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L’indagine svolta presenta rilevanti tratti di similarità con il modello adottato come riferimento (Bloom e Van Reenen 2007) anche nella progettazione delle fasi di somministrazione.

In relazione all’articolato modello di governance delle ASL disegnato dal legislatore e, inoltre, alla complessità insita nell’attività di queste si è, primariamente, dovuto individuare la figura manageriale ideale cui indirizzare il questionario. L’obiettivo è, infatti, individuare il manager che, per render possibile il raggiungimento dell’obiettivo conoscitivo della ricerca, possa garantire una visione globale della gestione aziendale (operare, quindi, da una posizione vicina al vertice) ed essere in grado di descrivere al meglio le pratiche manageriali adottate, fornendo l’opportuna sintesi fra anima clinico-sanitaria e manageriale-amministrativa. Si è individuato nella direzione generale l’interlocutore primario in tale fase e il livello direzionale in grado di individuare nella struttura aziendale il dirigente più idoneo.

Pertanto le direzioni generali delle otto aziende del SSR della Regione Sardegna sono state contattate in una prima fase, con la richiesta di partecipare al progetto di ricerca volto all’approfondimento delle pratiche manageriali adottate in sanità tramite la partecipazione ad una intervista personale o telefonica. Nella lettera era espressamente indicato che la finalità dell’indagine era di tipo scientifico e che era garantita l’anonimità (sia in riferimento alla figura dell’intervistato sia all’azienda di riferimento).

In analogia con le indicazioni elaborate da Bloom e Van Reenen, al fine di ottenere risposte con il minor livello di condizionamento possibile si è omesso di esplicitare che l’obiettivo ultimo del questionario somministrato è l’utilizzo delle risposte ottenute per formulare un giudizio quantitativo. L’omissione di tale informazione è legata alla volontà di ridurre al minimo il bias delle risposte ottenute. Si deve, infatti, ipotizzare che un individuo chiamato a fornire

informazioni che sono espressamente dirette a produrre una valutazione quantitativa sulle attività manageriali della propria azienda sia inconsciamente portato a sovrastimarne gli aspetti positivi e sottostimarne gli aspetti negativi17. Questo pare particolarmente rilevante quando l’intervistato occupa una posizione apicale in un’azienda poiché, indirettamente, la valutazione della qualità delle scelte gestionali aziendali può essere percepito come un “giudizio” sull’attività da questi svolta.

Le interviste – svolte telefonicamente – sono condotte dall’intervistatore (nella prima applicazione di questo modello il ruolo è stato rivestito dallo scrivente) attraverso l’utilizzo di domande aperte (definite ex ante ed illustrate nel questionario) al fine di favorire una discussione aperta e, spesso, integrata con la richiesta di esempi pratici. Oltre a questa considerazione, la scelta di non costruire un questionario con domande vincolate o basate sull’utilizzo di misure self reported è correlata alla volontà di ridurre un rischio tipologico delle indagini campionarie, legato all’attitudine dell’intervistato di fornire quelle risposte che ritiene siano gradite dall’intervistatore18 o che, sulla base del questionario somministrato, siano ritenute “migliori”.

Sulla base delle risposte ottenute l’intervistatore ha assegnato un punteggio variabile da 1 (“cattiva pratica manageriale”) a 5 (“best practice”) in relazione ad una scala di misura definita in precedenza (si rinvia al questionario esposto in Appendice al presente capitolo).

17 Rilevano Bloom e Van Reenen “To try to address these issues, we took a range of steps to

obtain accurate data. First, the survey was conducted by telephone, without telling the managers they were being scored. This enabled scoring to be based on the interviewer's evaluation of the firm's actual practices, rather than its aspirations, the manager's perceptions, or the interviewer's impressions.” Cfr. BLOOM,N.,VAN REENEN,J., Measuring and explaining management practices across firms and countries, op. cit.

18 In tal senso sottolineano Bertrand e Mullaithan: “Beyond purely cognitive issues, the social

nature of the survey procedure also appears to play a large role in shaping answers to subjective questioning. Respondents want to avoid looking bad in front of the interviewer […] Another example can be found in the self-reporting of racial attitude. Much evidence sug-gests that people are unwilling to report prejudice. For example, reported prejudice in-creases when respondents believe they are being psychologically monitored for truth-telling and decreases when the survey is administered by a black person” Cfr. BERTRAND,M.,MULLAINATHAN,S., Do people mean what

they say? Implications for subjective survey data, in “The American Economic Review”, 2001, 91(2), pagg. 67-72.

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Merita d’essere sottolineato che la scelta di demandare all’intervistatore l’assegnazione del punteggio non è una scelta neutra e priva di limiti. Come sottolineano Bloom e Van Reenen, infatti, la condizione ottimale in tal senso prevede la partecipazione alla ricerca di intervistatori che ignorino le condizioni economico-finanziarie delle aziende intervistate. Tale condizione teorica è difficilmente realizzabile facendo riferimento alle unità del settore pubblico le cui performance sono facilmente accessibili tramite non solo la letteratura specializzata ma anche tramite i media più tradizionali.

Per valutare la capacità dello strumento nel guidare l’intervistatore verso una corretta definizione dello score manageriale si è, pertanto, deciso di affiancare al primo intervistatore un secondo soggetto, non autorizzato a porre domande o interagire con l’intervistato, il cui compito è formulare un secondo giudizio “cieco”19 al fine di comprendere se lo strumento di può fornire un supporto che agevoli l’oggettività. Questo si potrà comprendere incrociando i giudizi forniti dai due intervistatori e valutandone la varianza.

19 Per garantire l’omogeneità delle risposte il secondo intervistatore è stato selezionato in modo