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Etnocidio scolastico

Ritornando alla situazione all’interno delle riserve, bisogna ricordare che le scuole erano in numero insufficiente, perciò molti bambini furono obbligati a frequentare istituti laici o religiosi.

Ma questa non fu la sola ragione che portò alla nascita delle Indian Schools: l’istruzione infatti poteva essere un’arma di distruzione culturale potentissima, e dunque il controllo sugli indiani fu il principio ispiratore dei “campi di concentramento” oggi conosciuti e chiamati come Scuole Indiane. Erano trascorsi appena due anni dalla terribile tragedia di Wounded Knee quando il capitano Richard Henry Pratt, fondò nel 1879 la Carlisle Indian Industrial School della Pennsylvania, alla quale ne seguirono molte.

Pratt, dopo aver prestato sevizio nei ranghi dell’esercito statunitense ed essere stato ufficiale di cavalleria tra il 1867 ed il 1875, ebbe l’occasione di sperimentare le sue idee relative all’istruzione degli indiani; nel 1875 mentre scortava 72 prigionieri Kiowa, Comanche e Cheyenne ottenne il permesso di provare ad istruire una parte di quegli indiani, insegnando loro a leggere, scrivere e a praticare un po’ di esercizio militare.

L’esperimento sembrò dare qualche soddisfazione a Pratt che ottenne, nel 1879, il permesso di costruire una nuova scuola, la Carlisle appunto. Nello stesso anno, in settembre, lo stesso Pratt si prese la briga di girare le riserve Sioux, riuscendo ad ottenere l’affidamento temporaneo di ben 82 bimbi. Durante una conferenza, Pratt espose la sua teoria:

45 Deloria V. jr., Custer è morto per i vostri peccati. Manifesto indiano. L’occidente a confronto. Jaca Book,

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”Un grande generale ha sostenuto che l’unico indiano buono è quello morto e che la scelta finale della distruzione dell’uomo rosso è stata la scusa per numerosi massacri. In un certo senso mi trovo d’accordo con l’idea di fondo, ma solo con quella. Con il fatto, cioè, che tutti gli indiani esistenti dovrebbero essere morti. Uccidi l’indiano che è in loro e salva l’uomo.”46

Pratt sosteneva dunque che l’unico modo per assimilare gli indiani all’uomo bianco sarebbe stata la diffusione della cultura dei bianchi tra loro, partendo dalle giovani generazioni.

La sua scuola era un progetto governativo, con il quale si auspicava di portare nelle tribù “il germe del tradimento dei valori della cultura indiana e lo spirito di lealtà nei confronti della nostra nazione”, ma allo stesso portando dei buoni propositi, come quello di offrire ai nativi moltissime opportunità di crescita, così come ad ogni altro cittadino.

Alla Carlisle School si insegnava ai giovani indiani la lealtà per ciò che rappresentava il simbolo a stelle e strisce e poi si cercava di favorire il ritorno di questi ragazzini “convertiti” tra la propria gente, affinché potessero “istruire” anche il resto degli indiani.

Per metà della giornata i docenti insegnavano le normali materie scolastiche47, mentre l’altra metà era dedicata alle attività professionali. Però, dato che il governo federale non forniva fondi o personale sufficiente, gli studenti erano impiegati nei lavori di manutenzione della scuola, con il risultato che i bambini passavano spesso più tempo a pulire o cucinare, cucire o coltivare e fare riparazioni di quante non ne passassero in classe od in laboratorio ad imparare.

Al termine dell’anno scolastico, molti studenti indiani venivano mandati presso famiglie euroamericane, dove svolgevano lavori agricoli e domestici,

46Zinn H., Storia del popolo americano dal 1492 a oggi, Il Saggiatore, Milano, 2005

47 Il programma di studi comprendeva anche l’istruzione religiosa, il culto e l’educazione civica. Non

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in un luogo dove potessero sentir parlare soltanto inglese ed assorbissero i valori cristiani. Questo spesso faceva sì che alcuni studenti non tornassero a casa per anni.

Sull’esempio della Carlisle Indian School, che continuò la propria attività fino al 1918, sorsero altre scuole destinate a “formare” gli indiani, che continuarono nella loro missione di “civilizzazione” fino al 1930.

Possiamo dunque affermare che il compito della scuola, dopo il distacco forzato e l’allontanamento dalla famiglia, si potesse sintetizzare in un duplice attacco all’identità dei bambini indiani: era necessario rimuovere tutti i segni esteriori ed interiori di identificazione dei bambini con la vita tribale e, al tempo stesso, istruirli sui valori ed i comportamenti della cultura bianca. Se si pensa che il tradizionale metodo educativo dei nativi si sviluppava attraverso l’esempio e l’esperienza o la narrazione di storie e che il principio fondamentale era il rispetto e la totale accettazione dell’allievo e dunque l’apprendimento era un processo continuo, senza interruzione, dalla nascita fino al momento della morte e ancora, che gli insegnamenti erano strettamente attinenti alla sacralità della vita, sia che fosse umana, animale, o vegetale, è facile comprendere quanto potesse essere crudele e terribile l’essere catapultati in una dimensione totalmente differente, dove l’istruzione puntava invece a ledere la dignità e la personalità dell’allievo.

Come se questo non bastasse, bisogna ricordare che il tasso di mortalità nelle scuole fu altissimo, per vari motivi.

Anzitutto rispetto alla situazione igienica nelle scuole, si trovarono numerose relazioni, redatte dagli stessi ispettori bianchi, in cui emersero casi di alimentazione insufficiente ed inadeguata, assenze di cure mediche, sovrappopolazione, lavori di manutenzione eccessivi imposti agli scolari, militarizzazione dei ragazzi, punizioni corporali (frusta, manette, bastonate e prigione) e, come se non bastasse, programmi di insegnamento inadatti. Anche nelle scuole si svolse una premeditata o meno, non sta a noi giudicare, guerra batteriologica: bambini in piena salute erano a stretto contatto con

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bambini affetti da tubercolosi, e non vi era nessun tipo di cura quando si ammalavano.

In queste scuole ai ragazzi fu proibito parlare la loro lingua, indossare abiti tradizionali, portare collane o amuleti e cibarsi di alimenti inviati dai genitori. Lo stesso destino toccò anche ai bambini della riserva in cui viveva Leonard Peltier, e a lui stesso. Racconta che furono presi dal governo per essere portati al collegio del BIA nel Nord Dakota.

Appena arrivarono tagliarono loro i lunghi capelli, li spogliarono nudi e li spruzzarono con del DDT.

I bambini negli istituti erano come in carcere, vittime di razzismo e discriminazione di ogni sorta. Picchiati se venivano sorpresi a parlare la loro lingua. La loro origine doveva sparire.48

E l’effetto più catastrofico spesso era rappresentato dal rientro nelle riserve, dopo alcuni anni: questi ragazzi si trovarono lacerati dalle contraddizioni di due culture differenti, ovvero quella indiana e quella americana, e attratti in egual misura da entrambe, finivano col non sentirsi più appartenenti né all’una né all’altra.

Durante un’intervista rilasciata al Red Town Radio49, Kevin Annett50 e Russel Means51, dichiararono che le scuole residenziali indiane furono più micidiali di Auschwitz, dove il tasso di mortalità variò dal 15 al 30%, ovvero un terzo delle persone furono uccise.

In Canada invece, il tasso di mortalità dei bambini Indiani nelle scuole residenziali era pari ad almeno il doppio.

Nella stessa intervista sostennero che le scuole indiane crearono pazzia, laddove per pazzia considerarono la definizione di Einstein, il quale

48 Peltier L., La mia danza del sole. Scritti della prigione, Fazi editore, Roma, 2005

49 www.nativiamericani.com, Articolo del 22 febbraio 2009, a cura di Alessandro Profeti, ultima visita

14 aprile 2013

50 Kevin Annett è uno scrittore canadese, ed è stato sacerdote della Chiesa Unita del Canada. Ha

pubblicato due libri sugli aborigeni Canadesi: “Love and Death in the Valley” e “Hidden from History: The Canadian Holocaust”. Quest’ultimo, seguito da un documentario, indaga rispetto alle morti avvenute in questi secoli all’interno delle scuole indiane.

51 Attore e cantante nativo americano, scomparso recentemente, da sempre impegnato nella difesa dei

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sosteneva che essa significasse “fare la stessa cosa, ripetendola più e più volte e aspettarsi un diverso risultato“.

I nativi, come pazzi, furono portati, per secoli, ad accettare le cose come stavano perché non smisero mai di sperare che queste cambiassero.