riflessioni intorno alla (perduta) fonte
4. Voci senza senso: il rilevamento del materiale da codici di Virgilio cum
glossis
In alcune voci sono riconoscibili errori che denunciano con chiarezza che si tratta di materiale copiato dai margini e/o dall’interlineo della tradizione manoscritta di Virgilio. Si tratta degli errori seguenti43:
a) interpolazione di una glossa nel lemma. Ad es.,
AD 763 Adsuete (-ti) siculis (silvis): in venatu semper agentes.
40 Sulle caratteristiche fonetiche e ortografiche dei manoscritti visigotici, cfr. almeno Battelli 19994, pp. 140-143. Un pratico riferimento online per la scrittura visigotica è il sito http://litteravisigothica.com/new-website/.
41 Cfr. almeno Fontaine 19832, vol. I, pp. 151-156; vol. II, pp. 573-574. Per quanto riguarda il rapporto di Isidoro con gli scolii filargiriani, vi sono delle coincidenze finanche letterali tra le
Etymologiae e gli Scholia Bernensia, Explanationes e Brevis expositio, ma resta aperta la questione se il
vescovo di Siviglia conoscesse il commento di Filargirio (come suggerisce MacFarlane 1980) o piuttosto Isidoro sia stato una delle fonti della compilazione scoliastica irlandese riflessa da Scholia Bernensia,
Explanationes e Brevis expositio (come ritengono D. Daintree - M. Geymonat, s. v. Scholia non Serviana,
in EV, vol. IV, 1988, p. 716); sul problema, cfr. di recente Valastro Canale 2000, pp. 35-37.
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Ad ogni modo, segnalo che (sulla base di controlli a campionatura) non ho potuto riscontrare coincidenze significative fra le glosse virgiliane del LG con etichetta Virgili e le Etymologiae – rare coincidenze letterali riguardano infatti voci d’argomento non spiccatamente virgiliano (come il caso sopra proposto di VI 157): errori di etichetta? Oppure sì marginalia virgiliani, che sono però estratti delle
Etymologiae (come abbiamo dovizia di esempi nei codici di Virgilio cum glossis pervenutici)?
43 Dello stesso tipo di quelli che, osservati da Funaioli negli Scholia Bernensia, nelle due
Explanationes e nella Brevis expositio (materiale scoliastico, sul quale cfr. Parte I, nn. 448-450), hanno
indotto il filologo a ipotizzare per i testi in questione la discendenza da un’originaria tradizione marginale (perpetuatasi peraltro negli Scholia Bernensia): «In qual maniera spiegare, se no, il disordine, l’arruffio, il perturbamento profondo, a cui le chiose soggiacquero, anche nella redazione priva di esemplare virgiliano?»; cfr. Funaioli 1930, pp. 61-72 (la citazione è di pp. 62-63).
Adsuete (-ti) siculis (silvis) ] Adsuete siculis P L
Il lemma tràdito, adsuete siculis, è con ogni probabilità un errore per adsueti silvis, l’espressione utilizzata da Virgilio ad Aen. 5,301 in riferimento ai due giovani trinacrii, Elimo e Panope, menzionati al verso precedente: ‘avvezzi alle selve’; ossia, come la glossa parafrasa, ‘sempre dediti alla caccia’, ‘cacciatori’. Se la forma adsuete, per adsueti, si spiega come una facile svista morfologica, la genesi della sostituzione di silvis con siculis non è chiara: le due lezioni non sono particolarmente vicine sul piano fonetico-ortografico, e a lasciar sorpresi è anche la sostituzione di un termine del tutto comune (quale appunto silvis) con un vocabolo molto meno usuale (Siculis). A mio avviso, la lezione siculis si può invece spiegare come interpolazione di una glossa (probabilmente sottoscritta, in un codice di Virgilio) al termine Trinacrii del verso precedente: Siculi – lezione adattata poi morfologicamente, una volta entrata a testo (adsueti + dativo): Siculis. Naturalmente, l’errore deve essere intercorso in un momento successivo alla creazione della glossa per adsueti silvis, che infatti si riferisce al lemma corretto.
b) interpolazione di una glossa in un’altra glossa. Ad es.,
AO 3 Aonias: amnis. Virgilius (georg. 3,11) «Aonio rediens deducam
vertice[m] Musas».
Aonio L ] Aonia P ; vertice[m] ] verticem P L
Aonias è in tutta probabilità una banalizzazione per Aonas, lemma di ecl. 6,65, attributo geografico dei monti (appunto, dell’Aonia – nome primitivo della Beozia) su cui una delle Muse guidò Cornelio Gallo44. La glossa è costituita da un locus parallelus, che mette a fuoco come Virgilio tratteggi l’investitura poetica di Gallo negli stessi termini e con gli stessi connotati che attribuirà alla propria (futura) investitura a poeta, a georg. 3,11, ossia sul Parnasso, monte in Beozia sacro alle Muse. Cosa c’entra, invece, la lezione amnis, ‘fiume’? La sua presenza in AO 3 si può ben giustificare come interpolazione di un’annotazione originariamente riferita a Permessi, fiume della Beozia
44 Del prestito greco Aones, ‘Àoni’ (gli abitanti dell’Aonia) Virgilio fa un irregolare uso aggettivale (evidentemente per ragioni metriche): Aonas dunque come Aonias, dall’aggettivo Aonius. La stessa banalizzazione c’è per es. già nel codice tardoantico cosiddetto ‘Romano’ (cfr. l’apparato di Geymonat 2008). Segnalo che, sul modello di Virgilio, troviamo poi lo stesso uso di Aonas come aggettivo da parte di Avieno, sec. IV (Arat. 66). Cfr. anche ThLL, vol. II, col. 204, rr. 49-50 e 52-53, s. v.
menzionato ad ecl. 6,64, ossia al verso immediatamente precedente a quello in questione. L’errore è perciò da ricondurre ad una fase di rilevamento del materiale glossografico da un codice di Virgilio cum glossis; in particolare, vista la collocazione di amnis nel testo di AO 3, ad incipit cioè della glossa, è verosimile che il termine amnis si trovasse sottoscritto a Permessi, e la citazione del locus parallelus invece nell’interlineo fra il v. 64 e il v. 65, comparendo fisicamente a seguito di amnis45.
c) errato accostamento lemma-glossa (“falso lemma”). Ad es.,
AM 110 Ambroseae (-si-) comae: ambroseum odorem, unguentum divinum.
Ambroseae (-si-) ] Ambroseae L Ambroseve P
Il sintagma ambrosiae comae svolge funzione di soggetto nella proposizione di Aen. 1,403: ambrosiaeque comae divinum vertice odorem / spiravere, ‘le chiome (di Venere) profumate di ambrosia spirarono dal capo un odore divino’. La spiegazione fornita da AM 110, però, sembra riferirsi propriamente, per contenuto e morfologia, al sintagma divinum odorem, complemento oggetto nella medesima proposizione. Parrebbe allora trattarsi di materiale prelevato da un codice di Virgilio cum glossis dove l’annotazione ambroseum odorem, unguentum divinum si trovasse scritta nell’immediata prossimità di ambrosiae comae; a trarre in inganno colui che ha rilevato il materiale, costruendo AM 110, forse anche la presenza dell’aggettivo ambroseus ad incipit della glossa.
d) fusione dell’unità correttamente formata da lemma e sua glossa con un altro lemma (o un altro interpretamentum) fisicamente prossimo (a detta unità) in relazione ai versi di Virgilio. Ad es.,
AV 309 Aurea pulchra: auro signatam stragulam vel vestem.
pulchra L ] pulcra P
Il testo tramandato dal Liber a lemma non è un’espressione virgiliana. L’Ed. propone in apparato che pulchra possa rappresentare un errore per fulcra, ricostruendo così un sintagma di Aen. 6,604 (i ‘sostegni d’oro’ di letti suntuosi), ma resta il problema che la glossa non ha alcuna relazione sensata con il lemma.
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Sull’errore in questione, già Mountford 1925, pp. 115-116, nr. 213. L’Ed. avanza invece in apparato altre congetture (poco convincenti) intorno al problematico incipit della voce, Aonias: amnis («an <Aonas> Aonias alias? an Aoniae omnes?»).
È verosimile, a mio parere, che aurea glossi pulchra, e auro signatam stragulam vel vestem sia invece glossa di un altro termine, chlamydem. Si noti infatti che nella poesia virgiliana le parole pulchra e chlamydem ricorrono a poca distanza fra loro, ad Aen. 11,774-775 (aureus ex umeris erat arcus et aurea vati / cassida; tum croceam chlamydemque sinusque crepantis), ed è dunque possibile pensare a un incidente intercorso in fase di rilevamento del materiale da un testimone di Virgilio cum glossis. In particolare, si osservi che nel testo virgiliano le parole aurea e chlamydem sono sì in due versi diversi, ma visivamente situate “l’una sopra l’altra”, dato che aurea è il penultimo termine del v. 774 e chlamydem il terzultimo del verso successivo (ricco di dattili, fisicamente perciò più “dilatato” rispetto al v. 774): idealmente, in un codice di Virgilio l’annotazione pulchra poteva essere sottoscritta, rispetto ad aurea (attributo dell’elmo del veggente Cloreo), trovandosi così in stretta prossimità (subito davanti) alla spiegazione di chlamydem.
AL 399 Alveo: cumba, navicula; <399a Sutilis:> hoc iuxta antiquum morem dixit quia coriis vel <s>parto contexabant et consuebant.
cumba P L ] cimba L2 ; <Sutilis> ] non hab. P L ; <s>parto ] parto L parco P
Il termine alveo ha più occorrenze nella poesia virgiliana, ma qui si tratta del vocabolo finale del v. Aen. 6,412, lo ‘scafo’ dell’imbarcazione di Caronte. Più che rappresentarne la glossa, è però a mio avviso verosimile che le parole cumba, navicula corrispondano ad un altro lemma virgiliano, cioè cumba, ‘barca’, la parola finale del verso successivo (Aen. 6,413), e relativa glossa, appunto navicula. Si tratterebbe allora di un caso di confusione nell’individuazione del lemma per la glossa navicula, riconducibile alla fase di rilevamento del materiale da un codice di Virgilio cum glossis; possibile, per es., che la spiegazione navicula si trovasse scritta sopra a cumba, cioè sotto a alveo. Alla fase suddetta sembra peraltro riconducibile il mancato riconoscimento del lemma sutilis, ‘intessuto di giunchi’ (attributo di cumba, in incipit al v. 414) per la glossa hoc iuxta antiquum morem dixit quia coriis vel <s>parto contexabant et consuebant, nel testo di AL 399 copiata infatti a seguito di navicula.
e) omissione del lemma. Ad es.,
AB 161 <Abibat:> abire coeptabat, ire incipiebat.
La voce porta l’etichetta Virgili, ma l’espressione trasmessa dai codici a lemma, abire coeptabat, non è virgiliana – nemmeno lo è ire incipiebat, per pensare eventualmente ad un ribaltamento lemma-glossa (procedimento sul quale cfr. infra, par. 7). Accolgo allora la proposta dell’Ed. che il testo trasmesso da AB 161 fosse originariamente spiegazione del verbo abibat di Aen. 2,382. Teoricamente, l’omissione del lemma può ben dipendere dal fatto che nei testimoni virgiliani cum glossis il lemma spesso non si trova ripetuto, davanti alla glossa; in questo caso, peraltro, la glossa è duplice e ciò potrebbe aver comportato un fraintendimento della sua prima metà come lemma.
f) frattura di un’unità (lemma e sua glossa) in due parti. Ad es., DU 130 Dum mea me victam doceat.
Dum mea me victam doceat ] Dum mea me: victam doceat P L
FO 282 <Dum mea me victam doceat> Fortuna dolore (-ere): dum meditatione
ipsa dolorem meum ferre discam.
<Dum mea me victam doceat> Fortuna dolore (-ere) ] Fortuna dolore P L
È evidente che le due voci costituiscono un’unità: DU 130 è solo lemma, che FO 282 ben completa, in termini sia di lemma sia di glossa; il riferimento è infatti alla proposizione temporale di Aen. 4,434, oggetto di parafrasi46. Il motivo della frattura sembra da ricondursi ad una situazione dove il testo si trovasse scritto su due righe diverse; ciò è in effetti verosimile in una situazione di marginalia, data la normale ristrettezza dei margini.
g) accorpamento di due unità. Ad es.,
BI 123 Biricuntia (Berecyntia): mater deum. <123a> Augustus Caesar divi genus: Caesarem Octavianum significat cui oblatum est si vellet Romulus dici; sed illi (-le) Augustus potius nomen maluit.
Biricuntia (Berecyntia) ] Biricuntia L Biricintia L2 Biricuncia P ; Caesar L ] Cesar P ; Caesarem L ] Cesarem P ; illi (-le) ] illi P illic L ille L2 ; maluit L
] malut P
46 L’Ed. ben segnala la condizione lacunosa tanto di DU 130 (ponendo un punto esclamativo al termine di DU 130) quanto di FO 282 (mediante l’integrazione), senza però cogliere la continuità fra le due voci, che avrebbe altrimenti potuto indicare perlomeno in apparato. Preciso infine che a DU 130 P e
L danno (fra me e victam, ossia fra le parole collocate in sede di lemma e quelle invece a glossa – vedi
BI 123 contiene due voci: la prima si riferisce ad Aen. 6,784 (felix prole virum; qualis Berecyntia mater) – diversamente dall’Ed., penserei sia possibile lasciare mater a lemma con Berecyntia (in P e L non è chiara la distinzione lemma-glossa): la glossa deum sarebbe di ordine suppletivo (tipologia di cui supra, par. 2). La seconda parte di BI 123 spiega invece l’espressione Augustus Caesar, divi genus di Aen. 6,792, con una glossa interpretativa improntata a Suet. Aug. 7,247. Fra i due loci virgiliani in questione ci sono ben sette versi, ma le relative glosse potevano ben trovarsi l’una accanto all’altra – motivo dell’errore di fusione attestato da BI 123 – in un manoscritto glossato di Virgilio48.
Nota bene: non possiamo sapere se i compilatori del LG si siano avvalsi direttamente di un codice glossato di Virgilio (anche più d’uno, come si vedrà al paragrafo seguente) – e allora, gli errori (da “raffazzonatore”49) or ora segnalati sarebbero di loro responsabilità –, oppure essi abbiano fatto uso di glossae collectae ex Vergilio, ossia di un manoscritto dove le note marginali a un testimone di Virgilio si trovassero già raccolte l’una di seguito all’altra – e allora, i compilatori del Liber erediterebbero gli errori in questione dalla loro fonte.