Giuseppe Garofalo, Ugo Pastorino, Lorenzo Corbetta *
4. EUS lineare
Negli ultimi anni si sta manifestando un sempre maggior interesse nei confronti dello studio ecoendoscopico e della diagnostica mini-invasiva delle neoformazioni mediasti- niche; tale necessità, che inizialmente sembrava essere risolta con la nascita e l’utilizzo dell’ecografia transbronchiale, è rimasta immutata nel caso dell’esame del mediastino medio, posteriore ed inferiore che risulta difficilmente accessibile alle biopsie percutanee transparietali (siano esse guidate dall’ecografia, dalla TAC o dalla risonanza magnetica nucleare) e talora anche all’EBUS, e che fin qui ha richiesto approcci chirurgici – media- stinoscopia, VATS – dispendiosi economicamente e più gravosi per il paziente4,5,6,7,8. Dagli iniziali e ormai lontani tentativi di approccio endoscopico (1989) falliti sostanzialmente per l’inadeguatezza tecnica degli strumenti, si è compreso che la via transesofagea, da decenni utilizzata in campo gastroenterologico, sarebbe stata utile anche per lo studio del
mediastino. In questo senso, il ruolo dell’approccio endoscopico al mediastino attraverso l’EUS e quello del relativo campionamento ecoguidato (EUS-FNA) risultano oggi ben de- lineati e codificati; d’altra parte l’elaborazione di strumenti ecoendoscopici maggiormente perfezionati e dotati di sonde curvilinee in grado di scannerizzare parallelamente all’asse dell’endoscopio e quindi di guidare real-time la biopsia, ha fatto si che l’EUS con sonda convex (CP-EUS) sia oggi da intendersi, nell’analisi del mediastino, come il naturale com- pletamento del già descritto EBUS9,10,11.
Va innanzitutto ricordato che storicamente e strutturalmente l’EUS è stato il percusso- re dell’EBUS ed è per questo che la sua tecnologia, pur con le dovute diversità legate alle diverse dimensioni e alla via di introduzione dello strumento, ricalca ampiamente quanto già riferito nel caso del EBUS. Inoltre, anche in questo caso, le caratteristiche tecniche degli strumenti oggi reperibili sul mercato (Fujinon, Pentax, Olympus) sono simili fra loro e le diversità, pur presenti, non influenzano, in ultima analisi, le indagini in modo significati- vo. Tutti i più recenti ecofibroendoscopi si presentano come strumenti dedicati operativi, che uniscono la capacità videoendoscopica attraverso la tecnologia ibrida a quella ecogra- fica con trasduttore curvilineo convex posizionato all’estremità distale dello strumento e che sono dotati di ampio canale operativo attraverso il quale introdurre i dovuti, necessari accessori. Le dimensioni (lunghezza e calibro) dei vari strumenti sono sostanzialmente sovrapponibili; l’estremità prossimale (manipolo) risulta più complessa di quella dei fi- broscopi in quanto presenta, come nei gastroscopi, le ghiere per la regolazione della punta up/down e in lateralizzazione destra/sinistra con le relative leve di bloccaggio, i pulsanti di aspirazione e di insufflazione di aria e la leva per l’elevazione della porzione distale del canale operativo (Fig. 10). Ciò comporta, anche per un endoscopista toracico esperto, un ovvio periodo di apprendimento presso un centro specializzato per familiarizzare con un diverso tipo di manualità necessaria per l’indagine. La componente ottica dello strumento utilizza una telecamera CCD posta in punta, prossimalmente al trasduttore ecografico, la quale ha un campo di visione variabile fra i 100° dello strumento Olympus e i 140° di quello Fujinon; tale differenza è però in parte compensata dal diverso angolo di visione (maggiore nel primo caso). A onor del vero, va sottolineato che, in campo pneumologico/ toracico, la necessità di effettuare l’indagine sotto visione diretta appare dì secondaria importanza, utile solo in caso in cui sia nota la presenza di stenosi o varici esofagee, così come risulta di scarsa rilevanza se non addirittura controproducente, per l’introduzione dello strumento e la visione eco-grafica, l’insufflazione del viscere (l’aria, infatti, non vei- colerebbe adeguatamente gli US), che già di suo, presentando un lume virtuale, tende a collabire sull’endoscopio. Più interessante è invece analizzare la componente ecografica degli strumenti; fermo restando che la disponibilità delle frequenze utilizzabili varia a seconda del processore ecografico impiegato, quelle ottimali risultano essere fra 6 MHz e 7,5 MHz in quanto in grado di offrire una profondità di penetrazione degli US modulabile fra 30 e 100 mm associata a una buona immagine ecografica. Il trasduttore Olympus pre- senta in tal senso un campo di scannerizzazione decisamente superiore rispetto agli altri strumenti (140°-160° negli strumenti più utilizzati, che diventano 180° nel caso dell’ecoen- doscopio di ultima generazione GF-UCT 180); questo maggior campo di visione ecografi- ca risulta di fondamentale importanza nel visualizzare correttamente le lesioni di piccole dimensioni o situate in sedi difficili da raggiungere e nel facilitarne il campionamento.
L’immagine ecografica, come già detto, si genera attraverso il contatto diretto della sonda con la parete del viscere; è intuitivo comprendere come nel caso dell’esofago, che ha lume virtuale, non vi siano quei problemi di contatto che invece potrebbero verificar- si, in via teorica, nello stomaco o nel duodeno. Nella realtà, però, la mobilità dei visceri
(assente nelle vie aeree e qui invece ben evidente) permette di superare agevolmente tale problematica al punto che lo strumento, diversamente da quel che accade per l’EBUS, non è corredato di alcun palloncino gonfiabile. Essendo uno strumento con finalità diagnosti- che, il CP-EUS possiede un canale operativo di ragguardevoli dimensioni (3,7-3,8 mm) la cui estremità distale, posta immediatamente prima del trasduttore ecografico, risulta in- clinata in UP di 20’ rispetto all’asse dello strumento; tramite l’apposita leva situata sul ma- nipolo è possibile modificare ulteriormente tale inclinazione fino a un massimo di 45° nel caso dello strumento Olympus. Questa funzione è assai rilevante nel momento in cui si effettua la biopsia perché permette di compensare e opporsi al facile spostamento che può subire l’immagine ecografica a seguito dell’eccessiva mobilità del viscere. La possibilità di effettuare l’agoaspirazione/biopsia delle lesioni individuate, è resa possibile grazie alla disponibilità di un apposito ago metallico flessibile che può essere ‘dedicato’ (cioè proprio dello strumento) oppure ‘universale’ (vale a dire adattabile in lunghezza ai vari strumen- ti). Esso si presenta, nel suo kit, già montato all’interno di un catetere guida metallico; nel caso dell’ago dedicato il suo manipolo prossimale viene avvitato alla ghiera dell’estremità prossimale del canale operativo dell’endoscopio in modo tale che la sua estremità distale fuoriesca correttamente dal canale operativo (in genere fra 5 mm e 10 mm); il manipolo è dotato unicamente del meccanismo a coulisse che permette di regolare l’entità di fuo- riuscita dell’ago stesso. Nel caso dell’ago universale invece, fermo restando la struttura metallica, il manipolo dispone di due sistemi di regolazione: quello per la fuoriuscita del catetere dal canale operativo e quello per la fuoriuscita dell’ago.
Figura 10 – Broncoscopi flessibili.
Prima dell’introduzione dello strumento nel paziente e dopo aver avvitato il manipolo all’apposita ghiera, deve essere regolata la fuoriuscita del catetere dal canale operativo e quindi fissata la sua posizione in modo che resti tale nei vari passaggi. Il calibro dell’ago varia fra i 22 gauge (es. Olympus NA-200H-8022) e i 19 gauge (es. Mediglobe GUS-01-21- 019; Olympus NA-220H-8019), entrambi utilizzabili attraverso gli ampi canali operativi degli strumenti. L’ago, che ha una massima operatività fra 60 e 80 mm, è cavo e corredato di mandrino; in alcuni casi è fenestrato (Olympus NA-230H-8022). Recentemente è stato presentato un ago da aspirazione/biopsia da 22 gauge e da 19 gauge (EchoTip ProCore; Cook Medical), esternamente liscio, che presenta però l’estremità distale tagliente a bec- co di flauto; questa struttura nell’intenzione dei costruttori dovrebbe garantire maggiore dimensione ai campioni prelevati. Poco utilizzato in campo pneumologico, è presente da poco sul mercato anche un ago da 25 gauge (es. Olympus NA-220H-8025) da impiegarsi
per le biopsie pancreatiche con rese diagnostiche riferite interessanti. Come già descritto nel caso dell’EBUS, il kit bioptico è anche in questo caso corredato da una siringa di aspi- razione dotata di rubinetto a 2 vie, utilizzata per creare il vuoto durante la biopsia.
L’esecuzione di un’ecoendoscopia per via transesofagea ricalca quella che si svolge du- rante una esofagogastroscopia tradizionale, pertanto prevede, quando possibile, il posizio- namento del paziente in decubito supino sul fianco sinistro, fornendo un supplemento di ossigeno per via nasale e inserendo un boccaglio a livello del cavo orale. L’indagine può essere eseguita a paziente cosciente (eventualmente con l’ausilio di una blanda sedazione con Midazolam 2-4 mg e.v.) oppure in sedazione profonda (associando Remifentanyl e Pro- pofol) grazie alla collaborazione con il medico anestesista. Oltre alle già descritte problema- tiche relative alla fattibilità dell’esame a livello ambulatoriale o non e in sala appositamente attrezzata, la scelta dipende, da un lato, dalla compliance del paziente e, dall’altro, dalla pre- vista durata o difficoltà dell’indagine. È consigliabile infatti ricorrere alla sedazione profon- da ogni qualvolta la stadiazione mediastinica debba prendere in considerazione più sedi, o il campionamento richieda tempi lunghi, ovvero le sedi risultino difficili da approcciare.
Come avviene per una routinaria esofagogastroduodenoscopia, lo strumento viene in- trodotto per via orale con o senza visione endoscopica diretta, sollecitando il paziente, se cosciente, a deglutire per favorire la manovra; si fa quindi procedere lo strumento con un movimento ondulatorio fino a raggiungere la regione sottocardiale addominale, la qua- le viene individuata grazie al riscontro del parenchima epatico: è questo infatti il repere principale, iniziale, per l’endoscopista. Qualora sia necessario individuare lesioni addo- minali epatiche, pancreatiche o surrenaliche si proseguirà distalmente l’introduzione fi- no a riconoscere milza e reni; diversamente, per lo studio del torace e segnatamente del mediastino, dal descritto repere epatico si risalirà prossimalmente, ruotando lo strumento a destra e a sinistra, esplorando il distretto sovradiaframmatico fino ai vasi epiaortici, analizzandone l’anatomia e i rapporti con gli organi viciniori. Va ricordato a tal proposi- to che l’esofago, diversamente dall’albero tracheobronchiale, è un organo mobile; questo comporta un elemento negativo, in quanto è più difficile mantenere fisso il bersaglio da biopsiare, ma anche un aspetto positivo perché offre la possibilità di raggiungere age- volmente anche neoformazioni non a diretto contatto con l’esofago (es. lesioni situate in pieno parenchima polmonare) o che abbiano, interposti, vasi o altri organi da evitare nel momento del prelievo. Raggiunta la lesione, il prelievo seguirà per sommi capi quanto de- scritto nel caso del CP-EBUS; si introdurrà cioè l’ago, con il mandrino leggermene retratto, fissandolo poi all’endoscopio; l’ago verrà quindi spinto dentro la lesione aiutandosi, se è il caso, con l’elevatore, e successivamente il mandrino, dapprima inserito completamente per espellere materiale contaminante della parete esofagea, sarà completamente estratto. Si avviterà la siringa di aspirazione, precaricata, all’estremità prossimale dell’ago e, dopo l’apertura del rubinetto, si effettuerà la biopsia sotto controllo ecografico real-time per caricamento, agendo con movimento di ‘va e vieni’ sulla coulisse del manipolo. Infine, estratto l’ago e reinserito il mandrino si procederà al trattamento del materiale prelevato analogamente a quanto descritto nel caso dell’EBUS.