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Mårum, la località immersa nel bosco di Grib in cui lo skovrider Holten si trasferisce dopo aver lasciato Knuthenborg, rispetto a Bandholm si riconnetteva a una tradizione e a un milieu tipicamente danesi, quali essi ci appaiono nell’opera letteraria di Sophus Bauditz, cantore della skovridergaard e assiduo frequentatore della casa degli Holten nel bosco di Grib.135 In generale, la skovridergaard, non troppo diversamente dalla

præstegaard, era il simbolo della Danimarca legata alla stirpe e alla terra, intesa nel senso di

suolo in cui si abita e che quindi si possiede. Se, dunque, Knuthenborg costituiva, grazie all’attività salottiera del conte, una enclave della Capitale, a Mårum lo scenario e la condizione mutarono radicalmente. Espressione della Danimarca rurale popolata di carbonai, boscaioli e contadini, del tutto esente da istanze cosmopolite, quand’anche non segnata dalla presenza di predicatori itineranti, Mårum rappresentava un regno boschivo di cui lo

skovrider era, in assenza del Sovrano che ne era il legittimo proprietario, non solo il diretto

responsabile, ma pure una diretta emanazione del primo: unico responsabile di quanto accadeva nel bosco, l’agronomo forestale era l’unico a percorrere a cavallo la riserva boschiva, da cui il termine skovrider (composta da skov ‘bosco’ + ridder, letteralmente, ‘il cavaliere del bosco’), a differenza dei lavoratori dipendenti che dovevano percorrerla a piedi (da cui il termine skovløber, compost da skov + løbe, ‘camminare a piedi’).136 Lo skovrider, dunque, occupava una posizione che gli conferiva potere anche giuridico sul bosco e sui suoi abitanti, ponendolo tuttavia in totale isolamento rispetto agli abitanti del luogo nonché ai margini della vita sociale della capitale. A questa distanza, tuttavia, la famiglia dello

skovrider sopperiva sia tenendo una fitta corrispondenza che ricevendo visite, specie nei

mesi estivi, di parenti, amici e illustri conoscenti, giunti dalla capitale e non: oltre al noto Sophus Bauditz, figura su cui ritorneremo diffusamente nel corso del presente lavoro, una testimonianza epistolare racconta di una relazione, non sappiamo quanto diretta, tra il giovane skovrider Nicolai Holten e lo stesso H. C. Andersen.137 Lo scrittore danese era

135 Si veda Odd Steenberg, Marie Gamél, cit., p. 1; idem, Forstråd Nicolai Holtens Slægt, cit., p. 4. 136 Si vedano i lemmi Skovrider e Skovløber in ODS, cit., rispettivamente URL https://ordnet.dk/ods/ordbog?query=skovrider (ultimo accesso 24.10.2019) e URL https://ordnet.dk/ods/ordbog?query=Skovl%C3%B8ber+ (ultimo accesso 24.10.2019); si veda inoltre Gerda Moth Greve, Mårum gamle skovridergaard og livet som det var dengang, cit., p. 97.

137 Si veda la lettera inviata al giovane Skovrider Nicolai Holten da H. C. Andersen in data 13 giugno 1851: di essa, che allo stato attuale risulta perduta, si fa menzione in uno dei diari dello scrittore, che era solito annotare scrupolosamente la propria corrispondenza in entrata e in uscita: cfr. (Holten, Nicolai), Lettera di Nicolai Holten a H. C. Andersen, 24828 in SDU, H. C. Andersen Centret/The

Hans Christian Andersen Center, URL

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inoltre legato alla famiglia Holten da ulteriori vincoli di amicizia e affetto, come dimostra il racconto I fiori della piccola Ida (Den lilla Idas blomster), dedicato a ‘una’ Holten, Ida Holten Thiele (1830-1863).138 Alla morte precoce della madre, Ida (protagonista del racconto) e la sorellina Hanne vissero presso i nonni materni a Copenaghen, trascorrendo le estati nella riserva di Lindegården, non lontano da Mårum, ove il nonno Nicolai Abraham, che condivideva con lo skovrider Holten lo stesso tipo di interessi economici, aveva allestito un grande vivaio di piante verdi e da frutto, e, soprattutto, un parco impregnato di romantica bellezza: dati i legami parentali e la vicinanza dei posti, è presumibile pensare che Marie Gamél abbia frequentato, durante la propria fanciullezza, anche Lindegården.139

Proprio in riferimento al luogo di nascita di Marie Gamél, e alla luce di queste considerazioni, come anche della produzione dell’Autrice attualmente in nostro possesso, appare significativo come sia questa la Danimarca di cui ella presceglie di dare una rappresentazione letteraria, tarda certo, e forse proprio in ragione di questo velata di nostalgia, e descritta con toni di alto lirismo: di questo mondo ella cercherà e ritroverà le tracce negli antichi boschi dell’Appennino toscano, nelle foreste dell’Umbria come dell’incontaminata Sardegna primonovecentesca. Il bosco di Grib, sebbene non lontano geograficamente da Copenaghen, lo è in senso temporale: esso rappresenta già un microcosmo fiabesco, un regno che solo lo skovrider Holten percorre a cavallo, e dove la vita segue i ritmi lenti e sempre uguali a se stessi delle stagioni e dei lavori, da intendere qui nel senso esiodeo di ‘opere’: un regno che presenta già in un modo naturale e proprio il carattere fiabesco dell’indeterminatezza cronologica, specie se, in una prospettiva emica, ci

138 Den lille Idas blomster in H. C. Andersens eventyr. Tekst efter DSL-Udgaven 1963-67, ved Erik Dal og Erling Nielsen, in H. C. Andersen 1805-1875/H. C. Andersens eventyr, in DKB, URL http://wayback-

01.kb.dk/wayback/20101103141248/http://www2.kb.dk/elib/lit//dan/andersen/eventyr.dsl/hcaev004. htm (ultimo accesso 12.12.2019). Per la versione italiana della fiaba si veda Andersen. Tutte le fiabe, Introduzione e cura di Kirsten Bech. Traduzioni di Kirsten Bech, Maria Pezzé Pascolato e Giuliana Pozzo. Edizioni Integrali, Newton Compton Editori, Roma 2018, pp. 30-34, edizione utilizzata da chi scrive: nel corso del presente lavoro e in relazione alle fiabe di Andersen, ove non diversamente segnalato, si fa riferimento a questo testo citandolo con la dicitura Andersen. Tutte le fiabe. Holten era intimo amico dello scrittore danese, e nel suo libro Dai diari della mia vita (Af mit Livs

Aarbøger) ricorda il primo incontro con lui: a sua volta, H. C. Andersen fece di Thiele un ritratto a

matita, annotando nei suoi diari alcuni momenti di vita comune. Si veda inoltre il sito della mostra La

piccola Ida e gli Holten (Den lille Ida og Holtensslægten), allestita da Anette Tonn-Petersen nel 2001

presso il Museo e Archivio Locale di Bramsnæs, non lontano dalla tenuta holteniana di Lindegården, in Bramsnæs Lokalhistoriske Forening, URL http://www.bramsnaeslokalhistorie.dk/Holten-lille-ida- 2006/index.htm (ultimo accesso 25.01.2018). Su Ida Holten si veda Linie III., Linie III-Efterkommere

af Direktør, Øresunds Toldkammmer Nicolai Abraham von Holten, cit., p. 16.

139 Su Lindegaarden scriverà un libro di ricordi la pittrice Sophie Holten, figura legata a Johannes Jørgensen e ai Danesi cattolici: cfr. Lindegaarden. Erindringer. Tillæg til Medlemsblad for Slægtsamfundet Holten. Særtryk af Historisk Samfunds Aarbog, Roskilde, 1925 (non vi si nomina la nostra autrice); su Sophie Holten, cfr. supra, p. 45; p. 45, n. 96.

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si pone nell’ottica del raffinato rappresentante della cultura e della società borghese, che aveva il suo centro nella città, Copenaghen.140

Dopo la visita mattutina al bosco, lo skovrider sbrigava, nel proprio ufficio situato all’interno della grande casa settecentesca in cui vive con la numerosa famiglia e la servitù, le mansioni burocratiche, ricevendo i dipendenti e dirimendo i contrasti sorti tra loro. Dopo il pranzo, descritto con puntualità dalla figlia nel già citato ricordo Dalla riserva di

Mårum (Fra Maarum Skovridergaard), egli si dedicava al riposo e alla lettura. Appassionato

di letteratura straniera e studioso di sanscrito, Nicolai Holten curava personalmente l’educazione dei propri figli, esigendo da loro che imparassero il Plattdeutsch attraverso i romanzi dello scrittore tedesco Fritz Reuter, un autore che, accanto a Otto Ludwig, rappresenta secondo Ladislao Mittner un “Biedermeier post quarantottesco […], inseparabile dal primo”: a questo Biedermeier deve essere ricondotta, se non proprio la vita che la Marie Gamél fanciulla conduce nel bosco di Grib, almeno la rappresentazione letteraria che ella presceglie di darne.141 Si tratta di un mondo fatto di piccole cose e rituali tutti domestici, descritti minuziosamente e con una vividezza che ricorda le rappresentazioni pittoriche dell’epoca. In questo clima di chiusura introspettiva all’interno del piccolo bosco e della propria casa, il momento più importante era quello del pranzo, consumato in un ossequio quasi religioso, anche quando le pietanze servite erano quelle della cucina povera, quali la “crema di latticello e il pesce arrosto”.142 Dopo un’accurata toeletta lo skovrider sedeva a tavola, circondato dai figli che, puliti, composti e cambiati, lo ascoltavano in rispettoso (è la stessa autrice a sottolinearlo) silenzio, mentre egli raccontava loro le storie accadute nel bosco nel corso della mattinata appena trascorsa.

Presumibilmente, dunque, con la mente rivolta a quelle storie e agli aneddoti che il padre raccontava a tavola, la futura autrice sceglie di scrivere articoli quali Tanto tempo fa (Længe siden) e Figure e consuetudini dal regno dei carbonai (Skikke og Typer fra

Kulsvieregnen); negli anni della propria vecchiaia, quando visiterà le case dei nipoti delle

sorelle e dei fratelli, Marie Gamél seguirà l’esempio paterno, rivelandosi mai avara di storie

140 È Gerda Moth Greve a porre l’accento sulla distanza culturale e sociale che separa la famiglia dello skovrider dalla gente di Mårum: cfr. Gerda Moth Greve in Mårum gamle skovridergård og livet

som var dengang, cit., pp. 97-107, qui p. 97. Per la prospettiva emica con cui si è guardato

all’oggetto della presente ricerca, cfr. pp. 24-25, n. 51.

141 Marie Gamél n. Holten, Dalla riserva boschiva di Mårum, cit., pp. 24-25. Per Fritz Reuter (1810- 1874), massimo scrittore dialettale della letteratura tedesca e uno tra i suoi più grandi umoristi, si veda Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca, III. Dal realismo alla sperimentazione (1820-

1970). Dal Biedermeier al fine secolo (1820-1890), Tomo II, Torino, Einaudi, 1971, pp. 571-577.

142 Kærnemælkssuppe og stegt Flæsk”: si veda Marie Gamél n. Holten, Dalla riserva boschiva di

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da raccontare, un aspetto che la rendeva un’ospite particolarmente gradita, specialmente ai bambini.143 Odd Steenberg, che era tra questi, così la ricorda:

“Nella mia casa dia bambino, sul Lungomare di Østerbro, ricevevamo di domenica pomeriggio tante visite di parenti, e tra questi uno molto amato era zia Marie, la zia materna di mio padre. Quando dopo pranzo ci si sedeva per il caffè, noi bambini la assillavamo perché ci raccontasse dei vecchi tempi. E come sapeva raccontare! Della vita nella riserva boschiva di Mårum, dei boscaioli nel bosco di Grib, delle sue avventure e dei viaggi in Italia.”144

Il momento del caffè, solenne in Danimarca e qui descritto da Steenberg, si ripete nella rievocazione che l’autrice fa della sua vita da bambina contenuta nello scritto in ricordo del padre Dalla riserva boschiva di Mårum; si tratta di un momento di continuità con la cultura e con la tradizione domestica danese che lega due epoche a distanza di circa 80 anni: è “la stessa madre a prepararlo seduta tranquilla dietro al macinino” (Moder lavede selv

Kaffen, sad stille bag Maskinen), mentre il padre, terminato il pranzo, si reca nel salotto

(Dagligstuen), per sdraiarsi sulla cislonga circondato dagli amati bassotti: è un interno Biedermeier.145

Parlare di Biedermeier in riferimento al momento storico cui Marie Gamél nasce e cresce, almeno sino al momento in cui, da sposata, ella lascia la campagna per recarsi in città, può risultare fuorviante e quanto meno anacronistico, a meno che non si tenga presente

143 Marie Gamél n. Holten, Usanze e figure dal regno dei carbonai, cit., pp. 7-8, e Maria Gamél n. Holten, Tanto tempo fa, cit., pp. 249-254.

144 [I mit barndomshjem på Strandboulevarden på Østerbro havde vi ofte besøg af

familienmedlemmer søndag aften, og en kærkommen gæst var Tante Marie, min fars moster. Når vi sad ved kaffen efter middagen, plagede vi børn hende til at fortælle om gamle dage. Og som hun kunne fortælle! – Om livet i skovridergården i Mårum, om kulsvierne i Grib Skov, om særlingene på egnen og om sine rejser til Italien]: Odd Steenberg, Marie Gamél, cit., p. 1.

145 Sull’importanza del caffè per la cultura danese di veda infra, p. 64, p. 64, n. 148. Sul salotto Biedermeier quale “luogo in cui ci si ritira a bere il caffè o fumare la pipa”, cfr. Leonello Vincenti, voce Biedemeier (1930) in EITO, cit, URL http://www.treccani.it/enciclopedia/biedermeier_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (ultimo accesso 23.11.2017). Quanto alla cislonga, o sislunga, parola italiana rara adattata da chaise longue (in danese chaiselong(e), nel testo holteniano Chaiselonguen), essa costituiva il pezzo più pregiato del salotto in stile Impero, cui lo stile Biedemeier si ricollegava, e consisteva in una poltrona allungata e dotata di un unico appoggio per la testa: cfr. lemma Chaiselong(ue) in ODS, cit., URL http://ordnet.dk/ods/ordbog?query=Chaiselongue (ultimo accesso 23.11.2017). Il bassotto (in danese

gravhund, qui nella forma (plurale) Gravhunde) era cane prediletto dall’aristocrazia e alta borghesia,

specialmente austriaca e tedesca, per la sua capacità di stanare e penetrare nelle tane (grav), che lo rendeva animale particolarmente adatto alla caccia alla volpe, ai tassi e agli animali da tana in genere: cfr. Sandra and Harry Choron, Planet Dog. A Doglopedia, Houghton Mifflin Company, Boston-New York 2005, p. 166. Per la sua connessione con la caccia, oltre che per le piccole dimensioni, il bassotto divenne uno dei soggetti prediletti dell’arte Biedermeier, specie ceramica.

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il particolare momento storico che la Danimarca viveva a seguito della perdita dello Schleswig, dello Holstein e del Lauenburg, sancita dalla pace di Vienna il 30 ottobre del 1864, che sanciva la fine della guerra prussiano-danese (Slevisgske Krig) in corso dalla prima metà del XIX secolo. A seguito di questa perdita, Enrico Mylius Dalgas (1828-1894), fondatore e direttore nel 1866 della Società Danese per la Terra (Hedeselskabet) aveva coniato per l’occasione il celebre motto “Ciò che si perde all’esterno, lo si deve riacquistare all’interno” (Hvad udad tabes, skal indad vindes”), ancora oggi noto e caratteristico del sentire danese. Da quel momento, la ‘danesità’ (danskheden) divenne un concetto cruciale per il sentire danese, mentre quello di ‘nazione danese’ andò progressivamente sostituendosi a quello di ‘stato’ e ‘regno’, gli unici che fino a quel momento avevano effettivamente contato. Se si tiene dunque conto della lezione mittneriana sul Biedermeier nella cultura tedesca (allo specchio della letteratura), per cui esso rappresentò un atteggiamento di raccoglimento interno a seguito della sconfitta degli ideali di rinnovamento propugnati dalla Rivoluzione Francese, possiamo immaginare che un clima analogo si sia diffuso in Danimarca a seguito della perdita dello Schleswig, dello Holstein e del Lauenburg.146

Adottare qui la categoria mittneriana di “Biedermeier postquarantottesco” ci permette dunque di comprendere l’importanza data alle piccole cose, ai piccoli rituali domestici, agli oggetti di casa, specie all’interno, quali essi emergono in particolare nel ricordo che Marie Gamél fa del padre, e, attraverso il filtro del di lui ricordo, della vita nella riserva di Mårum.

E della casa di Mårum scorgiamo non solo l’interno, ma ogni particolare dei suoi interni: la “tovaglia finemente damascata della nonna” (Bedstemoders fine Damaskes

Duge); la “grande zuccheriera d’argento” (den store Sølvsykkerskaal); la “robusta brocchetta

per la panna” (den vældige Flødekande); l’agrippina (Chaiselonguen) su cui lo skovrider “si distendeva circondato dai suoi bassotti” (strakte sig […] omringet af sine Gravhunde),

146 Si veda Gerda Moth Greve, Mårum gamle skovridergård og livet som var dengang, cit., pp. 99- 100 e Andreas Bisgaard Hansen, Hvad udad tabes, skal indad vindes, in «Kristeligt Dagblad» 24 nov. 2004, URL http://www.kristeligt-dagblad.dk/historie/hvad-udad-tabes-skal-indad-vindes (ultimo accesso 31.08.2016). Per la Guerra dello Schleswig, si veda Aldo Romano, voce Prussiano-Danese,

Guerra, in EITO, cit., URL http://www.treccani.it/enciclopedia/guerra-prussiano- danese_(Enciclopedia-Italiana)/ (31.08.2016). A Erik Lunding (1910-1981), docente di letteratura tedesca presso l’Università di Copenaghen, si deve l’introduzione del concetto Biedermeier in Danimarca e la sua applicazione nell’ambito della letteratura danese del XIX sec.: cfr. Bengt Algot Sørensen, voce Erik Lunding in DSD, cit., URL http://denstoredanske.dk/Dansk_Biografisk_Leksikon/Kunst_og_kultur/Litteratur/Litteraturforsker/E rik_Lunding (ultimo accesso 24.10.2019).

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mentre “noi giovani sedevamo intorno e assaporavamo, consapevolmente o meno, la profonda pace che ammantava quella stanza d’altri tempi.”147

L’agrippina, mobile prezioso che denotava l’alto lignaggio e la cultura cittadina dell’agronomo di corte, costituiva l’epicentro fisico di un momento fortemente significativo nella vita famigliare del tempo, quello del caffè: un momento che, come nota l’etnologa danese Gerda Moth Greve, “era da un punto di vista emozionale e simbolico il santo culmine del giorno, appena superato dalla sera della Vigilia di Natale”.148

La casa dello skovrider garantisce il legame con la terra danese, nello stesso modo in cui la casa del prete (præstegaard) simboleggia la continuità col protestantesimo, le due anime fondanti della Danimarca del tempo; al contempo, questi due luoghi garantiscono la

147 [...vi unge sad rundt om i Stuen og nød, bevidst eller ubevidst, den dybe Fred, der hvilede over den

store gammeldags Stue]: Marie Gamél n. Holten, Dalla riserva boschiva di Mårum, cit., p. 23.

148 [“Kaffeen” var følelsesmæssigt og simbolsk dagens hellige højdepunkt, kun overgået af juleaften]: Gerda Moth Greve, Mårum gamle skovridergård og livet som var dengang, cit., p. 103: questa è la ragione per cui ai bambini della casa non era consentito, durante il momento del caffè, entrare e uscire, una regola non scritta cui tutti gli abitanti, compresi gli ospiti e i visitatori, si uniformavano tacitamente: [i den Time “Kaffen” varede, maatte der ikke løbes ud og ind […] alle, som kom paa

Besøg rettede sig uvilkaarligt efter den, som efter de andre af Husets Skikke]: cfr. Marie Gamél n.

Holten, Dalla riserva boschiva di Mårum, cit., p. 23. Nei paesi scandinavi, in controtendenza con il resto d’Europa, furono le donne a distinguersi quali prime consumatrici della bevanda. Tralasciando il caso della Finlandia, che pure non è un paese scandinavo ma dove il caffè a partire dal 1870 svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della condizione sociale femminile, ci limitiamo qui al caso danese, ricordando che il caffè era sin dall’Illuminismo divenuto parte della cultura domestica femminile, primariamente perché lo si offriva ai propri ospiti durante le visite di cortesia: cfr. cfr. Dannie Kjeldgaaard, Andrea Hemetsberg Lisa Pichler, Harri Luomola, Dania Mastrangelo, Jacob Östberg, and Maria Pecoraro,“Revisiting the Euroconsumer: Transnational History of European

Coffe Consumption”, in E-European Advances in Consumer Research Volume 9, eds. Alan

Bradshaw, Chris Hackley, and Pauline Maclaran, Duluth, MN: Association for Consumer Research, pp. 367-372, p. 369 (la citazione è tratta da Jakob Andersen, Livet er Ikke det Værste Man Har.

Kaffens kulturhistorie i Danmark 1665-2015, Gyldendal, København 2007, testo che chi scrive non

ha consultato). Holberg, illuminista, la considerava bevanda eminentemente femminile in contrapposizione alla birra propria dell’uomo: ibid., p. 369; inoltre, le qualità corroboranti della bevanda la rendevano particolarmente gradita all’etica protestante del lavoro, improntata ai valori della chiarezza della mente, della sobrietà e della fatica, che erano anche le virtù del perfetto credente: ibid. p 369. In Danimarca, come pure in altri paesi nordici quali la Svezia, il caffè ha dato origine a un lessico del caffè esclusivamente al femminile: si pensi soltanto a parole quali

jordemoderkaffee (lett. ‘levatrice del caffè’), a indicare un caffè molto forte, simile a quello servito

alle partorienti) e kaffesøster (‘sorella del caffè’, una donna che beve grandi quantità di caffè): cfr. le voci jordemoderkaffee e kaffesøster in ODS, rispettivamente URL http://ordnet.dk/ods/ordbog?query=Jordemoderkaffe (ultimo accesso 31.08.2016) e URL http://ordnet.dk/ods/ordbog?query=Kaffes%C3%B8ster (ultimo accesso 31.08.2016); si veda inoltre la parola svedese kaffemoster (‘zia del caffè’), che denota una donna veramente dipendente dalla bevanda: voce Kaffe in SAOB, URL http://g3.spraakdata.gu.se/saob/ (ultimo accesso 31.08.2016). Sulla diffusione nell’Europa del XIX sec. del macinino, utilizzato dalla madre della nostra autrice per preparare il caffè, e di altri strumenti atti a produrre il caffè in casa, si veda Annerose Menninger,

Genuss im kulturellen Wandel. Tabak, Kaffee, Tee und Schokolade in Europa (16.-19. Jahrhundert),

«Beitrage zur Wirtschafts- und Sozialgeschichte» 102, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2001, in particolare pp. 313-352.

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trasmissione di quei valori e la perpetuazione dei legami all’interno della medesima stirpe, lo

Stamme, in una ritualità che si estrinseca proprio attraverso precisi rituali e si incarna anche

negli oggetti di piccoli dimensioni, quali quelli descritti così minuziosamente dalla nostra autrice.149

Agli occhi della figlia e dei personaggi colti che frequentavano la sua casa, Bauditz in primis, Nicolai Holten rappresentava compiutamente l’ideale poetico di una Danimarca antica e pacifica, conchiusa in un autocompiacimento boschivo e sicura della propria grandezza e delle proprie ‘radici’; agli occhi degli abitanti della riserva, da lui lontani culturalmente e socialmente, lo skovrider appare come un eccentrico, sovente ricordato per un gusto quasi sadico dello scherzo ai propri dipendenti (Alfred Andreasen); infine, agli occhi dei suoi pari, gli educati e colti visitatori della città, egli è persona elegante, che si è ritirata in un suo proprio refugium ove pure continua a distinguersi per la sua arguzia e i