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Il sistema cinematografico italiano: la crisi perenne.

III. IL CINEMA POLITICO CONTEMPORANEO

3.1 Il sistema cinematografico italiano: la crisi perenne.

Bisogna fare film utili che producano utili. Roberto Rossellini

Se il sistema politico nostrano entra ufficialmente in crisi d’identità con i primi anni Novanta, quello cinematografico potremmo dire che si muove da sempre in uno stato di perenne crisi – economica, s’intende – salvo qualche breve periodo felice che potremmo circoscrivere ai primi anni della sua apparizione (il periodo aureo tra inizio Novecento e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale) e il decennio del boom a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta. I motivi sono molteplici, come mette chiaramente in luce Barbara Corsi, ma potrebbero essere sintetizzati nella sostanziale incapacità dell’industria cinematografica italiana di pensarsi – e quindi di costituirsi – proprio in quanto industria:

Il cinema italiano non ha mai prodotto niente di paragonabile a quel sistema compatto, organizzato e orientato al consumatore che è – ed è sempre stato – Hollywood, la «fabbrica dei sogni» per eccellenza, perfetta macchina da guerra produttiva e commerciale. […] Artigianato, industria assistita, mix di capitalismo e marginalità, ha invece molti caratteri in comune con quelle degli altri paesi europei, specialmente a partire dal dopoguerra, quando il problema principale per tutte diventa sopravvivere alla concorrenza americana.107

Una delle ragioni di tale incapacità è da ricondursi ancora una volta a quel tipico preconcetto tutto europeo che tende a conferire al prodotto cinematografico uno status ibrido fra bene di consumo e prodotto artistico, e che trova la sua ragion d’essere in un profitto culturale e ideologico, piuttosto che

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economico. Se da un lato il cambio della guardia avvenuto verso la fine degli anni Novanta tra produttori e risorse artistiche – in particolare l’ingresso nel settore di registi giovani, decisamente più smaliziati e più orientati al mercato che in passato – ha permesso, se non ti disfarsi in toto di questo habitus culturale, quanto meno di calmierarlo, dall’altro lato resta il fatto che l’industria italiana continua comunque a nutrirsi in modo considerevole degli aiuti che ogni anno lo Stato elargisce per sostenerla, con ovvie e cicliche proteste da parte di politici e giornalisti di turno variabilmente schierati, come avremo modo di sottolineare nel paragrafo successivo.

Tant’è, superata l’ennesima crisi di pubblico degli anni ‘80, che ha colpito il settore cinematografico nella sua globalità facendo cadere a picco il numero di biglietti venduti in sala,108 in anni recenti si è cominciato finalmente a parlare di ripresa – se non addirittura di «nuovo miracolo italiano» – come riportano Casetti e Salvemini nell’analisi commissionata loro nel 2006 dall’ANEC, Associazione Nazionale degli Esercenti Cinematografici:

Nei primi tre mesi del 2007 il prodotto domestico è in testa al box office e la quota nazionale supera davvero in alcune settimane il 40 per cento. E non sono solo le pellicole commerciali o i film per ragazzini a tenere alta la bandiera tricolore: opere medie o d’autore (si pensi a La cena per farli conoscere, Lezioni di volo, Uno su due, Centochiodi, Mio fratello è figlio unico) contribuiscono al successo complessivo del cinema italiano, arrivato a vette altissime e a numeri che non venivano raggiunti dalla fine degli anni Settanta.109

In realtà, gli stessi studiosi mettono in guardia dal lasciarsi andare a moti di eccessivo ottimismo, pur riconoscendo alla produzione contemporanea di essere riuscita a richiamare nuovamente il pubblico in sala (complice anche, se non

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Si tratta di una crisi che coinvolge, chi prima chi dopo, la macchina-cinema a livello mondiale, che deve fronteggiare il confronto con la televisione, soprattutto dopo la nascita delle prime reti commerciali, cosa che in Italia avviene con la sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 1974, in grado di spostare il pubblico popolare dei grandi numeri dalla sala al piccolo schermo.

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F.CASETTI –S.SALVEMINI, E’ tutto un altro film: più coraggio e più idee per il cinema

soprattutto, l’innovazione tecnologica di multiplex e multisala prima, e la “riscoperta” del 3D in tempi più recenti)110 e nel contempo a sfruttare in modo più efficace il terreno del cosiddetto cross-mediale (attraverso i nuovi canali di fruizione pay-tv, VOD, home video, web e via discorrendo). Ciò detto, comunque, l’Italia continua ugualmente a registrare una frequenza annuale pro capite delle sale tra le più basse d’Europa (nel periodo 1995–2005, ad esempio, il valore è di 1,75 contro il 2,47 di Regno Unito, il 2,79 della Francia e il 3,11 della Spagna),111 benché dal punto di vista della produzione realizzi invece un elevato numero di film ogni anno (105 in media nel periodo 1995–2005, dietro Regno Unito a 108 e Francia a 179).112

Si può dire, quindi, che anche la produzione più recente non registri grandi elementi di cambiamento rispetto al passato, continuando a riportare alti e bassi tendenzialmente imprevedibili dal punto di vista dei profitti e delle presenze in sala, e continuando a muoversi in modo più o meno allineato rispetto al mercato europeo nel suo complesso e rispetto alle principali innovazioni che hanno coinvolto il settore negli ultimi decenni. Quel che vale la pena sottolineare rispetto al nostro discorso, però, è che diversamente da quel che si potrebbe credere, il genere del cinema politico – ampliando, del socio-politico – è tutt’altro che marginale all’interno dell’economia complessiva dell’industria italiana, anche di quella contemporanea. Posta l’indiscussa predominanza in termini di commerciabilità del prodotto di genere commedia, che vanta in Italia una lunga tradizione d’eccellenza,113 il socio-politico risulta essere l’unico altro

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Si tratta ovviamente di un pubblico molto giovane, richiamato principalmente dall’elemento spettacolare del film e dagli effetti speciali, caratteristiche queste non certo peculiari del cinema italiano quanto di quei prodotti soprattutto statunitensi che continuano a costituire il nucleo centrale del consumo nostrano in sala. In ogni caso, il potere di attrazione di questo tipo di prodotti ha comunque avuto un effetto rebound positivo anche sul cinema più tradizionale, compreso quello italiano.

111

Dati Media Salles, elaborati in F.CASETTI –S.SALVEMINI, E’ tutto un altro film, op cit., p.21. 112

Ibidem. 113

La commedia italiana da sempre rappresenta il prodotto di punta dell’industria cinematografica nostrana, risultando tra i film più visti non solo in riferimento a tutte le pellicole domestiche, ma anche rispetto alle commedie statunitensi, ricevendo quindi anche i maggiori investimenti distributivi in termini promozionali e di numero di copie di uscita.

genere in grado di determinare una penetrazione commerciale paragonabile a quella del comico.114

Da un lato, quindi, la commedia made in Italy, genere di evasione per antonomasia (specie nella sua declinazione cine-panettonesca), dall’altro il cinema socio-politico, tendenzialmente impegnato e generalmente di matrice autoriale, più complesso per temi e competenze richieste al pubblico. Due tipologie cinematografiche apparentemente agli antipodi. Eppure, l’affinità tra questi due generi così lontani – che di fatto rimandano a target spettatoriali effettivamente diversi, aspetto questo su cui avremo modo di tornare – consiste nel valore di autenticità che il pubblico vi corrisponde. Il pubblico italiano percepisce questo tipo di prodotti come maggiormente autentici, dove nel caso della commedia il concetto di autenticità si declina in “verace italianità”, quindi in un valore aggiunto sul piano del rispecchiamento identitario, mentre nel caso del genere socio-politico recupera il senso etimologico del termine, ovvero di autentico come “autorevole” (dal greco autentikos, da authentèo, cioè “avere autorità”), quindi – per estensione – “credibile, onesto”.115 E come il sociologo Richard Peterson ha dimostrato,116 l’autenticità rappresenta uno degli elementi distintivi dell’industria culturale, nonché uno dei principali fattori in grado di determinare la performance dei prodotti culturali, aspetto di non poco conto in un contesto come quello cinematografico, vittima da sempre del fattore aleatorio del successo delle proprie risorse creative. Non solo, ma come ha messo in luce lo studio dell’economista Michele Bagella effettuato alla fine degli anni

114

Cfr. M. BAGELLA, L’economia latitante. Il cinema italiano e la globalizzazione, in V. ZAGARRIO (a cura di), Il cinema della transizione: scenari italiani degli anni Novanta, Marsilio, Venezia 2000, p. 259.

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Ovviamente, quello dell’autenticità è solo uno degli aspetti in grado di richiamare l’attenzione del pubblico, stimolato al consumo di questi oggetti innanzitutto perché incentrati su tematiche che riguardano direttamente la società italiana, la sua storia, il suo passato e il suo presente. E si propongono, soprattutto, come fonti d’informazione alternativa rispetto a quel che l’istituzione (politica, scolastica, ecc) ha da sempre cercato di veicolare. Ma anche su questo aspetto avremo modo di tornare meglio più avanti.

116

Cfr. R.PETERSON, In Search of Authenticity, Journal of Management Studies, 42, 2005, p. 1083 – 1098.

Novanta, rispetto agli altri generi il socio-politico ottiene anche il vantaggio di risultare maggiormente esportabile, in quanto:

[…] è in generale espressione del migliore cinema italiano e per questa ragione viene richiesto anche da altri paesi. Esso, infatti, tratta temi e storie i cui contenuti sono percepiti come universali e, in quanto tali, sono apprezzati e qualche volta premiati.117

Da ciò, quindi, il duplice interesse da parte di registi e produttori rispetto a progetti che si inseriscano in questo genere, i primi interessati a confermare la loro “missione intellettuale” – nonché la loro natura di autori impegnati nella realizzazione di prodotti culturalmente significativi – i secondi a ottenere un prodotto che sia effettivamente spendibile sul piano commerciale.