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Modalità di entrata con investimenti diretti ester

Le esportazioni dirette

3.2.3 Modalità di entrata con investimenti diretti ester

La modalità di entrata con investimento diretto estero (IDO) rappresenta la scelta più rischiosa ma allo stesso tempo più adatta alle aziende che vogliono crescere nel mercato cinese attraverso un presidio completo delle proprie attività: presidiare viene inteso nel senso di sfruttare e difendere i propri vantaggi competitivi e operare in prima persona nelle attività produttive e/o commerciali.

Le tipologie alternative d’investimento diretto nel mercato cinese possono essere106:

• joint venture di tipo equity (EJV): sono società a capitale misto, a responsabilità limitata, costituite da almeno un soggetto straniero (individuo o persona giuridica) e da una persona giuridica cinese che spesso è rappresentata da un’azienda statale o, comunque, controllata dal governo cinese. Le società che creano la joint venture si definiscono società genitrici, poiché costituiscono una società terza che, a differenza della joint venture contrattuale, assume una propria individualità creando un’entità separata;

• joint venture contrattuali o alleanze strategiche (CJV): vengono costituite tramite contratto tra le controparti cinese e straniera, per svolgere assieme progetti di diverso tipo: tecnologico, produttivo, distributivo o di marketing. Un esempio è l’alleanza stipulata tra Geox e Belle International per l’apertura di punti vendita monomarca in Cina. Le CJV assumono forma solamente contrattuale, non vedono quindi la nascita di una persona giuridica nuova e quindi le parti rimangono illimitatamente responsabili per le obbligazioni assunte.

Sia le EJV che le CJV possono essere:

1. orizzontali: quando due o più aziende di un settore vogliono sviluppare un brevetto o una rete di negozi;

2. verticali: quando le aziende appartengono a settori diversi;

3. upstream: la collaborazione tra i partner avviene all’origine della catena del valore;

4. downstream: sono coinvolte le attività a valle della catena del valore (es: la distribuzione);

                                                                                                               

106 Wang Y. (2008), Contractual joint ventures in China: formation, evolution and operation, Nova Science Publishers, New York.

Keegan W.J., Green M. (2008), Global Marketing, 5 Ed. Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ  

• società a totale capitale straniero (WOFE-Wholly Foreign Owned Enterprises) o con quote di partecipazione di minoranza (< al 50%) o di maggioranza (> al 50%): autorizzate nella Repubblica Popolare Cinese solo dal 1986, quando per investire, bisognava appoggiarsi sempre a un partner cinese, la normativa si è progressivamente snellita. L’investimento può essere realizzato tramite start-up, quindi con la creazione da zero di una nuova azienda, oppure tramite acquisizione di un’azienda già esistente. Se da un lato la scelta di una WOFE sconta un maggiore impegno in termini d’investimento e di rischio, dal punto di vista strategico rappresenta la scelta più efficace e di lungo periodo in quanto vi è un controllo complessivo di tutte le attività della catena del valore che l’impresa ha deciso di delocalizzare nel mercato cinese. Si può optare per la creazione di un’azienda controllata al 100% che decide di investire solo sulle attività di marketing e vendita (filiale commerciale), mantenendo la produzione nel mercato italiano. In altri casi, l’azienda può decidere di produrre e vendere nel mercato cinese, eventualmente esportando il prodotto anche verso altri mercati (filiale produttiva e commerciale).

Un caso da citare è quello di Illy, azienda leader nel segmento del caffè di alta qualità, che pur essendo presente in più di 140 paesi, mantiene tutta la produzione a Trieste, dove è presente la direzione dell’azienda. Anche in Cina, dopo un periodo di presenza tramite distributore, si è deciso di investire acquisendo le attività del partner distributivo: un passo reso necessario dalla volontà di crescere in un mercato non più concentrato nella sola area di Shanghai, ma diffuso nelle 43 città che si prevede nei prossimi anni avranno più di 25 milioni di abitanti. Lo sviluppo costante del mercato richiede, infatti, capacità di investimento notevoli, che il distributore, pur affidabile, non avrebbe potuto affrontare autonomamente. Riporta il vicedirettore dell’azienda: ”Durante le trattative di acquisto è emersa la tipicità della cultura cinese; il prezzo di acquisto è stato definito non solo sulla base del valore di mercato, ma anche alla luce del valore simbolico attribuito a quel numero nella cultura cinese”107.

Nonostante i vantaggi e le opportunità offerte dagli investimenti diretti, per le aziende italiane i numeri sono ancora esigui, in particolare sono ancora molto limitati proprio in quei settori come l’abbigliamento e l’alimentare, dove maggiore dovrebbe essere il controllo di canale necessario per presidiare il valore simbolico del made in Italy.

Soprattutto dopo l’adesione nel 2001 al WTO, la Cina ha visto un significativo aumento delle joint venture tra imprenditori cinesi e controparti straniere, determinata anche da una relativa semplificazione delle normative rispetto al passato. Diverse sono, infatti, le aziende italiane che

                                                                                                               

107 Convegno”Il mercante e il Dragone: strategie di marketing per le imprese italiane in Cina”, Università Cà Foscari Venezia, 9

hanno aumentato la loro presenza grazie alla scelta di questa modalità di entrata. Certamente le difficoltà culturali e di gestione del business108 non hanno reso semplici i rapporti, determinando non pochi fallimenti, ma ci sono state anche esperienze molto positive che hanno consentito un aumento della penetrazione del mercato cinese.

In generale, il successo di una joint venture dipende in modo significativo dalla gestione delle fasi pre-accordo e dall’attenta valutazione delle componenti strategiche della partnership. Il caso di Ermenegildo Zegna rappresenta un esempio di azienda italiana che, nonostante fosse presente dal 1992 nel mercato cinese, è riuscita a dare un forte impulso alla crescita delle vendite attraverso la joint venture siglata con il gruppo cinese Sharmoon.

La creazione di una joint venture può avere anche l’obiettivo di relazionarsi, attraverso un partner locale, a fornitori di più alta qualità, miglior prezzo, ricevere maggiori garanzie di continuità della relazione, risolvere problemi culturali che un’azienda straniera non solo trova difficoltà ad affrontare, ma spesso non riesce nemmeno a capire a fondo.

Operare con una joint venture può dare inoltre il vantaggio di accedere a settori con forti barriere all’entrata per le aziende straniere e, in generale, velocizzare le procedure consentendo una penetrazione molto più rapida proprio grazie al coinvolgimento del partner societario cinese. In un mercato emergente come la Cina, dove la trasparenza è limitata e le capacità manageriali delle imprese non sono scontate come nei mercati maturi, un’attenta e approfondita pianificazione dell’accordo rappresenta un elemento critico per il successo di una joint venture.