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23.206 Mercati: Quebec

V. PRODOTTI «LOW BUDGET».

Il successo non è niente. Il successo è l’altra faccia della persecuzione. E poi il successo è sempre una cosa brutta per un uomo.

Pier Paolo Pasolini

Finora abbiamo cercato di analizzare il cinema politico dei grandi nomi (Moretti, Placido, Bellocchio, Giordana), ovvero di quei cineasti per professione che effettivamente rappresentano il cinema in senso stretto, vale a dire quello che si vede in sala, che circola nei festival importanti, di cui si sente parlare in televisione e di cui si scrive sui giornali. Insomma il cinema, per l’appunto, “istituzionale”. Eppure, con l’avvento del digitale, il cinema è diventato anche altro. E non è solo una questione che riguarda la trasformazione dell’esperienza cinematografica, del film che esce dal buio della proiezione collettiva e attraversa tutta la nuova filiera mediatica, né si tratta solo delle nuove forme della cultura convergente.253 Si tratta di un fenomeno che coinvolge ormai la natura stessa del prodotto-film. L’evoluzione tecnologica dei mezzi di ripresa e riproduzione digitale, infatti, ha spalancato le porte a tutta una serie di autori (registi più o meno improvvisati) che hanno finalmente avuto accesso al settore produttivo a fronte di costi estremamente ridotti (una videocamera digitale è ormai alla portata di chiunque, così come un computer e un programma di video-editig). Ma non solo. La diffusione della cosiddetta “banda larga”, ovvero la possibilità di scambiare un quantitativo elevato di dati in poco tempo tramite la rete, ha permesso a quegli stessi prodotti di trovare anche un loro pubblico. Alla produzione «low budget», insomma, si è associata anche una distribuzione

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Cfr. F.CASETTI-M. FANCHI (a cura di), Terre incognite. Lo spettatore italiano e le nuove

forme dell’esperienza di visione del film, Roma, Carocci, 2006 e H. JENKINS, Cultura

«low budget», con la possibilità in alcuni casi di ottenere persino qualche piccolo rientro economico.

Se da un lato, quindi, troviamo un numero relativamente ridotto di cineasti professionisti che operano nel solco dell’impegno ottenendo un adeguato riconoscimento in termini di attenzione pubblica e di relativi guadagni, dall’altro lato troviamo invece una miriade di produzioni sotterranee che lavorano con mezzi economici ridottissimi, facendo dell’impegno e della denuncia sociale il loro principale se non unico obiettivo. Si tratta di operazioni il più delle volte estemporanee (qualcuno le definirebbe “aspecifiche”, che utilizzano cioè il mezzo cinematografico appunto come mezzo, ovvero come veicolo di informazione, a prescindere dalle caratteristiche specifiche del suo linguaggio), realizzate da personalità che non lavorano abitualmente in ambito cinematografico (sono in buona parte giornalisti, attivisti, teatranti o registi alle prime armi).

Il numero di simili produzioni, si è detto, è elevato, motivo per cui ci si è trovati di fronte alla necessità di compiere delle scremature, ponendo dei distinguo per ridurre lo spazio utile al di sotto di quella categoria-ombrello che è per l’appunto il cinema politico. Tra le varie difficoltà, prima fra tutte vi è stata quella determinata dalla scelta di aprire l’analisi anche al mondo dei documentari, produzioni intrinsecamente politiche per loro stessa natura e abituate da sempre ad operare in regimi di ristrettezze economiche. A riguardo, quindi, si è cercato di mantenere una certa coerenza rispetto al discorso che ci interessava analizzare, prendendo in considerazione solo quei prodotti che avessero per argomento un tema politico in senso stretto, vale a dire che affrontassero questioni legate ai partiti o alle azioni del Governo (esiti di votazioni democratiche, analisi di singoli partiti, ecc…) o si concentrassero su esponenti del mondo politico contemporaneo o del recente passato. Restano quindi esclusi tutti quei film che analizzano (o meglio, documentano) questioni sociali come il disagio giovanile o la precarietà sul lavoro (Mimmo Calopresti,

La fabbrica dei tedeschi, 2008; Monica Repetto, Thyssenkrupp Blues, 2009), l’immigrazione clandestina (Domenico Distilo, Inatteso, 2005), o la situazione delle donne (Alina Marrazzi, Vogliamo anche le rose, 2007), fatta eccezione per il film di Ascanio Celestini, Parole sante (2007), documentario sulla condizione dei lavoratori precari di un call-center, citato in questo contesto più che altro per il valore rappresentativo dal regista, esponente-simbolo di lotta politica, e per l’opera prima di Matteo Garrone, Terra di mezzo (1997), riportato per meglio inquadrare il percorso artistico del regista giunto all’oggi ai vertici della cinematografia italiana. Per quanto riguarda i film di fiction, invece, il discorso resta pressoché invariato rispetto alle modalità di selezione già indicate nel precedente capitolo, di cui è stata mantenuta anche la griglia di presentazione dei dati per facilitare il lavoro di raffronto.

Prima di entrare nel dettaglio di ogni singola produzione, vale la pena sottolineare un ulteriore aspetto. Dei film presi in analisi, infatti, è indicativo che ben nove facciano in qualche modo riferimento al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A differenza di quanto avviene per il cinema ad alto budget, più soggetto alle dinamiche di censura e auto-censura di registi e produttori (dichiaratamente anti-berlusconiani e con il premier quale personaggio centrale per la narrazione del film possiamo citare solamente Il caimano di Moretti e, ampliando un poco l’argomento, anche il primo lungometraggio di Sabina Guzzanti, Viva Zapatero!), questo tipo di progetti possono permettersi di affrontare con piglio polemico argomenti di stretta attualità politica, con posizioni dichiaratamente contestatarie, per il fatto stesso di rivolgersi ad un pubblico che non è quello della sala, ma piuttosto quello “secondario” (ma non certo nei numeri) di internet e della stampa cosiddetta di sinistra (si tratta, infatti, di film che vengono distribuiti se non addirittura prodotti da case editrici vicine a partiti e movimenti di opposizione).

Non solo abbiamo a che fare con documentari o video-inchieste come posso essere i film di Cremagnani, Deaglio, Oliva o di Piero Ricca (loro Gli

imbroglioni, Uccidete la democrazia!, Alza la testa! e Quando c’era Silvio), ma anche vere e proprie fiction, alcune sviluppate in toni al limite del grottesco come Ho ammazzato Berlusconi254 o Shooting Silvio (emblematico il riferimento in entrambi i titoli alla morte violenta di Berlusconi, che non è metaforicamente politica o mediatica, ma propriamente fisica, a interpretare un sentimento alquanto diffuso tra gli oppositori del premier che, più o meno consciamente, ne vorrebbero l’immediata sparizione, e non solo dal vertice del Governo).255 Ma vediamo adesso per ogni singolo film preso in esame gli incassi effettuati in sala, per quei prodotti che hanno effettivamente ottenuto una distribuzione sul mercato theatrical, a cui si associa anche il dato relativo ai biglietti venduti in Italia e in Europa, quindi gli eventuali finanziamenti pubblici ricevuti (decisamente minimi nei pochi casi segnalati) e costi di produzione.

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Il film è tratto dal romanzo di Andrea Salieri, L’omicidio Berlusconi, Edizioni Clandestine, Marina di Massa, 2003, venduto in più di 50mila copie. Sulla narrativa berlusconicida si sono incentrati altri 3 autori: Raul Montanari con La verità bugiarda (Baldini Castoldi Dalai, 2005) che narra l’omicidio del Cavaliere in piazza Duomo a Milano; Kill? di Roberto Vacca (Marsilio, 2005) e Chi ha ucciso Silvio Berlusconi (Ponte alle Grazie, 2005) del giornalista Giuseppe Caruso.

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Tra gli altri titoli anti-berlusconiani citiamo anche il film di Caterina Borelli, Lilli e il

Cavaliere: 10 giorni per battere Berlusconi, che è in realtà un filmato di campagna elettorale

della giornalista Lilli Gruber, girato in occasione delle elezioni europee del 2004, in cui la candidata viene seguita dalle telecamere insieme ai suoi collaboratori durante la preparazione dei comizi nelle varie città; il film collettivo Checosamanca e il già citato Videocracy. Anche Dino Risi, padre della commedia italiana, aveva in programma la realizzazione di un film su Berlusconi, L’arrampicata, di cui aveva scritto nel 2005 il soggetto, ma il progetto non vide mai la luce.