiderati, in generale il lavoro che i tutor svolgono presso le famiglie rappresenta un valore aggiunto di fondamentale importanza per contrastare il disagio dei nuclei familiari a rischio.

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