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I due amici di Peltier, Dino Butler e Bob Robideau, anch’essi accusati come Peltier, furono processati nel giugno del 1976. Furono prosciolti dall’accusa e dichiarati non colpevoli poiché avevano agito per autodifesa e, a parere della giuria, nessuno poteva realmente provare con certezza chi avesse colpito i due agenti.

Il giudice durante il processo era McMaus, ma il caso di Leonard Peltier fu invece misteriosamente tolto a questo giudice e affidato al giudice Nichol e successivamente a Benson.

Il processo di Peltier inizia a Fargo, nel North Dakota, nel 1977, a Marzo. Dobbiamo nuovamente ricordare che il North Dakota era una zona dai radicali sentimenti anti-indiani e che l’FBI, sempre grazie all’utilizzo dei mass media, diffuse sul processo molte notizie infondate, come quella di una reale minaccia di attentati ai giudici o alle aule del tribunale; informazioni

31 Peltier L., La mia danza del sole. Scritti della prigione, Fazi editore, Roma, 2005

32 Scozza E., Il Coraggio di essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Roma,

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che in breve tempo crearono un clima di paura intorno al processo, tanto che fu consigliato ai cittadini di evitare di uscire di casa a causa dei pericolosi indiani che si aggiravano per la città; in più la giuria fu messa sotto scorta. L’imputazione per Peltier cambiò, e contrariamente ai due amici non fu accusato di complicità e favoreggiamento, ma di omicidio di primo grado. Il perno centrale sul quale l’accusa agì per impedire alla difesa di riconoscere l’autodifesa, fu dimostrare che egli aveva sparato da una distanza ravvicinata, e doveva inoltre dimostrare che il bossolo 223 era stato sparato da un fucile Ar-15 e che quest’ultimo appartenesse a Peltier.

Non fu difficile per l’accusa trovare, come già aveva fatto, delle false testimonianze, e così alcuni giovani indiani presenti al campo del Jumping Bill, dopo snervanti interrogatori e pressanti minacce, dichiararono che Peltier possedeva un fucile Ar-15.

Un altro indiano, Mike Anderson fornì la testimonianza necessaria ad inchiodare Peltier. Disse di trovarsi sul tetto di una casa nei pressi del campo al momento della sparatoria e di averlo visto arrivare a gran velocità sul suo veicolo, seguito dai due agenti. Continuò dichiarando di aver visto Peltier scendere e aprire il fuoco.

Una perizia poi dimostrò che il bossolo era stato sparato da un Ar-15.

Ad aumentare lo sgomento della giuria il giudice Benson volle mostrare le foto dei corpi dei due agenti, tutto questo per rafforzare l’ipotesi che Peltier fosse un efferato assassino.

Ormai tutto era deciso, il processo terminato.

Peltier era infatti divenuto il capro espiatorio di quella vicenda, e rappresentava l’ultima possibilità per il governo di “salvare la sua faccia”33. Il 18 Aprile del 1977, dopo sei ore di camera di consiglio, la giuria dichiarò colpevole d’omicidio di primo grado dei due agenti Leonard Peltier. La condanna corrisponde a due ergastoli consecutivi da scontare in un carcere

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federale. La data prevista per la sua scarcerazione è il 2035 ed allora avrà novantuno anni.

Il primo giugno, prima che la sentenza di condanna fosse letta Peltier si alzò in piedi e tenne un discorso di fronte alla Corte e al giudice Benson:

“Non ci sono dubbi per me e per il mio popolo che mi condannerete a due ergastoli consecutivi. Avete, e avete sempre avuto, dei pregiudizi contro di me e contro qualsiasi nativo americano che si è presentato di fronte a voi. Avete apertamente agito a favore del governo durante tutto questo processo e siete felici di fare qualsiasi cosa l’FBI vuole che facciate contro di me. Qualche volta ho pensato che non sarebbe stato così! […] Ora credo fermamente che emetterete una condanna a due ergastoli consecutivi soltanto per non dispiacere all’FBIi.

Né io né il mio popolo riusciamo a capire perché voi siate così legato ad una organizzazione che copre di vergogna il popolo americano. Voi state per compiere un atto che chiuderà un altro capitolo nella storia dei fallimenti delle corti statunitensi e dell’incapacità degli americani di rendere giustizia quando si tratta di casi riguardanti i nativi americani. Dopo secoli di assassinii… come potevo essere così ingenuo da pensare che avreste interrotto questa tradizione e compiuto un atto di giustizia? Infatti non lo avete fatto!

Onestamente credo che abbiate da tempo deciso che ero colpevole e che dovevate condannarmi al massimo della pena che la legge vi consente. Il che non mi sorprende, perché voi siete un personaggio di rango nel razzismo comune dell’America Bianca che dice fondamentalmente: “In Dio noi crediamo”, mentre perpetua l’assassino del mio Popolo e tenta di distruggere la nostra cultura…”34

Personalmente rimango colpita dalla lucidità e dalla determinazione delle parole di un uomo che con grande dignità ed umanità affronta la condanna

34 Scozza E., Il Coraggio di essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Roma,

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che gli è stata inflitta, che sa di essere intrappolato in un sistema che non gli ridarà più la libertà.

Sono colpita da come quest’uomo, che sulla sua pelle sconterà questa sentenza, sia in realtà preoccupato non per se stesso, ma per il suo Popolo, sul quale si continuano a perpetuare enormi ingiustizie. Un uomo che con la sua pacatezza non dimostra neppure rabbia, semmai disillusione, non sconfitta, piuttosto rassegnazione per un destino che ormai conosceva già e che sembrava attendere.

3.8.1. Dopo il processo: complotti in carcere

Nel 1979 Leonard Peltier fu minacciato di morte in carcere, da un certo Wilson, il quale era stato più volte minacciato a sua volta se non avesse aiutato il sovrintendente-capo ad avere alcune informazioni su Peltier. A Wilson fu promessa la libertà condizionata e il ritiro dei sette capi d’accusa che pendevano contro di lui in cambio dell’annientamento di Peltier. Non serviva infatti ucciderlo per raggiungere lo scopo di chi anche in carcere continuava a prendersi gioco di lui. Volevano spingerlo alla fuga.

Wilson però non riuscì nel suo intento perché la personalità di Peltier lo colpì profondamente e dopo una ritrovata appartenenza alla cultura dei nativi spiegò tutto il piano a Peltier.

Entrambi furono allora trasferiti a Lompoc, in California. Qui egli conobbe il suo nuovo sicario.

Peltier e i suoi compagni che ormai avevano creato intorno a lui una specie di guardia del corpo iniziarono a prendere seriamente in considerazione la fuga. Nel luglio del 1979 evase. Fu il solo a non essere catturato, e ormai in questa vicenda è difficile credere alle coincidenze.

Una nuova caccia all’uomo era iniziata: radio, tv, foto segnaletiche. Cinque giorni dopo venne catturato.

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Questa fuga gli costò una ulteriore condanna a sette anni per tentata evasione. Era il 1980. Fu successivamente rispedito a Marion, dove venne rinchiuso a tempo indeterminato nella Unit Control35.

Peltier fu tenuto in isolamento nove mesi su dodici, gli furono ridotti i tempi per i colloqui e il numero delle persone che poteva vedere. Leonard Peltier rivide i suoi figli dopo quattro anno dall’arresto.

Nel frattempo il pubblico ministero del processo di Fargo ammise davanti all’Ottava Sezione, che il governo non era a conoscenza di chi aveva ucciso i due agenti.

Nonostante le schiaccianti prove a discolpa di Peltier la condanna fu nuovamente confermata.

Quello stesso giudice che aveva bocciato il suo appello alcuni anni più tardi si fece avanti dichiarando che il governo era stato “ugualmente responsabile” della morte dei due agenti e scrisse al presidente Regan perché fosse modificata la sentenza.

Nonostante ciò Leonard Peltier continuò a rimanere in carcere, e la sua vita era di nuovo in grave pericolo.