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L'inquadramento degli "specifici compiti operativi"

2. La costituzione della società mista operativa da parte dell’Ente locale

2.4. Il ruolo dei soci nella società mista con socio operativo

2.4.3. L'inquadramento degli "specifici compiti operativi"

Il legislatore interno sembra seguire tale impostazione quando con l’introduzione dell’art. 15 del d.l. 135/2009 va a modificare il testo dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008 che regolava proprio la figura della società mista in ambito di servizi pubblici locali. L’inserimento è molto preciso ed evidenzia la necessità di affidare al socio privato individuato con la c.d. gara a doppio oggetto «specifici compiti operativi» connessi alla gestione del servizio.

E’ da rilevare che la novella ha modificato il testo inserendo proprio la parola “specifici” compiti operativi facendo così pensare che tali compiti debbano essere in qualche modo individuati in uno spettro più stretto rispetto alla generale attività della società. Anche in questo caso però la norma ha prestato il versante a più letture anche non conformi.

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Autorevole dottrina273 ha evidenziato che la disposizione si prestava ad una lettura più “permissiva” nei confronti delle società costituite secondo un modello non più conforme dove era la società stessa a svolgere con una propria struttura industriale l’attività di servizio e nelle quali il socio privato scelto con gara poteva dunque assumere – in via transitoria – una qualificazione operativa più “debole”. Diversamente per le società miste costituite ex novo secondo il nuovo modello tale interpretazione risultava più difficile dovendosi invece propendere per un affidamento operativo completo.

Si è così venuto a creare un orientamento in giurisprudenza che ha optato per una visione ben precisa dell’ampiezza dei compiti operativi da assegnare al socio. In particolare è stato sottolineato che «il criterio guida nella utilizzazione della società mista è quello della salvaguardia della libera concorrenza, che risulta garantita solo se il capitale pubblico interviene senza sottrarre all’imprenditoria privata le utilità che questa potrebbe trarre da un affidamento del medesimo appalto al di fuori dello schema societario, in esito al semplice esperimento della gara per la scelta del contraente». Pertanto, la conformità allo schema del PPPI «impone che al socio privato sia affidata – non una qualunque compito operativo, purchè precisamente determinato – bensì ogni attività necessaria all’esecuzione dell’appalto che sia suscettibile di rendere una utilità»274. Secondo la visione riportata vi è dunque una specularità tra i compiti da assegnare al socio operativo della società mista e la dimensione dell’attività che si avrebbe nel caso dell’opzione per la differente forma di esternalizzazione tramite appalto.

(273) Il riferimento è in particolare a G. CAIA, I servizi pubblici locali di rilevanza economica (liberalizzazioni, deregolazione ed adeguamento alla disciplina comunitaria) in Scritti in ricordo di Francesco Pugliese, Napoli, 2010.

(274) In questi termini si esprime Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2348 in Foro amm. CdS, 2012,

pp. 959. Il Collegio evidenzia peraltro che «la società appaltatrice a capitale pubblico non ha la

facoltà di affidare direttamente alla propria controllata quote di attività nell'ambito dell'esecuzione di opere pubbliche, in violazione del principio di libera concorrenza».

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Il punto di vista della definizione dei compiti operativi si sposta dunque su un piano differente che coinvolge la discrezionalità delle scelte dell’Ente circa la “dimensione” dell’affidamento nel suo complesso. Per questo motivo la posizione della giurisprudenza sopra citata viene esplicitata da successivi arresti che specificano alcuni aspetti della vicenda. Il riferimento è in primo luogo ad una recente decisione del Consiglio di Stato275. In questa sede il giudice amministrativo, contestando la decisione di primo grado, ha evidenziato i principi desumibili in materia di società miste non si spingono al punto di esigere che al partner privato venga assegnata la totalità assoluta delle attività operative. Ai fini della legittimità del ricorso allo schema della società mista, infatti, non è indispensabile «che al socio privato sia affidata proprio “ogni attività necessaria all'esecuzione dell'appalto che sia suscettibile di rendere una utilità economica”, sufficiente essendo che al medesimo vengano conferiti i compiti operativi -per così dire- preminenti. Nessun principio impone che le prestazioni da affidare al socio privato coincidano con la totalità delle attività riferibili alla società mista, o al suo socio pubblico» (così nel considerando in diritto al punto 5e).

I giudici si muovono dall'idea di fondo del carattere alternativo e fungibile degli strumenti dell’appalto pubblico e del contratto di società mista concluso a valle di una gara c.d. a doppio oggetto. Questo porta a desumere che in caso di opzione per il secondo modello non può ritenersi necessaria la messa a gara anche di quei compiti operativi che, in ipotesi di ricorso da parte dell’Amministrazione, invece, al modello alternativo dell’appalto pubblico, la stessa potrebbe ben espletare da sé, senza necessità di ricorrere anche per essi al mercato. Sul punto è dunque riproponibile la configurazione data già nel parere 456/2007 nel quale era valorizzata la possibilità della suddivisione dell'attività anche in fasi autonome non per

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questo obbligatoriamente oggetto di affidamento. E' di un certo interesse che i giudici propongano una lettura del modello delle società mista operativa in comparazione con le scelte di diretta esternalizzazione dell'attività, almeno da un punto di dei termini dell'affidamento. Questo si evince anche dal richiamo fatto in sentenza alla previsione dell’art. 32, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, che in tema di società miste, si limita ad esigere che la società provveda in via diretta alla realizzazione dell’opera o servizio in misura superiore al 70 % del relativo importo in combinato con le previsioni dell'art. 53, comma 2 del medesimo testo legislativo il quale prevede che l’appalto possa avere ad oggetto anche la sola esecuzione dei lavori, onde la progettazione può ben essere curata anche integralmente dalla Stazione appaltante come di progettazione interna. Peraltro anche in relazione alle attività relative «all'amministrazione della società con locazione dei locali, la provvista del personale e dei relativi beni strumentali» viene sancita la possibilità che le stesse siano riservate in capo alla stazione appaltante trattandosi di attività rispetto alle quali non si configura alcuna sottrazione di utilità all'imprenditoria privata, non venendo in rilievo attività necessarie all'esecuzione dell'appalto, ma attività organizzative interne del tutto neutre occorrenti in modo analogo da parte di qualsiasi struttura complessa.

Dunque da questa configurazione emerge una connotazione della società mista all'interno della quale il socio privato appare più come un soggetto esecutore di una frazione dell'attività che come socio operativa completo. In questo senso, la lettura degli "specifici compiti operativi" sembra concretarsi in un sub-affidamento di parte del servizio che però lascia non del tutto chiariti i termini del rapporto societario connesso all'esercizio dell'attività che deve comunque inserirsi all'interno di un rapporto associativo. Se è infatti l'amministrazione che può riservarsi la

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gestione amministrativa, non si comprende appieno come operino le dinamiche di governance tra i soci e se vi sia una reale alterità tra l'ente quale socio pubblico della società mista e l'Ente quale stazione appaltante che affida il servizio.

La tendenziale flessibilità del modello della società mista è messa in evidenza anche dalla giurisprudenza successiva276. Il T.A.R. lombardo sottolinea che tale strumento non è di per se vincolato a uno schema assolutamente rigido in merito alla separazione dei compiti operativi (e delle conseguenti remunerazioni) tra i soci pubblici e quelli privati. Tale separazione svolge al contrario «un duplice ruolo che conferma la legittimità di questo tipo di collaborazioni, in quanto (a) risulta determinato puntualmente il criterio di scelta del socio privato (la Corte di Giustizia nella sentenza Acoset afferma al punto 60 che la scelta del socio privato deve avvenire anche in relazione “alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire”), e (b) viene pesato il contenuto economico delle prestazioni del socio privato, in modo che quest’ultimo consegua precisamente le utilità che potrebbe trarre dall’affidamento dello stesso servizio al di fuori dello schema societario, in esito all’esperimento di una gara per la scelta del contraente in relazione a un appalto oppure a una concessione di lavori o servizi» (così nel considerando in diritto al punto 14).

La libertà concessa dal diritto comunitario alle forme di partenariato pubblico-privato, che pare sconsigliare una codificazione troppo rigida del modello, porta – a parere del Collegio – alla a far propendere per la non necessità di individuare vincoli ex lege alla ripartizione delle prestazioni tra i soci pubblici e quelli privati delle società miste. In particolare «non esiste un vincolo all’attribuzione integrale o pro quota dell’intero servizio al socio

(276) T.A.R. Lombardia - Brescia, sez. II, Ordinanza 25 ottobre 2013, n. 518, in www.dirittodeiservizipubblici.it.

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privato. Al contrario, anche all’interno di un servizio da svolgere in modo unitario o integrato, possono sempre essere scorporate e attribuite al socio privato attività specifiche, secondo le esigenze delle amministrazioni interessate, purché il risultato complessivo sia ragionevole sul piano organizzativo (nel diritto interno la scorporabilità di fasi del servizio è stata ritenuta legittima già con il parere di CS Sez. II 18 aprile 2007 n. 456)» (così al punto 15 del considerando in diritto).

L’evoluzione dell’operatività del socio sembra dunque muoversi verso una sostanziale equiparazione dell’affidamento “dentro” alla società mista con quello potenzialmente acquisibile “al di fuori” della stessa. La parametrazione delle stessa pare poi lasciata in parte alla discrezionalità dell’ente nei limiti della “ragionevolezza” complessiva dell’attività affidata rispetto al disegno complessivo individuato nella scelta del modulo organizzativo adottato. La giurisprudenza ha dunque in parte chiarito i dubbi circa il quantum dell’attività da affidare al socio (che è certamente specifica ma può non essere totalizzante). Ha invece forse aumentato le perplessità sull’an della collaborazione in forma societaria non fornendo delucidazioni in merito alle dinamiche organizzative interne al mista e alla valenza di una “vicinitas” che superi la scelta di mera esternalizzazione.

2.5. Lo svolgimento di attività ulteriori rispetto a quelle oggetto

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