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L’evoluzione degli studi di management: le altre scuole di pensiero del Novecento

Il Novecento si aprì con un periodo di elevata prosperità economica e con una profonda rivoluzione sociale. Le nuove tecnologie, i cambiamenti nei meccanismi produttivi e – con particolare riferimento ai contenuti del presente lavoro – la diffusione e l’applicazione sempre più massiccia dei principi enunciati da Taylor poi ripresi ed estremizzati da Henry Ford38, permisero infatti di produrre un generalizzato miglioramento delle condizioni economiche.

Negli anni della diffusione dello scientific management nacque un movimento teorico che cercò di superare alcuni degli elementi di criticità dell’impostazione prevalente. Gli osservatori dello scientific management, infatti, rilevavano come la principale carenza di quest’ultimo risiedesse nell’eccessiva focalizzazione sulla produttività dei lavoratori, ignorando gli aspetti sociali della loro esistenza (motivazione, condizioni di lavoro, responsabilità sociale delle organizzazioni).

Gli esponenti di questa scuola di pensiero muovono da una considerazione di fondo. Se il management è “l’arte di svolgere i compiti attraverso le persone”39, lo studio di quest’ultimo deve essere centrato sulle relazioni interpersonali ed

superseeded or refuted”. Cfr. FELLS,M.J., Fayol stands the test of time, “Journal of management history”, 2000, 6(8), pagg. 345-360.

38 L’evoluzione del pensiero manageriale americano ha avuto in Henry Ford uno dei principali

esponenti. L’influenza dell’imprenditore americano fu tale da ispirare un neologismo la cui paternità è da molti riconosciuta a Antonio Gramsci. Ci si riferisce al termine “fordismo”, che sintetizza la visione organizzativa che prevedeva la catena di montaggio, l’erogazione di salari superiori alla media quale elemento incentivante e la trasformazione dei dipendenti in dipendenti- consumatori. La popolarità delle idee fordiste è testimoniata dal fatto che gli stabilimenti della Ford divennero centri di formazione per manager stranieri. (In tal senso si può ricordare che la FIAT individuò in Ford e nei suoi stabilimenti produttivi il punto di riferimento inviando per oltre un decennio i suoi manager negli USA). Per approfondimenti si rimanda a FORD,H., La mia vita e la mia opera, Bologna, Editrice Apollo, 1925, GRAMSCI,A., Quaderno n. 22 – Americanismo e fordismo, Torino, Einaudi, 1978, REVELLI,M.,Ascesa e declino del fordismo, “Parolechiave”, 2004, Dicembre.

39 La definizione citata è di Mary Parker Follett, autorevole esponente della scuola

behaviorista, nota per i suoi studi sulle metodologie di risoluzione dei conflitti interni alle organizzazioni. Cfr. GRAHAM,P.,FOLLETT,M.P., - Prophet of Management: A Celebration of

Writings from the 1920s, Boston, Harvard Business School Press, 1996 e GODWYN,M.,GITTEL,J.

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intrapersonali. Queste assumono un’importanza critica da quando gli individui sono chiamati a lavorare in gruppo all’interno delle organizzazioni in ragione dell’affermarsi di un modello di produzione industriale40. Se la nascita della scuola scientifica è la risposta ad un problema di tipo efficientista e ha imposto il coinvolgimento prevalente di professionalità legate all’ingegneria industriale e meccanica, la centralità delle relazioni sociali e personali, rese indispensabile la partecipazione di psicologi e sociologi.

La “nascita” della scuola behaviorista41 è legata all’insieme di ricerche e studi svolti dal 1924 negli stabilimenti della Western Electric Company più noti come “Esperimenti Hawthorne”42. I diversi studi, i quali hanno coinvolto operai e

40 Cfr. KOONTZ,H., The management theory jungle, op. cit.

41 Fra i principali esponenti di questo movimento teorico devono essere ricordati per il loro

contributo George Elton Mayo, Mary Parker Follett e Chester Barnard. Mayo, professore della Harvard Business University, diviene forse il più noto e influente esponente della scuola grazie al suo ruolo preminente nel coordinamento degli esperimenti svolti ad Hawthorne. Formatosi fra l’Australia, la Scozia e gli USA sviluppa un background filosofico e medico che sarà la base di partenza per lo studio delle relazioni umane. Dal 1928 si unisce al programma di esperimenti alla Western Electric Company ove dà un contributo fondamentale alla delineazione e alla sintesi dell’effetto Hawthorne. Mary Parker Follett, studiosa americana anch’essa con basi filosofiche e psicologiche, ha contribuito in misura decisiva allo sviluppo della scuola di management attraverso gli studi sul ruolo degli individui nei gruppi di lavoro e sulle metodologie di risoluzione dei conflitti. In particolare si fa riferimento agli studi sui processi “integrativi” quale soluzione ottimale alle contrapposizioni interne. Queste ultime dovevano essere risolte attraverso l’individuazione di una soluzione che evitasse lo scontro e che permettesse ad entrambe le parti di ottenere il massimo possibile. Nell’opera della Follett, quindi, si delinea un modello di

management dialogante e partecipativo, che pone le relazioni umane al centro e che si basa su un modello di controllo diffuso. In tal senso s’individua una forte contrapposizione con gli studi della scuola scientifica, nei quali emerge con forza la necessità di una centralizzazione e di una verticalizzazione del controllo. Chester Barnard, presidente della New Jersey Bell Company, rappresenta il prototipo del manager-ricercatore, figura decisiva nello sviluppo della disciplina nella prima metà del XX secolo, che forma la propria teoria dall’osservazione diretta delle dinamiche aziendali. Barnard è noto per l’enunciazione della “teoria dell’accettazione”. Secondo la visione dell’Autore, per far sì che gli operai eseguano efficientemente ed efficacemente le direttive dei manager devono essere in grado di comprenderle, essere consci di poterle svolgere ed essere motivati ad accettarli. Cfr. MAYO,E.G., The Human Problems of an Industrial Civilization, New York, Macmillan, 1933, FOLLETT,M.P., The Psychological Foundations: Business as an Integrative Unity, in METCALF, H. c., (a cura di), Scientific Foundations of Business Administration, Williams & Wilkins, Baltimora,1926, BARNARD, C., The functions of the executive, Cambridge, Harvard Business Press, 1938.

42 Gli studi prendono il nome dalla Hawthorne Works, stabilimento produttivo della Western

Electric Company (azienda che produceva per conto di AT&T) siti nella città di Cicero, Illinois. Lo stabilimento produttivo, ove complessivamente lavoravano circa 40.000 individui, era gestito seguendo molti dei principi dettati dalla scuola scientifica e si presentava come un’organizzazione moderna ed efficiente. Nonostante i tentativi del management, i livelli produttivi e i livelli di soddisfazione dei dipendenti erano chiaramente insoddisfacenti. In un contesto così complesso

ricercatori per oltre otto anni, presentavano come tratto comune la volontà di misurare se e in che misura cambiano i comportamenti dei lavoratori al mutare di determinate variabili ambientali o organizzative. Il primo e più noto degli esperimenti43 svolti cercò di stabilire una relazione fra l’illuminazione dei locali ove era svolta l’attività produttiva e i livelli di efficienza raggiunta. I risultati furono però ambigui e nuovi esperimenti si resero necessari44. Inoltre iniziò ad emergere l’ipotesi che gli elementi relazionali e psicologici legati alla dimensione sociale interna ai gruppi di lavoro fossero in grado di incidere sulle performance aziendali.

Lo studio fu, quindi, ampliato con il coinvolgimento di diversi studiosi coordinati da George Elton Mayo45. In tale fase furono condotti un numero piuttosto elevato di osservazioni utilizzando un ristretto gruppo di operaie della fabbrica isolate dal resto dei colleghi della Western Digital, le quali vennero sottoposte a variazioni nelle condizioni di lavoro (numero e durata delle pause, durata della giornata di lavoro, presenza o meno di pasti forniti dall’azienda, metodologie di remunerazione del lavoro)46.

presero il via gli studi che aprirono la strada alla scuola behaviorista. Svolti fra il 1924 e il 1932 (interrotti in ragione degli effetti della crisi economica avviatasi nel 1929) rappresentano uno dei più ampi ed influenti studi manageriali mai svolti.

43 Il primo esperimento svolto ad Hawthorne vuole verificare l’ipotesi che legava ad una

migliore illuminazione dei locali ove si svolge il processo produttivo un più elevato livello di produttività. I risultati furono, però, contro-intuitivi. Se, come era prevedibile l’ipotesi era verificata al migliorare delle condizioni di illuminazione, l’efficienza dei lavoratori cresceva anche nei casi in cui l’illuminazione era ridotta in misura marcata. L’analisi dei risultati successiva a questo primo esperimento rese indispensabile riformulare le ipotesi e proseguire gli esperimenti. Risultò chiaro che le variazioni nella produttività osservate durante l’esperimento non potevano essere spiegate ipotizzando esclusivamente un nesso causale con una sola variabile (l’illuminazione dei locali). Le variazioni di produttività, infatti, sono legate a un numero di fattori più ampio e complesso

44 Cfr. ROETHLISBERGER,F. J., DICKSON. W. J., Management and the Worker, Cambridge,

Harvard University Press, 1939, pagg. 17 e ss. In particolare gli autori notarono che, durante gli esperimenti, la produttività degli operai osservati aumentava anche se l’illuminazione interna agli stabilimenti produttivi era ridotta al punto di essere paragonabile alla luminosità di una notte di luna piena.

45 Cfr. MAYO,E.G., The Human Problems of an Industrial Civilization,op. cit.

46 Per una disamina completa si rimanda a JONES,S.R.G., Was there a Hawtorne Effect?,

“American Journal of Sociology”, 1992, 98(3), pagg. 451-468 e WREN,D.A.,BEDEIAN,A.G., The evolution of management thought, op. cit., pagg. 283 e ss.

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In sintesi, durante gli esperimenti svolti dai ricercatori con i lavoratori della Western Electric Company, fu misurato un incremento nella produttività dei lavoratori sottoposti a osservazione. L’effetto, noto in letteratura come Effetto Hawthorne, fu spiegato in relazione al mutamento delle relazioni interpersonali all’interno della fabbrica. Il coinvolgimento degli operai e la loro interazione continua con il management e il team di ricercatori nell’arco degli otto anni di ricerca mutò profondamente il modo di lavorare di quegli individui. In primo luogo i soggetti coinvolti rinunciarono a un approccio individualista facilitando la creazione di gruppi di lavoro (i singoli operai, infatti, creavano relazioni stabili e durature con i colleghi coinvolti nelle misurazioni). In secondo luogo la presenza di relazioni continue con i manager dell’azienda fu interpretata come il riconoscimento dell’importanza del proprio lavoro. Quest’ultimo elemento, in particolare, considerato come la principale leva capace di innestare l’incremento dell’efficienza produttiva, ha permesso di mettere in discussione le visioni più meccanicistiche e ingegneristiche dominanti all’epoca a favore di un modello manageriale centrato sulle relazioni umane47.

Questa esperienza di studio, probabilmente il più ampio ed impegnativo tentativo svolto all’interno di una struttura produttiva durante il XX secolo, ha avuto un impatto decisivo negli studi di management ponendo in discussione l’impostazione prevalente in quegli anni figlia degli studi di Taylor e degli altri esponenti della scuola scientifica e favorendo la sostituzione dell’impostazione individualistica precedente con l’etica di gruppo. Le idee nate in seno alla scuola behavioristica e la rivoluzione che queste richiedevano trovarono, però, una piena condivisione e applicazione solo nel II dopoguerra, favorendo un rinnovato

47 Studi successivi hanno, in parte, messo in discussione i risultati degli esperimenti svolti ad

Hawthorne. L’effetto Hawthorne sembra legato alle condizioni in cui vennero svolte le osservazioni sperimentali. È stato, infatti, sottolineato che gli operai coinvolti nella sperimentazione e sottoposti alla misurazione delle loro capacità produttive, modificavano i propri comportamenti per influenzare positivamente il risultato e fornire ai ricercatori un’impressione superiore di sé. In tal senso scrivono Branningan e Zwerman “Those workers captured under the microscope put their best foot forward to show themselves in a more positive light, to work more effectively and to weather the tribulations of industrial work with personal grace and dignity. The evidence for this methodological artifact emerged from the illumination experiments and from the relay assembly tests.” BRANNIGAN,A.,ZWERMAN,W., The real “Hawthorne effect”, “Society”,

modello di management che perseguisse, come fine primario, un deciso miglioramento delle condizioni di lavoro degli individui. L’incremento dell’efficienza e, più in generale, delle performance aziendali era raggiunto indirettamente: un adeguato livello motivazionale e buone relazioni sociali, erano garanzia di un superiore livello di produttività. L’attenzione all’aspetto umano, tuttavia, doveva essere affiancato dalla ricerca costante di un equilibrio globale dell’impresa a livello economico, finanziario e monetario. I behavioristi legati all’eredità degli esperimenti di Hawthorne riconoscono un’anima duplice – sociale ed economica - alle organizzazioni e affidano al management il compito di presidiare entrambi gli aspetti e l’obiettivo di individuare condizioni di equilibrio adeguate48.

Sulla scorta degli esperimenti di Hawthorne e, più in generale, dell’attività dei primi esponenti della scuola delle relazioni umane, emersero diversi contributi che permisero di perfezionare l’impostazione teorica della scuola behaviorista. Fra i più noti ricordiamo la teoria dei bisogni umani di Abraham Maslow e le teorie organizzative di Douglas McGregor.

Gli studi di Maslow sulla gerarchia dei bisogni degli individui rappresentano una radicale innovazione nella letteratura economica, poiché hanno mutato la percezione del loro ruolo, specie di quelli non soddisfatti, nel processo

48 L’impostazione teorica della scuola behavioristica fu soggetta a movimenti critici che

ponevano in discussione la centralità di tale impostazione. Come già accaduto per la scuola scientifica, i rilievi mossi ai principi della scuola behaviorista furono causati in gran parte dalle esperienze negative successive all’applicazione fideistica e acritica delle tecniche sviluppate in seno alla scuola, senza la creazione di un’ambiente organizzativo adeguato a tali mutamenti. I detrattori delle impostazioni della scuola behavioristica, infatti, non pongono in discussione l’importanza e la centralità della cura delle relazioni umane nelle organizzazioni, ma sottolineano il rischio di focalizzare l’attenzione solo su questo aspetto a scapito di altri. “Among the present- day fashionable chorus of praise for human relations mine is a deliberately dissenting voice. I think it is time to take a sober second look at where we are going — and, if we see we are in danger of getting in too deep, to draw back to firmer ground. […] Only a few years later, however, the grandiose claims of scientific management were sharply debunked. What was of solid worth remained — but a considerable amount of froth had been blown off the top. Must we go through the same process — with all its waste and possible damage along the way — to get to what is worthwhile in human relations?” Cfr. MCNAIR, M. P., Thinking ahead, “Harvard Business

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motivazionale degli esseri umani49. Questi, infatti, sono costantemente orientati alla ricerca di un mezzo per soddisfarli adeguatamente e per accedere a quelli dei livelli più elevati. Difatti nella visione dall’Autore, i bisogni possono essere classificati in cinque livelli, gerarchicamente ordinati50.

La ricerca costante del soddisfacimento di bisogni di rango superiore diviene una leva motivazionale che deve essere compresa, gestita e sfruttata dai manager per indirizzare i comportamenti dei lavoratori avendo sempre ben presente due principi centrali. In primo luogo i bisogni sono ordinabili in modo gerarchico e gli esseri umani orientano i propri sforzi per soddisfare quelli di livello superiore. In secondo luogo l’elemento motivazionale è legato solo ai bisogni non ancora soddisfatti.

49 Per approfondire l’impostazione teorica e l’evoluzione del pensiero dell’Autore si rimanda a

MASLOW,A.H., A theory of human motivation, “Psychological Review”, 1943, 50(4), pagg. 370- 396, MASLOW,A.H., Higher and lower needs, “The journal of Psychology: interdisciplinary and applied”, 1948, 25(2), pagg. 433-436, MASLOW,A.H., A dynamic theory of human motivation, in STACEY,C.L.,(ed.), Understanding human motivation, Cleveland, Howard Allen Publishers, 1985 50 L’elemento di maggiore innovatività dell’opera di Maslow è l’identificazione di una

gerarchia fra i bisogni che l’individuo presenta nel corso della sua esistenza e il legame motivazionale che è correlato a questa. La gerarchia è, infatti, stringente e l’uomo devolve i suoi sforzi nella scalata costante della “piramide dei bisogni”. Se opportunamente gestito dal

management aziendale, rappresenta un fortissimo elemento motivazionale. In sintesi la classificazione dei bisogni prevede 5 livelli (ordinati in senso ascendente). Per approfondimenti si rimanda a MASLOW,A.H., Motivazione e personalità, Roma, Armando Editore, 2010. I bisogni fisiologici rappresentano il punto di base dell’evoluzione dell’individuo e sono legati alla soppravivenza e alla soddisfazione degli impulsi primigeni dell’essere umano. Pare evidente che la percezione di un bisogno di questo livello annulli le motivazioni correlate livelli superiori. “Se tutti i bisogni restano insoddisfatti e l’organismo è dominato dai bisogni fisiologici, tutti gli altri bisogni possono essere annullati o respinti nell’ombra” (p. 85). I bisogni di sicurezza, invece attengono alle necessità che l’individuo presenta, una volta garantitosi la sopravvivenza, di tutelare sé stesso e la propria integrità fisica e sociale. I bisogni di affetto o di appartenenza, invece, rappresentano l’emersione della dinamica sociale e relazionale dell’individuo. Particolarmente sentiti in età adolescenziale e nella fase della formazione, mantengono comunque una rilevante importanza poiché l’essere umano presenta la naturale tendenza a ricercare l’appartenenza e l’inclusione in gruppi sociali. I bisogni di stima attengono alla necessità di ogni individuo di veder riconosciuto all’esterno e di percepire autonomamente una stabile, forte e alta percezione del proprio ruolo e della propria importanza. “Le esigenze di questo genere possono essere classificate in due categorie: da una parte il desiderio di forza, di successo, di adeguatezza, di padronanza e di competenza per affrontare con fiducia il mondo […] dall’altra abbiamo ciò che può essere detto il desiderio di reputazione o prestigio, di una posizione sociale, di fama e di gloria […] (p. 97). I bisogni di autorealizzazione chiudono la classificazione dell’Autore e rappresentano un gruppo molto ristretto ed elevato di pulsioni percepite dall’individuo. La soddisfazione dei bisogni di livello inferiore (quelli di stima), infatti, non è sufficiente poiché può avere natura transeunte e trasformarsi rapidamente in un sentimento di frustrazione e mancanza di appagamento poiché il soggetto non ha realizzato compiutamente il proprio essere. “Ciò che uno può essere, deve essere. Egli deve essere come natura lo vuole” (p. 99).

Il pensiero di Maslow ha influenzato profondamente l’impostazione manageriale, in particolare in tema di meccanismi motivazionali e di strutturazione di sistemi di premi e sanzioni. Pur sottoposta a revisioni critiche51 nel corso degli anni e in assenza di una verifica empirica della validità della sua teoria (in particolar modo la correttezza della scala gerarchica individuata), il lavoro di Maslow ha integrato le teorie behavioriste con un ulteriore elemento: la capacità di un’organizzazione di creare le condizioni affinché i propri lavoratori possano trovare soddisfazione ai propri bisogni, rappresenta un elemento chiave per l’incremento delle performance individuali e, conseguentemente, aziendali.

Influenzato dagli esperimenti di Hawthorne e dalle teorizzazioni di Maslow, Douglas McGregor concentrò i propri studi sui modelli di gestione della leadership nelle imprese americane, propugnando la sostituzione di stili autoritari di governo con modelli partecipativi e orientati alla soddisfazione dei bisogni dei lavoratori. Nelle teorie di McGregor il punto di partenza risiede nell’individuazione di un forte legame fra le tipologie di scelte direzionali assunte dai manager e la considerazione che questi hanno delle caratteristiche dell’individuo. Per favorire la comprensione di tali approcci, l’Autore propone una classificazione polare di queste chiamando “Teoria X” il modello autoritario e “Teoria Y” quello partecipativo. Gli aderenti alla Teoria X sono guidati

51 Gli studi di Maslow, in particolar modo gli studi motivazionali e sulla gerarchia dei bisogni

sono stati sottoposti a revisioni critiche su diversi punti. In primo luogo l’elemento di maggiore criticità nell’impostazione dell’Autore è relativo alla vaghezza del concetto di “bisogno” su cui ruota l’intera teoria. Non è, infatti, agevole comprendere quale sia il contenuto del concetto e se sia legato esclusivamente ad aspetti psicologici, fisiologici o dall’interazione di entrambi gli aspetti. In secondo luogo è sottolineato che il framework proposto non è supportato da una verifica empirica e che i tentativi successivi di individuare una conferma sperimentale hanno avuto risultati non conclusivi. In terzo luogo le presunzioni del lavoro dell’Autore sono rigettate o in parte ridimensionate: è, infatti, ammessa l’esistenza di una gerarchia dei bisogni, ma è negata la stringente verticalità e l’automatica estinzione degli effetti motivazionali al soddisfacimento di un bisogno inferiore. Infine, le teorie sull’autorealizzazione dell’individuo, fondamentali nella visione di Maslow, sono considerate incomplete. Nonostante le critiche esposte, il lavoro mantiene una centrale importanza nella letteratura: non può negarsi l’impatto decisivo avuto nell’evoluzione negli studi nel campo e nella promozione di un approccio motivazionale che considerasse gli aspetti fisiologici e psicologici degli individui. Per approfondimenti si rimanda a WAHBA,M.A.,

BRIDWELL, L., G., Maslow reconsidered: a review on the need of hierarchy theory,

“Organizational Behavior and Human Performance” 1976, 15(2), pagg. 212–240 ove è esposta un’ampia ed esaustiva review dei contributi integrativi e critici sul lavoro dell’Autore.

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dall’assunto che i lavoratori presentano un set di caratteristiche negative: l’uomo medio ripugna il lavoro e agisce per limitare i propri sforzi. La ripugnanza verso il lavoro impone ai dirigenti di controllare, comandare e minacciare punizioni per garantire un adeguato livello di produttività da parte dei lavoratori, i quali cercano