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II. PANORAMICA STORICA

2.2 Gli anni d’oro del cinema politico italiano.

2.2.1 Il panorama economico-produttivo.

Il proliferare di un cinema attento a temi politicamente caldi e spesso di stringente attualità a cavallo tra anni Sessanta e Settanta fu dovuto in buona parte anche al benessere complessivo del sistema cinematografico italiano, che permetteva di investire gli utili derivanti dai numerosi film di buon successo commerciale in progetti più ambiziosi e impegnativi. Si considerino a riguardo i dati relativi al numero di film realizzati in poco più di un quinquennio 1960- 1976 e le relative quote di mercato, ovvero gli incassi realizzati dai film delle varie nazionalità, suddivise tra Italia ed estero:

TABELLA n. 1: Numero di film / quote di mercato [1960 – 1976]58

Italia Usa Altri

Film % Film % Film %

1960 160 50,6 194 35,6 147 13,8 1962 245 52,2 148 36,6 162 11,2 1964 290 50,4 152 38,9 146 10,7 1966 232 58,9 141 30,3 93 20,0 1968 246 55,6 167 29,0 176 15,4 1970 231 60,3 146 30,3 127 9,4 1971 216 65,1 144 27,3 112 7,6 1972 280 64,8 140 28,5 178 6,7 1974 231 62,0 128 26,1 180 11,9 1976 237 60,8 144 27,5 179 11,7 58

Nell’arco di un biennio la produzione di film italiani (il dato comprende anche le coproduzioni) passa da 160 a 245 unità, che salgono a 290 nel 1964. Un dato eccezionale, soprattutto se lo si accosta a quello delle quote di mercato che riesce a guadagnare, in costante aumento con un massimo del 65,1 per cento raggiunto nel 1971, a fronte di un cinema statunitense che fatica a superare la quota del 30 per cento. La situazione cambia radicalmente già a partire dal 1978 (i film prodotti sono 143 e la quota raggiunta è del 42,8 per cento, dove gli Stati Uniti ottengono invece il 41,5 per cento del mercato, incrementando anno dopo anno il proprio risultato), per crollare definitivamente durante gli anni Ottanta. Giusto per avere un confronto, nel 1989 vengono realizzati 117 film italiani, ma la quota di mercato si riduce al 21,9 per cento (USA 63,3 per cento), nel 1992 sono 127 col 24,4 per cento e nel 1995 il dato arriva a 75 film, con un 23,7 per cento di quota mercato.59

Tutto ciò per mettere in luce l’eccezionalità del momento storico che permise, soprattutto a cavallo tra 1970 e il 1972, un vero e proprio boom di pellicole a sfondo politico. Per citarne alcune, nel 1970 vengono realizzati Il conformista di Bernardo Bertolucci, Il sasso in bocca di Giuseppe Ferrara, la già citata Indagine di Petri, Lettera aperta a un giornale della sera di Citto Maselli, il Sacco e Vanzetti di Montaldo; nel 1971 è la volta della Classe operaia di Petri, delle Confessioni di un commissario di polizia di Damiano Damiani, di Uomini contro di Francesco Rosi, mentre il 1972 vede nelle sale Bronte di Florestano Vancini, Il caso Mattei di Rosi, Imputazione di omicidio per uno studente di Bolognini, La strategia del ragno di Bertolucci, Mimì metallurgico della Wertmüller e il film di Bellocchio, Sbatti il mostro in prima pagina. Nomi che legano indissolubilmente il proprio percorso artistico al genere del film impegnato (salvo inscriversi in percorsi più propriamente autoriali, come sarà il caso di Bertolucci e di Bellocchio). Tra questi, la

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cinematografia sviluppata da Francesco Rosi è sicuramente la più coerente e prosegue sulla falsa riga dei primi film-inchiesta che avranno un certo riscontro anche successivamente, durante degli anni bui del “disimpegno”.60

La quantità di titoli prodotti in questi anni che potremmo comodamente riportare è tale che rischieremmo un inutile elenco. Sull’argomento, ottima è la ricostruzione diacronica che effettua Maurizio Fantoni Minnella nel suo volume Non riconciliati: politica e società nel cinema italiano dal neorealismo a oggi, al quale rimandiamo per un approfondimento sull’argomento.61 Ci basti ricordare il nome di qualche altra personalità, solitamente meno citata quando si tratta di osannare le glorie antiche della nostra migliore cinematografia civile, vale a dire i nomi di qualche importante produttore dell’epoca. Scrive a riguardo un nostalgico Leonardo Benvenuti:

Quelli erano produttori […] Allora il produttore rischiava un po’ di persona, per questo prendeva anche certi atteggiamenti… Adesso i finanziamenti non li fa il produttore, adesso, in Italia, i soldi arrivano dalla distribuzione. […] Il cinema non ha più mito, ormai è alla portata di tutti, le immagini arrivano a casa e i ragazzini le succhiano come il latte.62

Il carisma di personalità come Dino De Laurentiis, Carlo Ponti, Mario Cecchi Gori, Franco Cristaldi, Alfredo Bini, sembra difficilmente attribuibile a qualche – pur professionalissimo – epigono del giorno d’oggi, men che meno ai diretti discendenti. Pur nella complessità e soprattutto nella diversità del loro ruolo, i produttori che animano l’industria cinematografica italiana in quegli anni sono imprenditori a tutto tondo, dotati di concretezza ma anche del coraggio di sperimentare strade alternative al film di successo immediato. Per usare le parole di Bini, sono persone in grado di avere «intuizioni in relazione

60

Ci si riferisce in particolare a Cronaca di una morte annunciata, 1987 e Dimenticare Palermo, 1990.

61

Cfr. M.F.MINNELLA, Non riconciliati: politica e società nel cinema italiano dal neorealismo

a oggi, UTET, Torino, 2004.

62

Benvenuti scrive intono ai primi anni Ottanta. Il passaggio si ritrova in F.FALDINI -G.FOFI (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti: 1960-1969, Feltrinelli, Milano, 1981, p. 50.

all’epoca».63 Al nome di Alfredo Bini e alla sua società, la Arco Film, altalenante tra prodotti autoriali e film di facile provocazione, è legato il debutto di Pier Paolo Pasolini – Accattone (1960) – di cui produrrà tutti i successivi film fino al 1967 (il testimone passerà poi nelle mani di Aurelio Grimaldi che godrà dell’enorme successo del celebre Decameron – 1971, che incassa sul solo mercato italiano più di 4 miliardi di lire).64 In realtà, dopo aver superato le forche della censura per portare sul grande schermo il Satyricon di Gian Luigi Polidoro (1969), Bini abbandona quasi completamente il filone del cinema d’autore per dedicarsi al più profittevole filone del film erotico di ambientazione esotica (Bora Bora, Noa Noa di Ugo Liberatore), fondando una nuova società, la Finarco. Tra tutti, il percorso più coerente è stato sicuramente quello di Franco Cristaldi, ex studente di medicina ma soprattutto ex partigiano, forse l’unico produttore italiano a dare un fondamento ideologico consapevole alla propria politica di produzione d’autore, l’unico in grado di comprendere come il film di qualità possa essere un investimento da sfruttare sul lungo periodo, rispetto ai prodotti di facile consumo. Tramite la Vides cinematografica, Cristaldi realizza Salvatore Giuliano e Il caso Mattei di Rosi, Kapò di Pontecorvo, Lettera aperta e Gli indifferenti di Francesco Maselli, ma anche numerosi film di Monicelli, Loy, Fellini, Visconti e Bellocchio. Film tuttora additati quali prodotti della migliore industria culturale italiana.