• Non ci sono risultati.

II. PANORAMICA STORICA

2.4 La lenta ripresa degli anni Novanta.

Se per più di un decennio il pubblico italiano sembra indirizzare le proprie preferenze in modo esclusivo sui prodotti della commedia, relegando a qualche sparuto caso il compito di difendere come in un fortino l’eredità dell’impegno di fronte alle dure leggi del mercato (nonostante la sempre presente longa manus dello Stato, che lavora con l’Agis alla formazione di un circuito di sale d’essai per la distribuzione di pellicole di qualità92 e con l’Anica all’istituzione nel 1985 del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo),93 il nuovo millennio si apre con qualche bagliore di speranza, grazie ad esiti commercialmente positivi per film come I cento passi di Giordana (2000) o al successo planetario della Vita è bella di Benigni (1997). Certo, i regimi produttivi degli anni Sessanta sono e restaranno per gli industriali del settore un felice ricordo del passato, mai più replicato e mai più replicabile, per l’inevitabile progresso tecnologico che ha portato allo stravolgimento del panorama dei media, tuttora in corso di evoluzione. Eppure, tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, qualcosa comincia a muoversi. Innanzitutto, inizia a tornare in auge un cinema di

91

C. UVA –M.PICCHI, Destra e sinistra nel cinema italiano, op. cit., p. 158. 92

L’accordo porta nel 1980 alla creazione della Federazione italiana cinema d’essai. 93

Per quasi trent’anni i finanziamenti statali vengono stanziati attraverso il celebre articolo 28 della Legge Corona, o legge 1213, varata nel 1965 e attiva fino al 1994. I contributi venivano assegnati dalla Sezione autonoma per il credito cinematografico della Bnl su parere vincolante del Comitato per il Credito, fino a un massimo del 30% del costo di produzione. Nel 1994 un ormai traballante governo Ciampi approva la Legge Carraro che è una rivisitazione della precedente legge in materia di sovvenzioni alla cinematografia italiana, con cui viene creato un fondo di garanzia con il quale lo Stato diviene coproduttore di film giudicati di interesse culturale nazionale.

scrittura, fatto di racconti che sappiano unire alla storia narrata un senso di partecipazione e di denuncia sociale e civile. Appare sulla scena una nuova generazione di sceneggiatori che riescono ad ottenere riconoscimenti internazionali, e in questo modo a innescare un circolo virtuoso di profitti e investimenti. Sono nomi di nuovi talenti che gravitano tuttora nell’ambito del cinema d’impegno, ovvero Stefano Rulli e Sandro Petraglia, Carlo Mazzacurati, Enzo Monteleone, Davide Ferrario, Heidrun Schleef, a cui si affiancano personalità più affermate come Vincenzo Cerami (già allievo di Pier Paolo Pasolini). Come sottolinea Gian Piero Brunetta:

Anche in questo caso, il peso della lezione neorealista e del cinema dei decenni successivi è forte e riprende quota la volontà di costituire dei film «a tesi», film «politici», ossia dotati di un forte senso della πόλις, di valori condivisi all’interno di una comunità, e di film che cominciano a interrogarsi su come dare alle storie un respiro meno localistico.94

Agli albori degli anni ‘90, travolta dai fatti di Tangentopoli, la società italiana ricomincia ad avere la necessità di ripensarsi, di riguardarsi allo specchio dopo anni di «dissoluto menefreghismo politico». Anche per questo, cominciano a comparire in modo considerevole film che narrano le vicende di cittadini esemplari, storie dedicate a personalità italiane che hanno compiuto atti eroici, capaci di difendere senso di moralità e spirito di servizio. Si ricorre in modo prioritario ad eventi reali, per corroborare ulteriormente gli exempla. Per citarne qualcuno, il giornalista nel Muro di gomma di Marco Risi (1991) o il giudice siciliano Rosario Livatino, trasposto sul grande schermo nel 1994 in Il giudice ragazzino di Alessandro Di Robilant o le vicende dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, narrate in Un eroe borghese di Michele Placido (1995). La lista è lunga. Quel che conta, si è detto, è il ritorno ad un piacere della narrazione che trova da parte del pubblico un corrispondente piacere nel lasciarsi affascinare

94

G.P.BRUNETTA, Guida alla storia del cinema italiano: 1905-2003, Torino, Einaudi, 2003, p. 352.

dal racconto. Una qualità che ha il merito di risollevare le sorti di certo cinema impegnato e che continuerà a non piacere, come già non piaceva in anni di più forti (e comprensibili) contrapposizioni ideologiche, ai critici sinistrorsi più intransigenti. Basti citare a titolo esemplificativo un passaggio tratto dall’ultimo scontro (fra i molti) avvenuto sulle pagine de l’Unità tra l’indomito oltranzista Goffredo Fofi e la coppia di sceneggiatori Rulli e Petraglia in merito all’ultimo film di Daniele Luchetti, La nostra vita (2010). Il critico scaglia il proprio giudizio tranchant dalle pagine del quotidiano, sottolineando un aspetto non secondario sull’operazione complessiva del film:

[Rulli e Petraglia] hanno soprattutto in mente la necessità di piacere e non certo quella, che sarebbe ben più lodevole, di dispiacere al pubblico, e cioè di provocarlo e di metterlo in crisi costringendolo a guardarsi allo specchio e a pensare, a ragionare sulle sue contraddizioni.95

Caratteristica, quella di piacere al pubblico e di ottenere consensi, che nonostante la data riportata in calce all’articolo (il 4 giugno del 2010) continua ad essere considerata segnale di degenerazione intellettuale da parte di certa critica (a dire il vero minoritaria e residuata) di derivazione marxista.

Ad ogni modo, se da un lato si rinforza e si rinnova il fronte degli sceneggiatori, parimenti si rinforza e si rinnova quello dei registi, che vede il debutto di personalità più attente ad una certa idea di cinema civile e soprattutto in grado di rielaborarlo in forme stilistiche che sappiano incontrare il gusto del pubblico. Tra i nomi che potremmo elencare, troviamo sicuramente quello dell’appena citato Daniele Luchetti, che esordisce nella regia nel 1988 con Domani accadrà, film realizzato grazie all’appoggio finanziario di Nanni Moretti (è prodotto dalla Sacher film), il quale viene coinvolto anche in qualità

95

G.FOFI, La nostra vita e il pensiero comune. Cinema immorale per un paese amorale, in «l’Unità», 4 giugno 2010. Non senza un certo gusto per la provocazione, si sottolinea però che la critica oltranzista di Fofi non disdegna di esercitarsi anche su alcune delle riviste più d’evasione come «Ciak», peraltro di proprietà della Mondadori.

di attore nel suo successivo film, il più impegnato Il portaborse (1991), ritratto impietoso sui meccanismi di corruzione politica, profeticamente anticipatore dei processi di Mani pulite. Anche Marco Risi “debutta” nel cinema d’impegno intorno alla fine degli anni Ottanta. Il suo Soldati - 365 all’alba, sulle degenerazioni della vita da caserma, è del 1987, mentre Mery per sempre e Ragazzi fuori, incentrati sulle vicende di alcuni giovani detenuti, sono rispettivamente del 1989 e del 1990. Dopo il Muro di gomma (1991) la sua produzione procede in modo altalenante tra prodotti di commedia, pur sempre d’autore, e pellicole socialmente più critiche, condizione che condivide però con buona parte dei cineasti suoi coetanei e tuttora operanti.

Altro figlio d’arte impegnato fin dagli esordi nella realizzazione di film incentrati su temi scottanti è Ricky Tognazzi, che nel 1991 tratta il tema del tifo violento in Ultrà, dell’usura in Vite strozzate (1996) e della mafia in La scorta (1993). Ma la sua carriera si muove tra alti e bassi, e continui viaggi oltreoceano, così come la sua filmografia, di fatto scostante.

Si potrebbe continuare citando Gianni Amelio – il cui nome resta comunque legato alla produzione d’autore più che al cinema di impegno politico – che negli anni Novanta dà vita a pellicole in grado di catalizzare l’attenzione della critica internazionale come Porte aperte (1989), Il ladro di bambini (1992) e Lamerica (1994). O ancora è possibile fare riferimento a Renzo Martinelli, tra i pochi esempi nel panorama contemporaneo di una produzione più schierata “a destra” che “a sinistra” (forse vi si può affiancare solo quello di Luca Barbareschi, specialmente dopo Il trasformista del 2002 e il successivo ingresso in politica tra le fila del PdL), il quale debutta proprio nel 1994 con Sarahsarà per poi inaugurare un ciclo di film ispirati a fatti di cronaca come Porzûs (1997), Vajont - La diga del disonore (2001) e Piazza delle Cinque Lune (2003). Ma di questi, come degli altri prodotti a tema politico realizzati nell’ultimo ventennio, avremo modo di parlare in modo più dettagliato nei capitoli a seguire. Per ora basti sottolineare il fatto che dai primi anni Novanta ad oggi il

numero di film in qualche modo ricollegabili alle forme, ai temi e agli stili della stagione d’oro del cinema politico italiano incrementano di anno in anno, sintomo di un rinnovato interesse non solo da parte degli intellettuali ma anche, e soprattutto, da parte del pubblico verso prodotti che affrontino in maniera più o meno diretta questioni legate alla realtà civile e sociale. Certamente, il clima di oggi non è paragonabile a quello contestatario in cui si mossero i movimenti politicizzati degli anni Sessanta, clima elettrizzante ma anche foriero di molte tensioni che sfoceranno nella violenza dello stragismo, ma è comunque da notare un certo ritorno, per così dire, “alla piazza”. Ovvero ad una più diffusa partecipazione politica della società nel suo complesso (favorita, in parte, anche dal diffondersi in anni recenti di internet e dei social network), la quale di rimando ha portato ad un incremento di prodotti (contro)culturali e alla riscoperta di un nuovo prolifico mercato.