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Inquinamento ambientale e lotta per le terre

4.4. La discriminazione in cifre

4.4.8. Inquinamento ambientale e lotta per le terre

La proprietà delle terre e la loro conservazione, sono due principi ampiamente affrontati e tutelati all’interno della Dichiarazione Universale dei popoli Indigeni:

“I popoli indigeni hanno diritto a mantenere e rafforzare la loro specifica relazione spirituale con le terre, i territori, le acque, le zone marittime costiere e le altre risorse tradizionalmente di loro proprietà o altrimenti occupati e utilizzati, e a tramandare alle generazioni future le loro responsabilità al riguardo.”45

“I popoli indigeni hanno diritto alla proprietà, uso, sviluppo e controllo delle terre, dei territori e delle risorse che possiedono per motivi di proprietà tradizionale oppure di altre forme tradizionali di occupazione o uso, come anche di quelli che hanno altrimenti acquisito.

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Gli Stati daranno riconoscimento e protezione legali a queste terre, territori e risorse. Questo riconoscimento sarà dato nel dovuto rispetto dei costumi, delle tradizioni e dei regimi di proprietà terriera dei popoli indigeni in questione. 46

Nelle terre di proprietà degli Indiani d’America, un problema impellente è l’inquinamento di alcune riserve, in cui compagnie estraggono uranio causando decessi non solo tra gli stessi minatori Nativi Americani ma anche per contaminazione nelle loro famiglie.

“[...] Possediamo una grande quantità di depositi di uranio qui a Pine Ridge; ed è la cultura bianca, non la nostra, che ha bisogno dell’uranio come materiale per produrre energia. Secondo l’industria il modo meno costoso e più efficiente per estrarre e trattare i processi di questo uranio è quello di gettare i rifiuti della produzione, proprio qui, nei luoghi di estrazione. Proprio qui, dove noi viviamo!

Questi rifiuti sono radioattivi e renderanno l’intera regione inabitabile per sempre. Estrarre l’uranio qui e toglierci l’acqua potabile è un genocidio.”47

I Nativi d’America si trovano, in tempi recenti, a combattere contro nuovi nemici: le nuove tecnologie. Lungo la costa californiana si sono infatti, nell’ultimo decennio, moltiplicati i conflitti, che riportano al passato: i Nativi non vogliono che il loro territorio venga sventrato per far passare i cavi a fibre ottiche che dovrebbero rispondere alla crescente domanda di connessione a larga banda dello stato più tecnologico degli Usa.

Gli abitanti dei villaggi non sono dei nemici della tecnologia e non demonizzano Internet, semplicemente non vogliono che gli scavi distruggano i loro luoghi sacri e chiesero di essere consultati prima che i lavori avessero inizio.

46 Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, 2007, Articolo 26, comma 2 e 3 47 Scozza E., Voci indiane del Nord America, Ed.sensibili alle foglie, Roma, 1994, Pag.86, Russel Means

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Il nemico, per loro, ha un nome preciso e si chiama Level 3, una società specializzata nella posa dei cavi, che dovrà stendere 600 chilometri di fibra ottica nella regione, in cui, secondo gli attivisti, che si sono immediatamente mobilitati, ospita non meno di 6.000 luoghi sacri.

I Nativi più colpiti sono stati gli abitanti di San Juan Bautista, un piccolo villaggio indiano isolato tra montagna e oceano.

Dalla fine del 2011 la lotta tra le compagnie telefoniche e gli indiani non ha conosciuto soste, e i lavori dei cantieri sono stati bloccati, ritardati o spostati più volte.

Level 3 e Qwest Communications (un secondo operatore del settore finito nel mirino) si difendono, assicurando che i loro ingegneri conoscono il territorio e sanno riconoscere un sito “culturalmente sensibile”.

Le due società hanno anche assoldato delle guide indiane per sorvegliare i siti durante i lavori. Il conflitto sembra destinato, però, a durare ancora a lungo. In California esistono 300 aziende nel settore dei cavi a fibre ottiche e molte di queste, denunciano gli attivisti indiani, operano senza scrupoli corrompendo le autorità locali per ottenere permessi di scavo senza che le comunità indiane siano state consultate, come la legge prescrive.48

E ancora, Lakota, Navajo e Supai hanno dato, negli ultimi due anni, una potente testimonianza su come i Nativi Americani in Arizona e nel Sud Dakota oggigiorno abbiano dovuto subire la distruzione delle loro terre a causa dell’estrazione di uranio, e delle officine elettriche a carbone costruite nei loro territori. Gli Havasupai hanno richiesto di fermare l’estrazione di uranio nel Gran Canyon che con l’avvelenamento dell’acqua minaccia la sopravvivenza delle future generazioni nel Sud-Ovest.

In particolare White Plume, Lakota, in una conferenza alla Facoltà di Diritto dell’università di Tulsa nell’Oklahoma del 2012 ha affermato:

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“L’America sta commettendo un Etnocidio contro il nostro modo di vita, un Ecocidio contro nostra Madre Terra, e un Genocidio contro le nostre terre ancestrali Lakota. I nostri Diritti Umani sono violati e il nostro diritto di vivere come Popolo e Nazione Lakota è anche stato violato. Senza accesso alle nostre terre e alle nostre acque, noi non possiamo vivere i nostri Diritti collettivi inerenti al fatto di essere chi noi siamo. Qui, ci sono già compagnie di uranio, di petrolio e di gas ed altre vogliono venire. Noi non le abbiamo invitate.

L’America ha accolto le compagnie canadesi di uranio Cameco, la TransCanada con il suo viadotto di petrolio, e quella di uranio della PowerTech e le ha invitate a venire ed ottenere i permessi per il foraggio e l’estrazione di uranio e petrolio nel nostro territorio contro i nostri desideri. Questa estrazione minaccia la tavola acquifera Oglalla, che fornisce acqua potabile a 2 milioni di persone ed irriga i campi dove si coltiva cibo per alimentare la gente. Non abbiamo dato il nostro consenso libero, anticipato ed informato, come richiesto dalla Dichiarazione dei Diritti degli Indigeni adottata in Arizona”. 49

Infatti, all’articolo 29 della sopra citata Dichiarazione, si evince un tentativo per tutelare le terre native dall’inquinamento; articolo però, che non sembra del tutto rispettato:

“Gli Stati devono adottare misure efficaci per assicurare che nessun tipo di stoccaggio o smaltimento di sostanze pericolose abbia luogo sulle terre o territori dei popoli indigeni senza un loro previo, libero e informato consenso.”50