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Excursus I: la storia del termine ‘glossa’

Com’è noto575, la storia del termine ‘glossa’ comincia con Aristotele, che attribuì a glw`ssa – propriamente, ‘lingua’576 – l’accezione peculiare di ‘locuzione rara e insolita’, in riferimento specialmente alle parole straniere, cioè di altro dialetto (Poet. 1458a 22; 1457b 3ss.), agli arcaismi e ai neologismi (Rhet. III 1410b 12; 1406a 7). Secondo Aristotele, delle glosse dovevano far uso i poeti, al fine di suscitare l’attenzione e la curiosità del lettore (Rhet. III 1404b 10).

Recependo il termine tecnico aristotelico, gli Alessandrini arguirono l’importanza dello studio delle glosse nella prospettiva – loro peculiare – della critica letteraria e dell’insegnamento grammaticale (consistente nella lettura commentata degli auctores): fu la nascita della glossografia. Sappiamo per es. della circolazione di raccolte di glosse come le “Ataktoi glw`ssai di Fileta di Cos, nelle quali, accanto al lemma, doveva comparire una qualche forma di interpretamentum.

Per tramite della scuola ellenistica, il termine ‘glossa’ entrò quindi nel mondo romano. La prima attestazione si trova in Varrone, ling. 7,2,10 (‘tesca’ aiunt sancta esse qui glossas scripserunt) e l’uso scolastico è testimoniato da Quintiliano, inst. 1,1,35 (protinus enim (puer) potest interpretationem linguae secretioris, id est quas Graeci glossas vocant, dum aliud agitur ediscere). Secondo tali attestazioni, ‘glossa’ pare significare la stringa lessicale costituita dal vocabolo oscuro e dalla relativa spiegazione. Raramente troviamo invece glossa ad indicare nello specifico il termine oscuro bisognoso di spiegazione, come ad es. in Pseudo-Probo, Verg. ecl. 6,31 (Aijdwneuv":

Ditem quidem patrem glossa significat)577.

Infine, in età altomedievale il termine servì ad indicare direttamente la nota esplicativa (perlopiù costituita da una sola parola), come dimostrano le seguenti attestazioni: Isid. orig. 1,30,1 (glossa Graeca interpretatione linguae sortitur nomen. Hanc philosophi ‘adverbium’ dicunt, quia vocem illam de qua requiritur uno et

575

Cfr. almeno Goetz, s. v. Glossographie, in RE, vol. VII/I, 1910, col. 1433, r. 3-col. 1466, r. 68; P.B.R. Forbes - R. Browning - R.A. Kaster, s. v. Glossa, Glossary, in OCD, 19963, pp. 639-640; Holtz 1996a; Barabino A. 2010; Codoñer 2013b, pp. 61-67; ThLL, vol. VI/II, col. 2108, rr. 38-55, s. v. Glossa [Blatt].

576 L’organo fisico (vd. Od. 3,332 e 3,341), spesso inteso come muscolo che interviene nella fonazione (vd. Il. 1,249). Per catacresi, glw`ssa può significare ‘parola’ (in quanto pronunciata dalla lingua; vd. Hdt. 1,123,4; Soph. Ant. 961); per sineddoche, invece, ‘idioma, dialetto’ (in quanto costituito da un certo insieme di parole; vd. Od. 19,175); ancora più in generale, ‘linguaggio’ (vd. Il. 4,438).

577

Più diffuso, infatti, con il significato di ‘vocabolo oscuro che necessita di spiegazione’ è il derivato glossēma (vd. Varro ling. 7,3,34; 7,6,107; Quint. inst. 1,8,15; MAur. 4,33); cfr. ThLL, vol. VI/II, col. 2108, r. 85-col. 2109, r. 6, s. v. Glossema [Blatt].

singulari verbo designat); Alcuinus De gramm., PL, vol. CI, col. 858C (glossa est unius verbi vel nominis interpretatio); Papia Elementarium, s. v. Glossa (glossa Graece, Latine adverbium, quia quidquid est illud uno verbo declarat). A quanto mi risulta, si tratta dell’accezione anche ad oggi più comune del termine ‘glossa’578.

Dal termine glossa derivarono nel latino tardo e medievale una serie di vocaboli che sono presto entrati nel lessico specialistico della grammatica. Tra questi, per es., glossarium: la prima attestazione, nella variante volgare glosarium, è in Gell. 18,7,3, dove il vocabolo è adoperato come dispregiativo di glossa, ‘parola rara e futile’ (vos philosophi […] glosaria […] conligitis et lexidia, res taetras et inanes et frivolas); ma nel medioevo glossarium passò a designare in maniera specifica una compilazione di glosse. Con quest’ultimo valore l’attestazione più antica a noi nota del termine si trova nel titolo di un glossario latino custodito dal cod. Bern, Burgerbibl., A 91.18, vergato secondo Bischoff nella Francia orientale nel sec. IX579 (membr. 12°: In nomine Domini nostri Iesu Cristi incipit glosarium roboratum summa auctoritate), e il medesimo significato è comprovato dalla definizione che leggiamo nell’Elementarium di Papia, alla conclusione della voce Glossa (unde glossarium dictum, quod omnium fere partium glossas contineat).

Da specificare: secondo la disciplina filologica e codicologica ‘glossa’ è propriamente la breve nota di spiegazione a un vocabolo (o a un sintagma o a una proposizione), posta però nell’interlineo o nei margini della tradizione manoscritta di un dato testo (in stretta prossimità al locus in questione, e/o facendo uso di segni di richiamo – nonostante il lemma di riferimento venga talora comunque riprodotto: normalmente nel rispetto della sua veste morfologica, più raramente invece ricondotto ad una forma rappresentativa, specie per i nomi, cioè, al nominativo o all’accusativo580; talvolta il lemma indicato è un sintagma, e può capitare che i suoi elementi risultino

578 Aggiungo a margine che nel latino cristiano glossa divenne col tempo sinonimo di

commentarium, expositio, interpretatio, indicando un intero corpus di glosse, anziché la singola

spiegazione di una parola oscura; si pensi alla cosiddetta Glossa ordinaria (assemblamento di glosse, tratte dai Padri della Chiesa, al testo biblico: per tutto il basso medioevo fu la forma di commento

standard alle Scritture nell’Europa occidentale); cfr. C. O’C. Sloane, s. v. Glosses, biblical, in NCE, vol.

VI, p. 516. Molto diffuso quindi nel basso medioevo con l’ampio valore di ‘commento’ (anche nel linguaggio dei giuristi), il termine glossa fu perciò tendenzialmente evitato dagli Umanisti, nel loro sforzo di aderire ai modelli classici (dove invece, come s’è visto, ‘glossa’ designava la parola oscura e/o la relativa spiegazione); cfr. Rizzo 1973, pp. 97-98.

579

Bischoff 1998-2014, vol. I, p. 109, nr. 517. Il glossario è stato edito da Gatti 2001.

580 Quale è piuttosto l’uso “di citazione” proprio dei grammatici; cfr. Dickey 2007, p. 109; Wright 2008, p. 140.

invertiti rispetto al dettato testuale di riferimento; succede inoltre che l’espressione data a lemma risulti per così dire “ridotta/diminuita” rispetto a quella effettivamente considerata dalla glossa, ma può verificarsi anche il contrario)581. La spiegazione fornita da tale ordine di glossa può essere di natura varia: prosodica, lessicale, grammaticale, sintattica, interpretativa582; e può rappresentare il prodotto di un maestro di scuola, scritta cioè dallo stesso magister oppure da un discipulus che annota le parole del maestro583 (funzione didattica); ma può anche trattarsi, indipendentemente dal contesto scolastico, dell’appunto di un lettore (scopo di studio – nel caso di glosse interpretative, raccolta e sintesi di informazioni erudite)584. Nella mia tesi, per non ingenerare confusione, sinora mi sono riferita e continuerò a riferirmi a quest’ordine di glossa (che è altro dalla spiegazione di un lemma in un glossario) in termini di ‘nota’, ‘annotazione’, marginalia, ‘scolii’585 – laddove è esplicito il riferimento a un codice d’autore, adotto comunque espressioni quali ‘glossato’ / cum glossis / ‘apparato scolio-/glosso-grafico’.

581 Tali caratteristiche del rapporto lemma-glossa sono ben note, nonché evidenti in qualsiasi manoscritto cum glossis (quali abbondano per i testi classici soprattutto in età carolingia) – per gli esemplari di Virgilio di sec. IX, in particolare, alcune digitalizzazioni liberamente consultabili saranno indicate nella Parte II, Analisi d’insieme, par. 10, entro le note 107-126; può valere a modello la descrizione dell’apparato glossografico del ms. Città del Vaticano, Bibl. Apost. Vat., Reg. lat. 1669 fornita da Ottaviano 2009 (ibi, soprattutto p. 289, n. 124). Quanto in particolare al problema della sproporzione lemma-glossa, è utile notare che si tratta di un fenomeno molto banale nell’esegesi in generale (anche, per es., in Servio); cfr. Dickey 2007, p. 109.

582

Cfr. la classificazione di Wieland 1983, schematicamente riassunta da Wieland 1984, pp. 96-97 – ritengo infatti che la sua classificazione (di un campione) delle glosse ad Aratore e Prudenzio (tramandate dal ms. Cambridge, University Library, Gg. 5.35, sec. XI) possa ben funzionare per il panorama glossografico in generale. Specie la glossa di ordine interpretativo può rivelare coincidenze con l’esegesi estesa agli auctores; ad es., nel caso di Virgilio, sulla riduzione dell’esegesi serviana in glosse, cfr. Gioseffi 2014, pp. 189-191 («Marginal notes in Late Antique manuscripts: the glosses in the codex Mediceus») e Vallat 2016, specialmente par. 2.2.2. («Les contractions»).

583 Rientrando in questo secondo caso nel genere delle recollectae, come in età umanistica saranno chiamati gli appunti presi dagli studenti durante le esposizioni orali dei professori; cfr. Rizzo 1973, p. 95.

584 Fra i sostenitori della prima tesi, Wieland 1985; della seconda, Lendinara 2002 e Teeuwen 2011, pp. 23-30; per una sintesi della questione, cfr. Di Sciacca 2011, p. 299.

585 Di norma il termine ‘scolio’ definisce una nota di commento (più che una breve spiegazione, quale è invece la glossa) – sulla storia della scoliografia, cfr. Zetzel 1975; 1981a; 1981b, pp. 75-199; 2005 (specialmente, circa la terminologia per il materiale esegetico, pp. 4-7); Porro 1985, pp. 208-215; Spallone 1990, pp. 412-442; segnalo anche la miscellanea a cura di Montana-Porro 2014. Tuttavia, sulla possibile parificazione semantica dei termini sopra elencati, in qualità generica di ‘elementi testuali secondari inseriti accanto al testo principale, sia nei margini dei manoscritti che in posizione interlineare’, cfr. Holtz 1984, nonché l’uso del catalogo di Munk Olsen 1982-2014 (dove è GL, sigla per il termine

gloses, a segnalare la presenza di qualsiasi tipo di annotazione nei margini e/o nell’interlineo dei

manoscritti). Infine, sull’uso poco definito della terminologia tecnica per l’esegesi antica, cfr. la sintesi di Dickey 2007, p. 11, n. 25.