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L’evoluzione comunitaria e giurisprudenziale: verso una ridefinizione della società mista per i servizi pubblici locali d

1. La società mista con socio operativo scelto con gara: il modello nella disciplina dei servizi pubblici local

1.5. L’evoluzione comunitaria e giurisprudenziale: verso una ridefinizione della società mista per i servizi pubblici locali d

rilevanza economica

Il fermento che continuava a coinvolgere la disciplina dei servizi pubblici locali si trovava a confrontarsi con l’impostazione definita a livello comunitario degli istituti e dei modelli di gestione individuati dal legislatore interno. Si è già avuto modo di vedere che proprio ad opera della giurisprudenza comunitaria viene data forma alla società di autoproduzione delle amministrazioni nella veste dell’in house providing195. Ugualmente si è detto che a partire dal 2004 la Commissione europea definisce le coordinate dello strumento di partenariato pubblico-privato istituzionalizzato, evidenziando peraltro i caratteri dell’istituto. In questo contesto con il d.d.l. n. A.S. 772/06, c.d. disegno di legge “Lanzillotta”196, il legislatore si produce in un tentativo molto ardito di regolamentare in modo unitario il settore dei servizi pubblici.

Il testo si muove alla ricerca di un equilibrio che garantisca da un lato la compatibilità delle soluzioni nazionali rispetto ai principi posti a livello comunitario, in particolare i principi di concorrenza e libera circolazione dei servizi, e dall’altro la tutela dei principi interne individuati già in sede comunitaria, come l’accesso ai servizi ed il livello essenziale garantito degli

(195) Oltre alle sentenze già citate anche di particolare rilievo è la decisione Corte di Giustizia CE, 13

ottobre 2005, causa C-458/03 (Parking Brixen), in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, pp. 1907. (196) Si trattava del disegno di legge presentato dal Ministro degli affari regionali al Senato in data 7

luglio 2006 e, successivamente assegnato alla I Commissione Permanente Affari Costituzionali, in sede referente, il 20 luglio 2006. Per un’attenta disami del testo si rimanda a L. PIANESI – S. VILLAMENA, “Considerazioni sulla riforma dei servizi pubblici locali: uno sguardo al disegno delega

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stessi197. Gli aspetti essenziali del d.d.l. n. 772/2006 esprimono in realtà una chiara tendenza improntata all'eccezionalità dell'intervento pubblico.

Prendendo le mosse dalla ricerca di concorrenzialità, il legislatore pare piuttosto ripercorrere la strada della esternalizzazione pura del servizio spingendo verso una "nicchia" residuale le opzioni di intervento del pubblico nella gestione dei servizi. La ragione di tale scelta è posta nel rilievo che i valori guida della liberalizzazione e della concorrenza, parametrati alla ponderazione ed al contemperamento dei vari interessi coinvolti, richiedono forme di contendibilità delle prestazioni da rimettere al mercato. In tal senso, il ruolo dell’amministrazione pubblica quale gestore dei servizi, sia in virtù di affidamenti diretti a società in house, sia attraverso le società partecipate, è relegato su ipotesi del tutto eccezionali e residuali.

Emblematico di ciò è in particolare l’art. 2 di tale d.d.l.. L’articolo, esprimendo una marcata tendenza verso un regime di concorrenza per il mercato (ossia di affidamento a terzi mediante gara), indica delle ipotesi tassative e derogatorie a tale scelta che rappresentano il vero contenuto innovativo del disegno di legge. Il riferimento è in particolare alle lettere b), c) e d) dell’articolo citato nelle quali si prendono in considerazione le scelte di utilizzo della società in house e della società mista. Entrambi i moduli organizzativi vengono individuati come strumenti di tipo residuale il cui utilizzo, contrariamente a quanto sancito a livello comunitario, rimane marginalizzato rispetto alla scelta della esternalizzazione.

Ancora più originale pare essere la scelta di connettere tale residualità non tanto a scelte connesse a ragioni di tutela della concorrenza, come vorrebbe far pensare l’art. 1 del d.d.l., ma piuttosto a opzioni legate a valutazioni determinate dall’assetto territoriale e sociale dell’Ente che affida il servizio. A tali fattori viene infatti riconnesso l’obbligo imposto all’Ente

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locale di motivare le ragioni che rendono necessario un intervento dell’amministrazione anche nella gestione del servizio, disattendendo il principio generale – stabilmente affermato a livello comunitario – che rimette al soggetto pubblico unicamente compiti di regolazione del settore.

L’obbligo motivazionale è particolarmente rafforzato dal momento che l'Amministrazione per giungere alla constatazione della necessità della gestione diretta dovrà previamente adottare una «analisi di mercato, soggetta a verifica da parte da parte delle Autorità nazionali di regolazione dei servizi di pubblica utilità competenti per settore, ovvero, ove non costituite, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ove si dimostri l’inadeguatezza dell’offerta privata»198.

Dunque, emerge ancor più chiaramente la marginalità della scelta per un affidamento diretto del servizio capace di sussistere solo qualora sia possibile dimostrare in modo totale l’inadeguatezza del mercato a rispondere alle esigenze di servizio. Non sembrano pertanto residuare nelle scelte dell’Ente valutazioni di stampo organizzativo estranee da quelle economiche il che pare interpretare in senso estremo le indicazioni degli organi comunitari i quali si è visto non sembrano richiedere un vincolo così forte alla scelta di autoproduzione da parte dell’Ente199.

Le condizioni imposte risultano dunque estremamente limitanti e paiono ridurre in modo drastico le valutazioni di opportunità che si sostanzierebbe in capo agli Enti anche sulla scorta del percorso individuato in sede europea. Deve rilevarsi, infatti, che la soluzione adottata dal legislatore nazionale, seppur presa nell'intento di uniformarsi al legislatore comunitario, non pare perfettamente in linea con quanto evidenziato anche

(198) Così art. 2, lett d) del d.d.l. AS 772/06

(199) M.P. CHITI, “Verso la fine del modello di gestione dei servizi pubblici locali tramite società miste?”, in M.P. CHITI (a cura di), Le forme di gestione dei servizi pubblici locali tra diritto europeo e diritto locale, Bologna, 2006, pp. 1167.

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dalla Corte di giustizia europea200. Infatti, le condizioni idonee a legittimare gli affidamenti diretti, in deroga alle regole comunitarie, qualora sussistenti sono anche bastevoli a giustificare la scelta approntata dall’amministrazione sicchè l’ulteriore aggravio motivazionale non pare derivare da esigenze di rispetto dei dettami comunitari.

Sono dunque numerosi di elementi di contrasto del progetto di legge con l’impianto normativo e giurisprudenziale che si stava in quegli anni sviluppando intorno alle forme di gestione dei servizi pubblici specie locali. Forse anche per questa ragione – ed anche per motivazioni più strettamente politiche – lo stesso non si concretizzerà nella riforma sperata.

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