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Le esportazioni dirette

3.2.2 Modalità d’entrata contrattual

Quando si decide di operare in mercati complessi, distanti culturalmente e con elevate barriere all’entrata (sia a livello istituzionale/governativo che sotto il profilo competitivo) può rivelarsi una scelta prudente quella di avvalersi di una collaborazione di lungo periodo con un partner locale; in tal modo il rischio dell’investimento viene condiviso tra i partner che aderiscono all’accordo e che beneficiano reciprocamente dei rispettivi punti di forza, compensando nello stesso tempo gli elementi di debolezza.

Tali accordi possono essere di tipo:

- equity: quando prevedono la costituzione di un’unità organizzativa nella quale i partner condividono il capitale sociale (es: joint venture);

- non equity: ovvero contrattuali, quando cioè non vi è investimento in capitale di rischio.

                                                                                                               

97 Geringer J.M (1991), “Strategic determinants of partner selection criteria in international joint ventures”, Journal of International

Business Studies, 22:41-62

Fig.5- Principali modalità d’entrata contrattuali

Il licensing internazionale

Con questa tipologia di entrata contrattuale, un soggetto operante in un paese (licenziante- licensor) cede a un altro soggetto estero (licenziatario- licensee) i diritti legati ai prodotti di sua proprietà ovvero concede, in cambio del pagamento di un compenso (royalties), lo sfruttamento economico della tecnologia, del marchio, del brevetto oppure di altri diritti legati alla proprietà intellettuale (processo produttivo, immagini, personaggi, ecc.). Se l’obiettivo dell’impresa licenziante è quello di sviluppare la sua presenza nel mercato estero dove opera il licenziatario, viene dato anche il diritto di commercializzare il prodotto realizzato localmente, fornendo spesso assistenza e supporto in termini di marketing. Tale scelta è in alcuni casi anche obbligata dal fatto che il Paese estero pone dei limiti alle importazioni, al rimpatrio dei profitti, oppure impone all’azienda estera l’utilizzo di partner locali.

Vantaggi99: il licenziante, che nel nostro caso specifico sarebbe l’azienda italiana desiderosa di operare in territorio straniero, riceve delle royalties senza dover fare particolari investimenti; questo rende il licensing internazionale particolarmente attrattivo per le piccole e medie imprese che vogliono crescere nei mercati esteri. Sia nel caso della cessione di utilizzo del marchio che nel trasferimento della tecnologia, è, infatti, il licenziante a investire nel business assumendosi un significativo rischio di impresa. Un altro vantaggio, non di poco conto, è la possibilità di affidarsi a un partner che conosce meglio dell’azienda le caratteristiche del mercato locale,

                                                                                                               

99 Hollensen S. (2011), Global Marketing: a decision oriented approach 5° Ed.

Hill J.S (2009), International business: managing globalization, Sage, Los Angeles Ghauri P.N.,Cateora P. (2010), International Marketing, 3th ed. McGraw-Hill, London

dispone già di una rete distributiva avviata e può suggerire utili adattamenti fin dalla fase produttiva.

Rischi100: alla scadenza del contratto di licenza, il licenziatario può aver acquisito, e le imprese

cinesi sono abili in questo, le competenze e conoscenze tecnologiche tali da diventare un temibile concorrente per l’impresa licenziante. Un secondo rischio riguarda il controllo; se è vero che il contratto di licenza implica una stretta collaborazione tra i partner, è anche altrettanto vero che il partner estero rimane un soggetto del tutto indipendente con una forte autonomia decisionale. Vi è quindi sempre il rischio di perdere il controllo nel mercato finale (es: mettere a rischio il posizionamento d’immagine dell’impresa e la coerenza con le strategie di marketing sviluppate in altri paesi, in coerenza con le strategie di marketing sviluppate in altri Paesi) o, comunque, di non sfruttare il reale potenziale di vendita del proprio marchio (es: insufficiente valorizzazione).

 

Il franchising internazionale

Attraverso questa tipologia di entrata contrattuale l’azienda franchisor concede ad alcuni imprenditori indipendenti localizzati nel Paese estero, i franchisee, i diritti di utilizzazione della propria formula commerciale, del know-how e dei processi organizzativi e di marketing. Oltre alla fornitura dei prodotti, il franchisor deve garantire al franchisee un supporto strategico di ampio respiro, che comprenda la consulenza commerciale, il trasferimento del know-how e il supporto tecnico necessari per la realizzazione del progetto.

In cambio riceverà una fee d’ingresso e delle royalties che possono essere diversamente strutturate secondo la tipologia di contratto. È quella che si può definire una relazione win-win, dove il franchisor ha il vantaggio di espandersi nel mercato estero sostenendo un rischio relativo e un basso investimento, mentre il franchisee gode di un brand e un know-how già consolidato e di successo.

In generale il franchising rappresenta una delle modalità d’entrata più diffuse per crescere nei mercati internazionali, perché consente il mantenimento di un elevato controllo sul posizionamento dell’impresa.

Con particolare riferimento al mercato cinese, la seguente strategia di entrata non è ancora molto diffusa; rappresenta, infatti, un modello di business di nuova concezione in quanto è stato autorizzato solo dal 2004 e, fino al 2007, si richiedeva al franchisor la gestione di almeno due punti vendita in Cina per almeno due anni, prima di poter attivare una rete distributiva. Oggi la normativa si è semplificata ma, rimanendo la regolamentazione in costante evoluzione, le aziende preferiscono non trovarsi nella situazione di veder modificati i propri diritti.

                                                                                                               

100 Somaya D., Kim Y., Vonortas N.S. (2011), “Esclusivity in licensing alliances: using hostages to support technology commercialization”, Strategic Management Journal, 32,2:159-186

Piggy back

Tale accordo, prevede che l’azienda (rider) si internazionalizzi inserendo i suoi prodotti nel sistema distributivo di un’altra azienda (carier), che vende nel mercato estero prodotti complementari e che può essere localizzata sia nel mercato domestico che in quello di esportazione101.

Il piggy back si presenta molto interessante soprattutto per le piccole e medie imprese che operano in settori di nicchia con prodotti di alta gamma. Se da un lato quindi, la dimensione limitata rappresenta una barriera all’investimento estero in termini di risorse sia finanziarie sia umane, dall’altro queste aziende hanno la necessità di controllare la loro immagine per rafforzare la competitività a livello internazionale102.

Questo obiettivo è difficilmente raggiungibile tramite altre forme di esportazione o di collaborazione, invece con il piggy back si rende possibile, consente anche di mantenere il proprio marchio originale e di esercitare un buon controllo sul canale distributivo in cui il prodotto è inserito.

Il management contract

Questa tipologia di contratto prevede che il proprietario dell’immobile o della catena di negozi (situati in terrirorio cinese) affidi la gestione a un’azienda estera, dotata di esperienza commerciale e gestionale, di tecnologia e di risorse umane preparate, con l’obiettivo di rendere l’attività profittevole e redditizia (azienda italiana nel nostro caso). In pratica, l’azienda estera gestisce l’attività produttiva/commerciale già in precedenza costituita e finanziata dall’investitore locale. Se da un lato vi è quindi il vantaggio di mettere in gioco le proprie competenze e il proprio marchio senza dover sostenere il rischio di un investimento finanziario amministrativo oneroso (ottenimento di licenze, permessi, ecc), dall’altro per l’azienda estera non vi è una garanzia d’investimento di lungo periodo perché la proprietà, a scadenza del contratto, potrebbe sempre riprendersi la gestione dell’attività103.

I contratti turnkey

Con questo contratto l’impresa entra nel mercato estero realizzando uno stabilimento produttivo/punto vendita/hotel, dotandolo di tutte le caratteristiche per renderlo operativo e assumendo, in molti casi, anche la gestione iniziale in modo da poterlo consegnare funzionante all’investitore locale, ad esempio cinese, che acquisisce la gestione diretta della struttura.

                                                                                                               

101  Albaum  G.,  Duerr  E.,  Strandskov  J.  (2005),  International  Marketing  and  Export  Management,  5th  Edition,  Prentise  Hall,  

Upper  Saddle  River,  NJ.  

102  Varaldo  R.,  Dalli.,  Resciniti  R.,  Tunisini  A.  (2009),  Un  tesoro  emergente.  Le  medie  imprese  italiane  all’era  globale,  

FrancoAngeli,  Milano  

Dalla parte dell’acquirente locale il vantaggio è di beneficiare dell’esperienza e delle competenze (tecnologiche, produttive e organizzative) dell’azienda straniera; per quanto riguarda quest’ultima, vi è l’opportunità di valorizzare nel mercato estero le esperienze precedentemente acquisite nel mercato domestico e/o internazionale di vendere i propri prodotti e di instaurare relazioni consolidate a livello locale. Solitamente i progetti turnkey sono di dimensioni rilevanti, come avviene nel caso di aeroporti o raffinerie e l’investitore è spesso rappresentato da un ente governativo.

 

Il contract manufacturing

Il contratto prevede che un’impresa affidi la produzione del prodotto o di alcune sue parti a un’azienda estera. In Cina succede spesso che la delocalizzazione è fatta con lo scopo di reimportare la produzione con l’obiettivo di sfruttare il basso costo del lavoro; altre volte la delocalizzazione è finalizzata alla successiva vendita nel mercato estero, quindi ai bassi costi si aggiunge anche l’opportunità di ottenere altri vantaggi quali la riduzione significativa dei costi di trasporto o l’eliminazione dei dazi doganali. Il contract manifacturing può essere, infatti, funzionale alla vendita nel mercato cinese, poiché consente di ridurre il prezzo finale adattandolo al potere d’acquisto dei consumatori locali. In tale prospettiva, l’azienda che ha esternalizzato la produzione, chiamata contractor, mantiene il controllo delle attività di marketing e distribuzione, ma affronta un rischio rilevante dal punto di vista della qualità e del contesto produttivo104. È vero, infatti, che se da un lato c’è il vantaggio di non investire nella produzione, dall’altro le esperienze negative di aziende come Nike che si sono trovate davanti a siti produttivi dove le condizioni di lavoro erano inaccettabili, evidenziano l’esistenza di numerose criticità. Allo stesso modo però, se la scelta del fornitore si rivela quella giusta, è possibile raggiungere alti livelli di successo; esempio è il produttore italiano di peluche e giocattoli Trudi. Quest’ultima azienda non vende in Cina, ma vi è presente con un ufficio a Hong Kong per controllare più da vicino il network di fornitori; Trudi oggi realizza in Cina il 100% della produzione tramite accordi di contract manufacturing105.

 

Contratti di assembly e OEM

Questi contratti riguardano la sfera tipicamente produttiva, ma vale la pena accennarli perché molte aziende italiane li utilizzano attivando un primo contatto con il mercato cinese.

Contratto assembly: l’azienda manda all’estero i componenti del prodotto che sono assemblati o trasformati per poi essere restituiti per la successiva commercializzazione.

                                                                                                               

104 Keegan W.J., Green M. (2008), Global Marketing, 5 Ed. Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ 105 www.trudi.com

Original Equipment Manufacturer: l’azienda acquista da un partner estero il “prodotto originale” per poi rifinirlo e rivenderlo come proprio, essendo quindi produttore ufficiale nel mercato.