• Non ci sono risultati.

II. PANORAMICA STORICA

2.2 Gli anni d’oro del cinema politico italiano.

2.2.2 Poeti civili: dopo Pier Paolo Pasolini.

I primi anni Sessanta vedono il debutto cinematografico di due personalità alquanto controverse e altrettanto provocatorie: Marco Ferreri e Pier Paolo

63

AA.VV, La città del cinema, Roma, 1979. 64

Aurelio Grimaldi, già avvocato di professione, dovette però affrontare estenuanti battaglie legali contro la censura per rendere visibile il film di Pasolini. Cosa che avverrà anche per

Ultimo tango a Parigi (1977) di Bertolucci – uno dei film di maggior successo nella storia del

cinema italiano, con i suoi 7 miliardi di incasso – che lo spingeranno a trasferirsi negli Stati Uniti.

Pasolini. Il primo, di rientro dall’esperienza spagnola che lo indirizzerà definitivamente dietro la cinepresa, gira nel 1961 Una storia moderna: l’ape regina, opera graffiante e cinicamente grottesca, che presenta fin da subito lo stile di un regista che farà della critica al perbenismo benpensante una delle sue principali marche autoriali (qui scagliato contro l’ideologia clerical-borghese del concetto di famiglia). Il gusto per l’esasperazione e la furia iconoclasta lo portano a incappare ciclicamente nelle maglie della censura filo-cattolica, tutt’altro che provvista di auto-ironia, benché si tratti di anni in cui il benessere del boom economico concede qualche rilassamento, tale da rendere possibile la presenza sul grande schermo di figure così decisamente “fuori dal coro”. Il suo secondo lungometraggio, La donna scimmia (1963), è costretto anch’esso a revisioni forzate, L’uomo dei cinque palloni (1965) viene sottratto a Carlo Ponti e tagliato bruscamente, quindi inserito come episodio nel film Oggi, domani, dopodomani, mentre Marcia nuziale (1966) rischia addirittura di non venire programmato nelle sale.

Stesso trattamento, se non peggiore dato il numero di processi che gli furono intentati (Laura Betti ne ricorda ben 33 nell’arco della sua intera esistenza),65 viene riservato anche a Pier Paolo Pasolini, il cui piglio polemico e il rifiuto all’adesione acritica a un modello ideologico precostituito, unito alla sua dichiarata omosessualità, gli varranno non pochi problemi (tra cui l’epurazione dal PCI e una condanna per vilipendio alla religione di Stato nel 1963 per aver realizzato l’episodio La ricotta, inserito nel film collettivo Ro.Go.Pa.G.). A differenza di Ferreri, che si limitò sempre al proprio campo di pertinenza, vale a dire quello prettamente cinematografico, Pasolini si muove trasversalmente in tutti i comparti della cultura italiana. A differenza di molti colleghi cineasti – ma potremmo dire, a differenza di quasi tutti i suoi colleghi intellettuali – Pasolini è tra i pochi ad assumersi consapevolmente e dichiaratamente il compito di poeta civile, con tutte le implicazioni del caso. Anzi, la militanza

65

politica (in forme più o meno autorizzate) procede sempre di pari passo con la sua attività artistica, come due facce della stessa medaglia. Non per nulla, è Pasolini stesso a rinfacciare ad un coetaneo Italo Calvino di essere troppo poco “politicizzato”, di non usare sufficientemente la propria arte e soprattutto il proprio status per indirizzare le coscienze e promuovere le istanze del marxismo.66 Pasolini si fa quindi testimone – e involontariamente, con la violenza della sua morte, addirittura martire – di una lotta costante alle tensioni conformiste del sistema neo-capitalista, arrivando il più delle volte a sconfinare oltre le rigidità ideologiche che in quegli anni incasellano la società italiana. La sua capacità di analisi della società e le sue posizioni sostanzialmente inconciliabili con la realtà del suo tempo, lo portano ad essere strattonato da una “barricata” all’altra, a prescindere da ogni coerenza di pensiero, per il solo bisogno da parte di svariati esponenti politici di riferirsi a una riconosciuta auctoritas. Pasolini diviene un riferimento proteiforme, alla sua figura e alle sue parole si richiamano contemporaneamente esponenti di sinistra, che vedono in lui un prototipo della lotta all’omologazione sociale, quanto di destra, soprattutto in seguito alle sue esternazioni sullo scontro di Valle Giulia; è icona di progressismo per i sostenitori per i diritti omosessuali, mentre è citato più volte dai promotori dei partiti secessionisti per la sua strenua difesa della cultura e delle tradizioni contadine contro l’avanzare deturpante del modernismo.

Ma al di là degli usi sociali di un personaggio come Pier Paolo Pasolini, quel che preme sottolineare in questa sede è l’importanza simbolica del suo ruolo di intellettuale (di sinistra), consacratosi definitivamente in seguito a quella morte violenta le cui circostanze furono tutt’altro che chiarificate (fatto che lo glorificherà ulteriormente ad ennesimo martire della nostra società civile). Rifacendoci alla tesi esposta da Giacomo Manzoli nel recente saggio From Salò to Gomorra, edito dalla Cambridge Scholars Publishing:

66

The majority of Italian independent or auteur cinema of the past 25 years is penetrated with the influence of Pasolini. […] In their works it is possible to find some recurring elements we can ascribe to a sort of widespread impotence to go beyond the poet’s influence.67

A dimostrazione di ciò, vengono citati alcuni dei più recenti lavori cinematografici che in qualche modo gravitano se non interamente, quanto meno a livello di tributo, intorno alla figura perno di Pasolini.68 Più che il diretto riferimento al poeta, quel che più colpisce è il perpetrarsi di una ben precisa forma mentis dell’intellettuale di sinistra, che a Pasolini si ispira come a una sorta di nume tutelare. Un modo ben preciso di rapportarsi alla complessità del mondo e che opera per compartimenti stagni. Lo spirito dialettico pasoliniano viene in qualche modo edulcorato e della sua indole contraddittoria viene trattenuta la sostanza più bellicosa e (talvolta ciecamente) intransigente:

We might underline a constantly melancholic representation of the expression of alternative sexuality and a constantly negative representation of the bourgeois universe as such. […] Suburbs, marginality, psychological, moral and economical discomfort are to praise anyway as emblems of ontological poetics opposite to the materialistic cynicism of the leading groups, which appear abstract and stereotypical.69

67

G. MANZOLI, From Salò to Gomorra: the Influence of Pier Paolo Pasolini’s Political Perspective on Indipendent Italian Cinema, in Cinema and Politics, Cambridge Scholars

Publishing, Cambridge, 2009, pp. 77-78. 68

Tra i titoli che fanno esplicito riferimento a Pasolini, ricordiamo il documentario di Giuseppe Bertolucci, Pasolini prossimo nostro (2007) dedicato alla realizzazione di Salò, e sempre di Bertolucci anche l’opera teatrale ‘Na specie di cadavere lunghissimo, per celebrare la morte del poeta. Sempre sulla morte di Pasolini, il film di Marco Tullio Giordana, Pasolini, un delitto

italiano (1995), il film di Aurelio Grimaldi, Petrolio (1997) basato sull’omonimo romanzo

postumo, il film diretto dall’attrice e amica Laura Betti nel 2001, Pier Paolo Pasolini e la

ragione di un sogno, l’omaggio di Matteo Cerami e Mario Sesti, La voce di Pasolini, il film di

Sergio Citti, I magi randagi (ispirato all’irrealizzato progetto cinematografico Porno-Teo-

Kolossal). Le citazioni relative a Pasolini all’interno di film sono poi estremamente numerose,

da La meglio gioventù, il cui titolo è un riferimento diretto ad una collezione di poemi dell’autore, a Caro diario (1993) di Nanni Moretti, in cui il regista compie un viaggio in vespa al monumento eretto in memoria di Pasolini. Simile omaggio lo si ritrova anche nel libro di Roberto Saviano, Gomorra (2006) in cui il giovane protagonista si reca appositamente sulla tomba del poeta in Friuli per ritrovare simbolicamente in sé la forza di resistere alle devastazioni fisiche e morali della camorra.

69

Sulla base di questi criteri interpretativi, che si vorrebbero efficaci anche per comprendere la società e la politica contemporanea, si fonda buona parte della cultura degli intellettuali di sinistra che operano tuttora, nonostante il panorama storico sia decisamente differente dalla realtà di Pasolini (si pensi alla sua strenue condanna nei confronti della televisione, che pure era gestita secondo un modello di programmazione ben lontano dagli esiti odierni). Insomma, sotto questa luce si può sostenere che:

The Italian cinema is dominated by a melancholic vision of politics that seems to be anything but “arts of possible”, but revealing itself, on the contrary, as a negotiation frame for mixed strategies to survive the impossibility of utopical forces. In this articulated process, with a cynical aftertaste, Pasolini is still a sort of Dantesque guide on the way to holiness.70