II. PANORAMICA STORICA
2.3 Gli anni del disimpegno: cinema politico come cinema di genere.
2.3.2 Evoluzioni cult: il cinema di Nanni Moretti.
«Il privato è politico», gridavano a gran voce le femministe negli anni della contestazione, mettendo in discussione la possibilità di separare nettamente la sfera più intima delle relazioni umane dalla partecipazione alla vita pubblica. Nel loro caso, la sfera più intima era di fatto quella della “camera da letto”. Gli esiti, che si mischiarono con le istanze provocatorie e anti-conformiste della liberalizzazione sessuale, furono a volte tragicomici. Anche il “compagno” più integralista si trovò a scontrarsi con le deformazioni più estreme dell’ideologia marxista (le comuni, il sesso libero e la coppia aperta), provando sulla propria pelle l’inestinguibile gelosia che stringe alla gola chiunque abbia a che fare anche solo con il dubbio del tradimento. Nonostante gli iniziali entusiasmi di una gioventù alle prese con la sua lotta generazionale, la realtà ci mise poco,
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C.UVA –M.PICCHI, Destra e sinistra nel cinema italiano, op. cit., pp. 63-64. 85
Alcuni altri titoli: Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, La polizia ringrazia (1972) di Steno, Il boss (1973) di Fernando Di Leo, Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973) di Sergio Martino, L’onorata famiglia - Uccidere è cosa nostra (1973) di Tonino Ricci, La polizia
incrimina, la legge assolve (1973) di Enzo G. Castellari, Revolver (1973) di Sergio Sollima, La legge violenta della squadra anticrimine (1976) di Stelvio Massi, La polizia interviene: ordine di uccidere! (1975) di Giuseppe Rosati, Milano odia: la polizia non può sparare (1974) di
però, a dimostrare che la struttura della società non sta nel pubblico, ma risiede piuttosto nel personale, e che la politica è una sovrastruttura che deve cercare di gestire le richieste che vengono dai singoli. Insomma, il «tutto è politico» (altro slogan sessantottino) fu presto capovolto nel più accettabile «tutto è privato».
Non stupisce, quindi, che sia proprio Nanni Moretti, giovane cineasta fuoriuscito dalle fila dei movimenti extraparlamentari di sinistra, a demistificare per primo le ipocrisie dell’ormai consunto movimento. E non stupisce, soprattutto, che lo faccia grazie alla forza del proprio ego accentratore. E’ il 1976 e con il suo lungometraggio d’esordio, Io sono un autarchico, Moretti inaugura un modo del tutto personalissimo di fare politica – come dichiara fin dal titolo – ovvero filtrando ogni aspetto della realtà sociale attraverso le maglie (assai eccentriche) del suo più intimo privato. Il risultato dell’operazione è grandioso. Il successo del suo stile aggressivo, iconoclasta e respingente ad ogni costo lo proclama, specialmente dal suo secondo film in poi, quale nuovo guru della sinistra riformata. Il pubblico lo celebra da subito – Ecce Bombo (1978), costato 180 milioni di lire, ne incassa 2 miliardi – e anche la critica non manca di riferirsi a lui come ad «un piccolo maestro»,86 «un nuovo prodigio del cinema italiano»,87 collocandolo sulla scia dei vari De Sica, Fellini e Bellocchio.88 Nel panorama del cinema politico italiano, quello di Nanni Moretti è nei fatti un unicum, risultando uno degli esempi tra i più distanti dalle forme rappresentative del passato (agli antipodi rispetto alla poetica neorealista), ma allo stesso tempo in grado di raccogliere in modo estremamente efficace le tensioni di un’epoca come quella post-sessantottina (con ciò, in perfetta sintonia col neorealismo). Tutt’oggi, a distanza di più di trent’anni dall’esordio di gioventù, Moretti è ancora unanimemente considerato il più politico e politicizzato dei cineasti italiani, ed ogni nuovo film è atteso dal suo pubblico
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P.VALMARANA, in «Il Popolo», 9 marzo 1978. 87
R.C.BIANCINI, in «Nice-Matin» 27 maggio 1978, in riferimento alla proiezione a Cannes del film Ecce Bombo (1978).
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come un tempo si attendeva la profezia di un oracolo. L’esasperata autorialità fatta di piccoli feticismi, di ritualità e liturgie ricorrenti che marca l’intera filmografia del regista, diventa cifra di un certo modo di intendere la vita e il mondo. Alle forme ideologiche consunte e mistificatorie che lo stesso Moretti stigmatizza fin dagli inizi, egli finisce per sostituire le proprie manie persecutorie e i suoi vezzi personalissimi. L’essenza politica del suo cinema, che risiede nella critica (acuta e grottesca) alle mode e ai luoghi comuni del proprio tempo, finisce per confluire in una nuova collezione di mode e di luoghi comuni. Insomma, malgrado i tentativi di risultare “antipatico” e l’indole respingente, Moretti viene di fatto fagocitato dalle stesse dinamiche di consumo di quel cinema popolare da lui stesso avversato (si ricordi il celebre attacco ad Alberto Sordi e al qualunquismo della commedia all’italiana). Come mettono perfettamente in luce Picchi ed Uva:
Nessun nuovo regista italiano negli ultimi vent’anni ha avuto un “suo” pubblico come Nanni Moretti. Nessuno è piaciuto, a dispetto della sua voglia di non piacere, quanto lui. Nessuno, insomma, è diventato così cult, come dimostra il nutrito merchandising che abilmente ha saputo diffondere, all’interno soprattutto della cultura giovanile, la weltanschauung morettina attraverso magliette che riportano citazioni di frasi da film come Ecce Bombo e Caro diario.89
Il cinema politico italiano, quindi, scopre il culto della persona, in particolar modo il culto dell’antipatico – o sarebbe meglio dire del “rompiballe” – come molte personalità di rilievo dell’attuale panorama (televisivo) di opposizione dimostrano,90 ed entra verso il nuovo millennio come vi entrano le più trash e le più nazional-popolari delle commedie, ovvero attraverso gli stessi meccanismi di affiliazione («I film culto sono per antonomasia luoghi in cui si celebra
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C. UVA –M.PICCHI, Destra e sinistra nel cinema italiano, op. cit., p. 156. 90
Ci si riferisce in particolare all’intervista di Sabelli Fioretti a Marco Travaglio, trascritta nel libro C.SABELLI FIORETTI, Il rompiballe, Aliberti, Reggio Emilia, 2008. Il titolo è ovviamente un richiamo al libro-inchiesta dei Valentini padre e figlio, dedicato alla generazione appena successiva al sessantotto, N. VALENTINI – M. VALENTINI, I rompiballe, Sperling & Kupfer, Milano, 1977.
l’appartenenza al gruppo, l’adesione alla tribù»).91 Ma soprattutto vi entra accentuando in modo ancor più significativo quella polarizzazione del discorso politico già evidente in Pasolini (cfr. 2.2.2) tra chi è “con” e chi è “contro”, tra chi dice “cose di destra” e chi dice “cose di sinistra”. Polarizzazione sulla quale si gioca quasi tutto il cinema politico realizzato in anni più recenti.