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La prigione degli stereotipi

4.2. Nuovi razzismi

4.2.1 La prigione degli stereotipi

Gli stereotipi non sono un fenomeno nuovo, così come non lo è l’immaginario negativo degli indigeni che assaltano gli Stati Uniti e quella trionfante ed eroica di Cristoforo Colombo e dell’intera Cristianità.

Robert Williams, professore presso la facoltà di legge dell’Università dell’Arizona, ha tracciato la storia del così detto “linguaggio dei selvaggi” partendo dall’Iliade e dall’Odissea di Omero.

Nel suo testo “Savane Anxienties”4 del 2012, spiega come l’idea di civilizzazione occidentale derivi interamente dell’esistenza di “selvaggi” immaginari. In sostanza, egli afferma che l’occidente necessita di stereotipi. Attraverso gli ultimi 3000 anni di storia di civilizzazione occidentale una costante è sempre stata presente: la legittimazione della colonizzazione e della sottomissione dei così detti “selvaggi”; in altre parole, senza gli stereotipi, la civilizzazione occidentale non avrebbe saputo che fare di sé stessa.

Qual è dunque il risultato di questa politica dello stereotipo?

Quando oggi pensiamo agli Indiani d’America, è inevitabile non connettere la loro immagine a quella “romantica” dei far west cinematografici dove il nativo veniva rappresentato mezzo nudo con le piume in testa urlando la sua collera contro il cowboy o la giacca blu di turno.

Come conseguenza l’Indiano si è visto relegare in un mitico passato: degradato e disumanizzato, fino a diventare un’insegna commerciale, un emblema pubblicitario per vendere prodotti o per essere la mascotte di squadre sportive.

La lampadina della creatività pubblicitaria si ricorda dell’esistenza di questi popoli attraverso immagini spesso poco rispettose perché assolutamente fuorvianti nei confronti della loro cultura.

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Essi non hanno quasi mai niente a che fare con i prodotti5 sponsorizzati con la loro immagine e con la riproduzione di simboli come la pipa e i copricapo di piume, facenti parte della loro cultura e spiritualità.

Per profitto non si fa che mettere a rischio tutto il lavoro che molti di essi cercano di fare nel campo della preservazione delle loro tradizioni per le future generazioni, poiché l’uso di stereotipi di questo tipo esiliano questi popoli in prigioni peggiori delle riserve.

Ad esempio, uno schema di marketing americano molto offensivo è l’utilizzo del nome di alcuni leader spirituali per vendere i prodotti alcolici: esiste un liquore al malto dove sull’etichetta si legge “Crazy Horse”.

Ma Cavallo pazzo non è stato solo uno dei principali leader spirituali Lakota, ma era anche uno dei maggiori oppositori al consumo d’alcool.

Il paradosso si percepisce subito, stride, ferisce e discrimina.

Un attacco recente è stato mosso anche in Italia da un gruppo di sostenitori, contro la Compagnia Generale Ristorazione S.p.A., a cui fanno capo i locali in franchising ”Old Wild West”, all’interno dei quali si propongono una serie di menù che rappresentano un vero e proprio insulto ai popoli Nativi; vi sono infatti piatti con i nomi di: Apache, Navajo, Comanchee, Geronimo, Nuvola Rossa, Cavallo Pazzo, Arapaho, Toro Seduto.

E aberrante è stato ancor più l’utilizzo che la Lega Nord ne ha fatto nel 2012 per una campagna elettorale contro l’immigrazione.

Sullo sfondo il volto di un capo indiano con un copricapo di piume e lo slogan: “Loro hanno subito l’immigrazione. Ora vivono nelle riserve!”

Secoli di lotte per non perdere la loro cultura e non essere dimenticati, e invece di essere nelle pagine dei giornali, nella storia, riscritta come questa è realmente accaduta, si ritrovano ricordati nelle pagine di un menù, a dare il nome agli hamburger, o peggio, a fare da esempio per ricordare che è meglio non accogliere gli immigrati nel proprio paese.

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Ad aggravare la situazione, da sempre il cinema hollywoodiano ha avuto un grosso ruolo in processi del genere e li ha diffusi su scala mondiale, facendo il buono e il cattivo tempo.

Abbiamo dunque visto realizzare centinaia di western, e per intere generazioni noi occidentali ci siamo schierati istintivamente con chi portava civiltà, con l’eroico uomo bianco, condottiero che con le armi e il progresso si scontrava con il “selvaggio popolo pellerossa”.

D’altro canto, negli ultimi decenni, si è assistito ad un’inversione di marcia, e oggi la versione dell’indiano “cattivo” ha fatto spazio ad una nuova visione dei Nativi, ancora una volta grazie ai lungometraggi holliwoodiani6, in molti casi divenuti pro-nativi, portando una totale riscoperta della loro immagine. Nonostante ciò, questo non è minimamente bastano a risolvere il problema di pregiudizi e stereotipi di cui sono vittime in tutto il mondo.

In tempi recenti tornano da Hollywood esempi negativi dell’uso dell’immagine degli Indiani d’America: nei primi mesi del 2013 l’attesissimo film sul Presidente Abraham Lincoln ha riportato alla luce questo problema. Il film idealizza un eroe americano, ma evita di menzionare il fatto che ordinò anche l’impiccagione di massa di trentanove uomini di origine Dakota non più di un mese prima la Proclamazione di Indipendenza del 1863. L’impiccagione di Mankato, in Minnesota, è ricordata come la più grande esecuzione di massa della storia americana e i corpi dei 39 uomini Dakota vennero scorticati e preservati presso la Clinica Mayo per ulteriori studi “scientifici”.7

Un esempio di come i Nativi siano visti ed etichettati ancora come “nemici” viene da un fatto accaduto nel 2011, che il popolo Nativo non accettò.

Si scoprì infatti che il nome, in codice militare, che gli Stati Uniti avevano assegnato al terrorista più ricercato e temuto al mondo era Geronimo.

6 Si pensi al famosissimo “Balla coi Lupi” o “L’ultimo dei Mohicani”

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Infatti, all’uccisione di Osama Bin Laden il messaggio trasmesso delle forze armate speciali fu: “Geronimo EKIA (Enemy Killed in Action)”.

Sembra dunque che, indipendentemente dai trattati di pace e di amicizia e nonostante il numero di veterani Nativi nelle guerre degli Stati Uniti sia stato il maggiore registrato rispetto a qualsiasi altro popolo, i nativi rimangano incorporati nella psiche americana come il nemico.8

E ancora, nel 2010 è scoppiata una polemica a causa di un annuncio apparso nel sito Web UsedWinnipeg.com, nel quale un messaggio pubblicitario intitolava “Native Extraction Service”, con una fotografia di tre giovani ragazzi Nativi. Il servizio offriva di allontanare i giovani delle First Nations come animali selvatici, e di “delocalizzarli dal loro habitat”.

Nell’annuncio si poteva leggere:

“Ti è mai capitato di arrivare a casa e di trovare quei piccoli fastidiosi

“inculatori” che ciondolano lì fuori, o nel vicolo dietro casa o all’angolo? Bene, non avere più paura, con il mio servizio porterò a termine un ricollocamento indolore. Con una chiamata telefonica io arrivo e ripulisco da quella pestilenza, li carico nell’unità di contenimento (un pick up) e li riporto nel loro ambiente”.9

Il messaggio è chiaro: i Nativi sono come parassiti e come tali possono essere cacciati, semplicemente chiamando un servizio gratuito che provvede alla loro “rimozione”. Questo annuncio è stato l’equivalente di un Poster “Wanted”, che ricorda i premi una volta pagati per gli scalpi indiani nel vecchio West, poiché ha rappresentato un terribile crimine d’odio, effettuato al solo scopo di incitare il razzismo contro le Popolazioni indigene.

Il potere degli stereotipi supera l’immaginazione, ma recenti prese di posizione rivelano come stia fiorendo lo sforzo per decostruirli e proteggere l’immagine e l’identità Nativo-Americana.

8 www.nativiamericani.it, Articolo del 7 novembre 2012, a cura di Alessandro Profeti, ultima visita 14

aprile 2013

9www.nativiamericani.it, Articolo del 5 Novembre 2012, a cura di Alessandro Profeti, ultima visita 14

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Infatti, a sollevarsi contro l’annuncio non sono stati solo gli attivisti dell’AIM, ma anche gli avvocati di un’organizzazione non profit che rappresenta 30 comunità Native nel nord di Manitoba dal 1981, ed altri capi Nativi nel Paese Indiano; si sono uniti in questa protesta poiché sanno che l’odio spesso si traduce in violenza. Forse, uno dei fatti più gravi è che UsedWinnipeg.com protegge l’identità della persona razzista che ha scritto l’annuncio.

Anche i recenti attacchi a marchi come Victoria’s Secret10, o a personaggi come Gwen Stefani11 e al regista Tarantino12, dimostrano come gli Indiani siano ormai stanchi degli stereotipi.

A tutela della dignità della cultura indiana dalle deformazioni

cinematografiche e letterarie è nata nel 1991 una Lega Indiana contro la diffamazione, della quale è presidente Russel Means.

La lega interviene anche nei confronti di Indiani che con i loro comportamenti pubblici contribuiscono a radicare l’idea che gli indiani siano sporchi, ubriachi, senza dignità né voglia di lavorare.

Un’enorme forma di discriminazione è anche rappresentata dai festeggiamenti per il “Columbus Day”, una manifestazione che si svolge tutti gli anni, in memoria di Colombo e della sua inconsapevole “Scoperta dell’America”. Ogni anno manifestazioni di protesta in diversi paesi del mondo si uniscono alla voce Nativa; le comunità ritengono che questo giorno rappresenti una mancanza di rispetto verso tutto il Popolo e i suoi milioni di morti. Bobby Castello, Nativo Americano, dichiara:

“La mia opinione è che Cristoforo Colombo era un ladro e un assassino[…]. Fare le Celebrazioni Colombiane significa celebrare l’inizio

10 Hanno utilizzato, per pubblicizzare la loro nuova collezione di intimo, numerosi richiami alla cultura

nativa: piume, copricapo, collane. Il tutto a rappresentare un triste scimmiottamento delle donne Native.

11 Il video del famoso gruppo musicale “No Doubt” presentava tutti gli elementi tipici dell’ormai

tristemente noto immaginario collettivo zeppo di stereotipi: saloon, prigioni, cavalli, cowboy, donne sexy e indiani. Dopo le critiche giunte alla leader del gruppo la band ha prontamente rimosso il video dai canali ufficiali e da Youtube.

12 Nel suo nuovo film “DJango”, come in ogni genere western che si rispetti, non mancano scene di

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del genocidio della mia gente.Voi non festeggiate l’uccisione di un milione di Ebrei durante il periodo nazista, così non potete festeggiare l’uccisione di milioni di Indiani e il furto delle loro terre. Non c’è nulla da celebrare.”13

E’ necessario ricordare ancora una volta, che le tradizioni culturali e spirituali sono parte integrante dell’esistenza stessa di tutte le Nazioni Indiane, così come il loro linguaggio. Senza questi valori, già ampiamente a rischio di cancellazione, ma faticosamente sopravvissuti fino ad oggi, l’identità culturale, così preziosa per questi popoli, rischia di essere eliminata definitivamente. Rispetto al tema della discriminazione, la Dichiarazione Universale dei Popoli Indigeni del 2007 dichiara:

“Gli Stati adotteranno misure adeguate, in consultazione e cooperazione con i popoli indigeni in questione, per combattere il pregiudizio ed eliminare la discriminazione e per promuovere la tolleranza, la comprensione e i buoni rapporti tra i popoli indigeni e tutti gli altri settori della società.”14

Non ci resta che augurarci che questo articolo, al pari di molti altri, venga realmente preso in considerazione ed applicato.