La crisi del modello mutualistico inizia a manifestarsi negli anni Sessanta e fu il risultato delle politiche sanitarie attuate dai primi governi repubblicani. La volontà di tutelare il maggior numero d’individui (con l’obiettivo di realizzare un meccanismo sostanzialmente universale) attraverso l’estensione del meccanismo dell’assicurazione obbligatoria23, portò al moltiplicarsi del numero degli enti mutualistici senza che, parallelamente, si realizzasse un adeguamento dei meccanismi di controllo e di regolamentazione da parte del potere centrale. In quegli anni prende forma una profonda crisi di stampo economico-finanziario caratterizzata dalla crescita incontrollabile dei disavanzi delle casse mutue. Per comprendere la dimensione raggiunta dall’indebitamento del sistema assistenziale italiano in quegli anni basti pensare che, all’atto della loro liquidazione (1977), ammontava a oltre 6 mila miliardi di lire24.
Il dibattito attorno alla riforma del sistema sanitario e previdenziale italiano, in corso da diversi decenni, ricevette una spinta determinante. Le deficienze mostrate dal modello mutualistico generarono un movimento riformatore che spinse verso l’adozione di un modello di stampo universale ispirato al lavoro dell’economista britannico Sir William Beveridge per il governo
23 L’universalità di accesso ai servizi sanitari, caratteristica prototipica dei modelli Beveridge,
può essere realizzata anche attraverso modelli di stampo mutualistico. Si può citare, in tal senso, l’esperienza olandese che attraverso il combinato agire di diversi elementi (obbligo di assicurarsi in capo ai cittadini, divieto di rifiutare il contratto assicurativo imposto agli assicuratori, previsione di un pacchetto assicurativo di base, intervento di specifici fondi statali per le patologie più gravi ed invalidanti, etc.) realizza di fatto l’accesso universale in un modello Bismark. Per approfondimenti si rimanda a SCHÄFER W.,KRONEMAN M., BOERMA W., VAN DEN BERG M.,
WESTERT G.,DEVILLÉ W., VAN GINNEKEN E., The Netherlands: Health system review, in “Health Systems in Transition”, 12(1), 2010, pp. 1–229.
24 La crisi delle casse mutue è stata favorita dal contesto politico che, in ossequio a logiche
distanti da criteri di razionalità economica, non produsse un corpus normativo atto a controllare ed arginare la spesa. Per molti aspetti, a contrario, ne favorì la crescita. Si può citare, quale esempio, il meccanismo della “retta di degenza” descritto in precedenza. Il rifiuto del Governo adottare provvedimenti che responsabilizzassero le mutue o ne favorissero il controllo causò la crescita esponenziale del costo della sanità. Il disavanzo generato negli anni fu coperto da parte del Governo che lo trasformò in debito pubblico generando quello che da molti è considerato come l’elemento fondante del debito che affligge ormai cronicamente la finanza pubblica italiana. A tal proposito si veda FERRERA,M., La partitocrazia della salute, in COTTA,M,ISERNIA,P.,(A CURA DI), Il gigante dai piedi di argilla, Bologna, Il Mulino, 1995, pag. 58.
117
inglese, il quale ha costituito la base teorica per la creazione del National Health Care del Regno Unito (1946)25.
L’esperienza inglese ha avuto un impatto decisivo a livello internazionale divenendo il riferimento principe per il dibattito circa la riforma previdenziale da adottare26. Nonostante il Beveridge avesse conquistato, nel nostro Paese, un elevato numero di sostenitori fin dai primi giorni dell’esperienza repubblicana, come già visto, si dovettero attendere trent’anni dall’adozione della Costituzione per la compiuta introduzione dei suoi principi.
Si realizzò una convergenza d’intenti su un sistema sanitario di tipo universale, in cui la responsabilità per la tutela del diritto alla salute è assunta da parte dello Stato, il quale diviene il principale attore (attraverso specifici enti a carattere territoriale cui affidare la concreta operatività). L’elemento fondante di questo modello è la garanzia dell’accesso ai servizi sanitari a tutti i cittadini, attraverso il finanziamento di questi tramite la fiscalità generale. Il modello, quindi, si fonda sul prelievo coattivo, ispirato a criteri di equità e progressività, poiché ogni cittadino contribuisce indirettamente secondo la propria capacità contributiva e sull’erogazione secondo le necessità dei singoli27.
25 Cfr. MUSGROVE,P., Health insurance: the influence of the Beveridge report, in “Bulletin of
the World Health Organizations”, 78(6), 2000, pp. 845-846
26 Cfr. TARONI,F., La non-nascita del SSN: occasione perduta o strada non presa? Continuità e cesure nelle politiche sanitarie e nella legislazione sociale del secondo dopoguerra in Italia, op. cit., pagg. 387,
27 Il superamento del modello mutualistico (in cui vi è la diretta contribuzione del singolo
individuo alle mutue che pagano per l’erogazione dei servizi sanitari) ad opera della l. 833/1978 è stato possibile grazie all’istituzione del Fondo Sanitario Nazionale. Attraverso questo specifico elemento, annualmente determinato dalla Legge Finanziaria, lo Stato garantiva il finanziamento della sanità tramite la fiscalità generale. Nel corso degli anni la regolamentazione di questo è stata più volte modificata, in particolare per ricercare coerenza con il sistema federale. Si possono citare quale esempio i provvedimenti inseriti nella legge finanziaria 2007, che all’art. 1, comma 830, fissano nella misura del 49,11 per cento il concorso a carico della Regione Sicilia e, al comma 836, stabiliscono che la Regione Sardegna, dall’anno 2007, debba provvedere al finanziamento del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun contributo a carico del bilancio dello Stato. Il riparto fra le diverse regioni degli importi relativi al Fondo Sanitario Nazionale è operato a seguito del confronto operato nella permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
L’avvio del SSN si ha con l’approvazione della l. 833 del 197828 che all’articolo 1 lo definisce come il sistema costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. Il SSN, quindi, non si configura come un nuovo ente pubblico ma è il portato della partecipazione coordinata e sistematica di diversi attori istituzionali. La L. 833, infatti, definiva una struttura di governo su tre livelli: a livello apicale era posto lo Stato cui era riconosciuto il ruolo d’indirizzo e coordinamento generale delle diverse istituzioni coinvolte nel SSN; a livello mediano erano poste le Regioni, cui la riforma riconosceva un fondamentale ruolo di programmazione e guida del ruolo degli Enti Locali e infine a livello operativo Comuni e Comunità Montane che direttamente partecipavano alla gestione delle USL29. Per comprendere la portata rivoluzionaria della riforma giova soffermarsi sul nucleo di principi di fondo che questa presenta30:
- universalità: il SSN garantisce l’accesso all’assistenza sanitaria a tutti i cittadini senza limiti di tempo, quantità e qualità delle prestazioni;
- globalità: il SSN avoca a sé un insieme ampio e diversificato di prestazioni dirette a garantire, in diverse forme, l’assistenza sanitaria e la tutela della salute dei cittadini italiani31;
28 Il SSN riuscì a partire nel 1980 quando le Regioni adottarono l’insieme di provvedimenti
necessari, fra cui, in primo luogo, quelli diretti alla suddivisione del territorio in USL.
29 Cfr. ANSELMI,L.,Una lunga evoluzione, in ANSELMI,L.,VOLPATO,O.,L’azienda salute,
Milano, Giuffrè, 1990, pagg. 4 e ss.
30 Cfr. GASPARRO, N., Diritto Sanitario. Legislazione, organizzazione, amministrazione, economia, etica e lavoro. Milano, Il Sole 24 ore, 2009, pag. 27 e MAPELLI,V., Il sistema sanitario italiano , op. cit. , pagg. 179 e ss.
31 Il concetto è chiarito dall’elencazione delle funzioni necessarie per garantire gli obiettivi del
SSN presente all’art. 2 della l. 833/1978: 1) la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un'adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità; 2) la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro; 3) la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata; 4) la riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità somatica e psichica; 5) la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente naturale di vita e di lavoro; 6) l'igiene degli alimenti, delle bevande, dei prodotti e avanzi di origine animale per le implicazioni che attengono alla salute dell'uomo,
119
- unicità: nella riforma le Unità Sanitarie Locali si sostituiscono all’ampio e vario insieme di attori (comuni, provincie, mutue, etc.) che in precedenza erano coinvolte nell’erogazione di servizi sanitari;
- uniformità ed eguaglianza: il SSN vuole garantire l’eguale trattamento di tutti i cittadini in relazione ai propri bisogni di salute, superando le disparità legate al luogo di residenza o alle condizioni sociali ed economiche;
- democrazia: la gestione delle USL32 è affidata ad assemblee che devono garantire il democratico coinvolgimento nella gestione dei cittadini33.
La riforma sanitaria del 1978 pur garantendo un innegabile impulso allo sviluppo di un sistema sanitario moderno, mostrò fin da subito alcuni elementi di debolezza che ne minarono profondamente l’efficacia. Come sottolineato in precedenza, la scelta operata dal legislatore pareva orientata alla regionalizzazione del sistema34, ma ad una più attenta osservazione emerge, invece, la centralità dei
nonché la prevenzione e la difesa sanitaria degli allevamenti animali ed il controllo della loro alimentazione integrata e medicata; 7) una disciplina della sperimentazione, produzione, immissione in commercio e distribuzione dei farmaci e dell'informazione scientifica sugli stessi diretta ad assicurare l'efficacia terapeutica, la non nocività e la economicità del prodotto; 8) la formazione professionale e permanente nonché l'aggiornamento scientifico culturale del personale dei servizio sanitario nazionale.
32 La l. 833/1978 prevede due organi per la gestione delle USL (v. art. 15). Il primo,
l’assemblea generale, è costituito dal consiglio comunale (se il territorio della USL individuato dalla Regione coincide con quello del Comune o con una parte di esso) dall’assemblea generale dei comuni del territorio o dall'assemblea generale della comunità montana se il suo ambito territoriale coincide con quello dell’unità sanitaria locale. I partecipanti sono eletti (secondo specifiche normative regionali) con criteri di proporzionalità per garantire la rappresentanza democratica. Il secondo, il comitato di gestione, è eletto dall’assemblea con voto limitato e vincolato e assumeva la responsabilità sul compimento di tutti gli atti di tipo amministrativo e gestionale.
33 La partecipazione democratica alla gestione delle USL attraverso l’elezione dei
rappresentanti nell’assemblea generale delle USL rese piuttosto complesso il funzionamento di queste ultime a causa dell’eccessivo peso assunto dalle diverse componenti partitiche. L’assemblea generale venne soppressa dalla l. 4 del 15 gennaio 1985 (v. art. 1) recante “Disposizioni transitorie nell'attesa della riforma istituzionale delle unità sanitarie locali”. La riforma sarà poi completata ad opera del D.lgs. 502 del 1992 che sostituirà il previgente modello democratico con l’attuale modello di ispirazione manageriale.
34 Cfr. a titolo di esempio il D.p.r. 14 gennaio 1972 n. 4 (Trasferimento alle Regioni a statuto
ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e dei relativi personali ed uffici) e la l. 29 giugno 1977 n. 349 (Norme transitorie per il trasferimento alle regioni delle funzioni già esercitate dagli enti mutualistici e per la stipulazione delle convenzioni uniche per il personale sanitario in relazione alla riforma sanitaria).
Comuni. La volontà di individuare in questo livello istituzionale35 il vero fulcro del SSN trova una giustificazione nel principio di decentramento contenuto nell’art. 5 della Costituzione36 e con il più generale principio di sussidiarietà37.
Il modello comunale mostrò fin dai primi anni elementi di debolezza, dovuti all’ingerenza partitica negli organi di gestione che diede luogo ad una degenerazione dei comportamenti38. Mutò, infatti, la prospettiva nella gestione delle USL che divennero spesso strumenti per l’ottenimento del consenso politico. Questo, unitamente all’assenza di meccanismi di responsabilizzazione sui risultati sia a livello regionale che per le USL, causò la crescita spesso incontrollabile del livello di spesa per la sanità39.
35 Per approfondimenti sulla cd. “opzione comunale” adottata dalla L. 833/1978 si rimanda a
GRIGLIO,E.,La sanità oltre le regioni. Il superamento della dimensione territoriale statica e la riscoperta del ruolo dei comuni, in BALDUZZI,R..,(a cura di), Trent’anni di servizio sanitario nazionale. Un confronto interdisciplinare, Bologna, Il Mulino, 2009, pag. 223 e ss.
36 “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei
servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.”
37 Il concetto di sussidiarietà, il quale ha profondamente condizionato le riforme del settore
pubblico negli ultimi anni deve essere osservato secondo due direzioni fondamentali. La sussidiarietà di tipo orizzontale impone la ricerca di un equilibrio fra le diverse istituzioni (famiglia, mercato, istituzioni pubbliche) che operano in un sistema sociale. L’ipotesi alla base, piuttosto intuitiva, implica che il beneficio ottenuto dall’esercizio collettivo di attività a favore degli individui è superiore alla somma delle attività svolte singolarmente da questi. Corollario di questa ipotesi – che dà corpo al concetto di sussidiarietà orizzontale – è la ricerca del livello del “corpo sociale” più adeguato per garantire questi interventi, demandando a quelli in posizione apicale solo gli interventi che non possono essere svolti fattivamente dalle organizzazioni più vicine agli individui. Delineando una scala di istituzioni sociali che vede individuo-famiglia- mercato-istituzioni pubbliche, si comprende come questo principio postuli la residualità dell’intervento pubblico. L’accezione della sussidiarietà verticale, invece, implica un processo di riorganizzazione e devoluzione dei poteri fra Enti pubblici territoriali, favorendo la partecipazione degli Enti più vicini al cittadino e l’intervento solo in fase residuale degli enti sovraordinati. Cfr. AA.VV., Sussidiarietà e pubbliche amministrazioni, Rimini, 1997
38 “All’inizio degli anni ’90 l’amministrazione italiana era caratterizzata da molte disfunzioni.
Il clientelismo si univa al formalismo e al legalismo. Una malaccorta distribuzione delle risorse faceva da complemento ad una pronunciata frammentazione organizzativa. L’assenza di una dirigenza pubblica autonoma e responsabile si accoppiava ad un’inefficiente gestione del personale orientata soprattutto a soddisfare gli interessi di micro-corporazioni in cambio del consenso elettorale. La frammentazione politica unita alla mancanza di alternanza, nonché il prevalere nella burocrazia di un paradigma culturale giuridico avevano a lungo frenato ogni tentativo di riforma” Cfr. NATALINI, A., Qualità della democrazia, «rule of law» e capacità amministrativa: l'Italia nella crisi economica globale, in “Rivista italiana di scienza politica” 2012, 2, pagg. 247-270
39 “Le unità territoriali nella sostanza operavano in un regime di risorse infinite mentre lo Stato,
a causa della mancanza di una precisa responsabilità finanziaria ed economica degli enti territoriali, agiva come terzo pagatore, senza tuttavia disporre di alcuna leva decisionale da
121
Fin da subito il Legislatore licenziò diversi provvedimenti tesi a risolvere sia il problema dell’aumento della spesa (limitazione delle prestazioni erogabili dal SSN, blocchi alle assunzioni e previsione di tetti di spesa, introduzione della compartecipazione diretta del cittadino alla spesa attraverso i ticket, etc.) sia per superare i limiti del modello di governance previsto dalla 833 (eliminazione nel 1985 dell’assemblea generale, previsione dell’amministratore straordinario delle USL previsto dalla L. 20 dicembre 1991 n. 35).
Queste ragioni, unitamente alla gravissima situazione sociale e politica affrontata dal Paese in avvio degli anni Novanta, resero improcrastinabile la riforma del SSN operata dal D.lgs. 502 del 23 dicembre 1992 e dal successivo D.lgs. 517 del 7 dicembre 1993 attuativi della legge delega n. 421 del 23 ottobre 1992.
utilizzare per il controllo della spesa. La situazione divenne, in tal modo, presto insostenibile sia sotto il profilo del governo finanziario del sistema, quasi completamente fuori controllo, che per il livello qualitativo dei servizi, spingendo il legislatore a promuovere una nuova riforma sfociata nel D.lgs. 502/1992 […]” Cfr. MARINÒ,L., La ricerca dell’economicità nelle aziende sanitarie locali. Concetti, modelli, decisioni, op. cit., pag. 58.