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3.4. La corrispondenza veicolare fra lingue della storia e lingue del discorso in film con

3.4.4. Il film di migrazione

Il presente capitolo si chiude prendendo in esame un altro tema che appare piuttosto ricorrente, specie nei film drammatici prodotti a partire dall'anno 2000 (dunque nel secondo sottocampione): i processi di migrazione internazionale (cfr. Pollini, 2002)80 che hanno interessato buona parte del mondo, in particolare quello occidentale nel corso del XX secolo. Gli spostamenti di popolazioni all’interno di una stessa area geografica o di uno stesso stato oppure fra aeree geografiche e stati diversi non è certo un fenomeno nuovo nella storia dell'umanità (cfr. Colombo 1999; Vitale, 2004): movimenti robusti di

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A differenza delle migrazioni interne che si realizzano nell'ambito dello stesso territorio nazionale, le migrazioni internazionali implicano il passaggio di almeno una frontiera nazionale (cfr. Pollini, 2002).

persone fra paesi e zone diverse del pianeta sono registrabili già a partire dall'età moderna con la scoperta del continente americano (cfr. Sassen, 1999; Colombo, 2002; Cotesta, 2002). Quello che sicuramente è nuovo è il numero delle persone coinvolte in questo processo e le conseguenze che l'arrivo dei nuovi venuti ha comportato sul tessuto sociale del paese in cui essi arrivano. I film di migrazione (cfr. Wahl 2005, 2008)81 presenti all'interno del campione prendono in considerazione due fasi distinte del fenomeno migratorio: in primo luogo, la fase della partenza, cioè dell'arrivo dei migranti nel paese di immigrazione e del loro primo inserimento nel nuovo contesto sociale; in secondo luogo, la delicata e spesso conflittuale fase dell'integrazione sociale non solo (e tanto) della prima generazione, ma anche (e soprattutto) della seconda generazione, cioè dei figli di immigrati nati nel nuovo paese, i quali si sentono spesso in bilico fra il senso di appartenenza al luogo in cui sono nati e cresciuti e la lealtà dovuta alla terra originaria da cui provengono i loro genitori82 (cfr. anche Naficy, 2001; Berger & Komori, 2010; Biscio, 2013; de Higes Andino, 2014a, 2014b).

Oltre al già analizzato 14 kilómetros (2007) diretto da Gerardo Olivares (cfr. 3.1.1), gli altri film che si incentrano sulla fase della partenza dei migranti e sul loro primo inserimento nella nuova realtà sono Bread and Roses (2000) e It's a Free World... (2007) diretti da Ken Loach, The Visitor (Thomas McCarthy, 2007), Welcome (Philippe Lioret, 2009), Nuovomondo (Emanuele Crialese, 2006) e Hai paura del buio (Massimo Coppola, 2011). Immigrazione clandestina, sfruttamento della manodopera straniera e rispetto della dignità umana sono al cento dei due film di Ken Loach: Bread and Roses ambientato negli Stati Uniti, It's a Free World... nel Regno Unito. Protagonista del primo film è Maya (Pilar Padilla), una ragazza messicana, che entra illegalmente negli USA per raggiungere la sorella Rosa (Elpidia Carrillo). Assunta nella stessa impresa di pulizie dove lavora la sorella, Maya si rende subito conto delle dure condizioni di lavoro a cui lei e i suoi colleghi, tutti immigrati, sono costretti (precarietà, assenza di qualsiasi tipo di tutela) e decide di lottare, appoggiata dal giovane sindacalista americano Sam (Adrien Brody). Attirata l'attenzione dei mass media, la protagonista viene arrestata dalla polizia ed espulsa

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Se in Wahl (2005: 5) lo studioso parla di “Immigrant Film”, che nella traduzione dell'articolo disponibile in italiano sulla stessa rivista Cinemascope Massimiliano Gaudiosi rende con “film di immigrazione”, in Wahl (2008: 340), l'autore dice apertamente di preferire la dicitura “migration film” a quella di “immigrant film”. L'etichetta italiana “film di migrazione”, che qui si propone, ricalca la scelta di Wahl e appare una soluzione adeguata che permette di riferirsi tanto all'emigrazione (la partenza dal proprio paese alla volta di una nuova destinazione) quanto all'immigrazione (l'arrivo e l'inserimento in un altro paese).

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Si tenga presente che, con la sola eccezione di It's a Free World... di Ken Loach, tutti gli altri film discussi in questa sezione sottotitolano sistematicamente le lingue secondarie presenti nei dialoghi. Quando la stessa cosa non avviene anche per la corrispondente versione italiana, questo viene specificato di volta in volta nel

dal paese, senza poter così partecipare alla manifestazione di protesta che lei stessa ha messo in piedi. Nel film It's a Free World... le stesse tematiche sono viste, questa volta, dalla prospettiva degli sfruttatori più che da quella degli sfruttati. La protagonista del film è l'inglese Angie (Kierston Wareing) che, licenziata in tronco dall'agenzia per cui reclutava manodopera a basso costo proveniente dall'Europa dell'Est, sceglie di mettersi in proprio e si trasforma ben presto in un'imprenditrice spietata e senza remore nel proporre lavoro nero e senza tutela agli immigrati clandestini che si rivolgono a lei alla ricerca di un'opportunità, in un mondo del lavoro sempre più precario e umiliante.

The Visitor / L'ospite inatteso è una storia agrodolce di amicizia e di immigrazione nell'America post-11 settembre che, come in Bread and Roses, non avrà un epilogo felice per uno dei protagonisti (che verrà espulso dal paese). Il film fa perno sull'amicizia inattesa che nasce fra il professore Walter Vale (Richard Jenkins) e una coppia di giovani immigrati che soggiornano nel paese in maniera illegale: il siriano di origini palestinesi Tarek (Haaz Sleiman) e la sudanese Zainab (Danai Gurira). Se la versione italiana di Bread and Roses annulla la dimensione bilingue (inglese-spagnolo) che caratterizza la versione originale adattando tutti i dialoghi del film in italiano, le versioni italiane degli altri due film (In questo mondo libero... e L'ospite inatteso) conservano la forte carica realistica data dalla presenza delle lingue secondarie che si oppongono all'inglese (polacco, ucraino e farsi nel primo caso, arabo e francese nel secondo), lingue che sono state sempre mantenute.

Diversa la situazione della versione italiana del film francese Welcome, che si muove invece in direzione della neutralizzazione delle situazioni multilingue rappresentate. Il film è, ancora una volta, una storia di amicizia e immigrazione illegale che vede coinvolti Simon Calmat (Vincent Lindon), ex-campione di nuoto francese, e il quindicenne curdo Bilal Kayani (Firat Ayverdi), che dall'Iraq ha raggiunto Calais a piedi. La destinazione finale di Bilal è l'Inghilterra, dove vive la ragazza di cui è innamorato. Dopo un tentativo fallito di entrare clandestinamente nel Regno Unito, il giovane curdo decide di attraversare la Manica a nuoto. Per farlo prende lezioni da Simon il quale, colpito dall'ostinazione del ragazzo, lo incoraggia nell'impresa, sfidando così le delazioni degli ostili vicini di casa, la polizia e la legge sull'immigrazione. Anche in questo caso, però, la vicenda avrà un finale amaro. Il film fa un uso totalmente realistico e “naturalistico” delle lingue (Wahl, 2005, 2008), alternando dialoghi in francese, curdo e inglese: quest'ultima è la lingua veicolare usata nella comunicazione fra i due protagonisti. La versione italiana neutralizza le diverse lingue del film, doppiando tutti i dialoghi in italiano, ma adottando al contempo una

strategia parzialmente compensativa: tutti gli immigrati, in particolare i personaggi curdi, parlano italiano standard con un'intonazione straniera ricreata ad hoc dagli attori doppiatori. Lo stratagemma di ricorrere a un italiano accentato per segnalare la “represented nationality” (Voellmer & Zabalbeascoa, 2014) o comunque per segnalare l'alterità di questi personaggi rispetto a quelli francesi è sempre un'operazione rischiosa sul piano ideologico. Ciononostante, a parere di chi scrive, il doppiaggio italiano di questo film, è riuscito a preservare nel complesso lo spirito del film, in quanto l'accento straniero simulato risulta piuttosto credibile e non fa mai cadere i personaggi che lo adoperano nel bozzettismo linguistico.

Il fenomeno migratorio è presente anche in due dei film italiani che compongono il campione: Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese e Hai paura del buio (2011) di Massimo Coppola. Il primo film raffigura l'Italia come un paese di emigrazione: all'inizio del Novecento Salvatore Mancuso (Vincenzo Amato) decide di lasciare la Sicilia e si imbarca per l'America insieme ai figli e alla vecchia madre, nella speranza di trovare nel nuovo mondo un destino migliore. Durante il viaggio in mare, incontra Lucy (Charlotte Gainsbourg), un'elegante signora inglese che parla la stessa lingua dell'America e che sta cercando un marito con cui poter entrare in America da donna sposata. Salvatore accetta di prenderla in moglie. Il lungo viaggio termina a Ellis Island, dove i nuovi arrivati sono sottoposti a un regime di quarantena e dove si decidono gli ingressi e i rimpatri. Ben presto gli emigranti si accorgono con amarezza che il nuovo modo non è esattamente la terra promessa che si erano illusi di trovare. Il film Hai paura del buio mostra, invece, la trasformazione dell'Italia in paese di immigrazione. La protagonista della vicenda è Eva (Alexandra Pirici), una ragazza ventenne di Bucarest che, dopo aver perso il lavoro, decide di vendere tutto e partire per l'Italia alla ricerca della madre. Arrivata a Melfi, Eva trascorre la notte vagabondano senza meta, finché non trova aperta un'automobile dove può ripararsi dal freddo. La vettura appartiene ad Anna (Erica Fontana), una giovane operaia dello stabilimento della FIAT, che decide di darle ospitalità nella casa che condivide con la famiglia. In entrambi film, i dialoghi prodotti in una lingua diversa dall'italiano (il siciliano stretto e l'inglese nel primo film, il rumeno nel secondo) sono sempre sottotitolati in modo che lo spettatore possa seguire la prospettiva dei personaggi coinvolti in quegli scambi comunicativi.

L'inserimento della prima e della seconda generazione di immigrati nel nuovo tessuto sociale in cui si trovano a vivere è al centro di film come Gegen die Wand (2004) e Auf der anderen Seite (2006) diretti da Fatih Akin, Ae Fond Kiss... (Ken Loach, 2004), Gran

Torino (Clint Eastwood, 2008), Un prophète (Jacques Audiard, 2009) e Biutiful (Alejandro González Iñárritu, 2010). Film come Gegen die Wand e Ae Fond Kiss... mettono in primo piano non solo il problema dell'integrazione sociale delle comunità immigrate nel paese ospite (rivendicazione identitaria ed etnica), ma anche i conflitti interni alle singole comunità, nello specifico i contrasti e i modi differenti di vedere la vita fra gli appartenenti alla prima e alla seconda generazione: da un parte, ci sono i genitori fortemente attaccati alle tradizione del loro paese di origine (il Pakistan e la Turchia) e, dall'alta, i figli che si sentono di appartenere al paese in cui sono nati e vivono (la Gran Bretagna e la Germania). In Gegen die Wand il conflitto intergenerazionale abbraccia anche tematiche di genere, in particolare il ruolo della donna che la mentalità conservatrice del padre e del fratello maggiore vorrebbe obbediente e sottomessa all'uomo, un modello maschilista al cui gioco la vitale protagonista Sibel Güner (interpretata da Sibel Kekilli) cerca di sottrarsi con tutte le sue forze, cercando un matrimonio di convenienza che la liberi da quell'oppressione (cfr. Mutman, 2008). Il netto rifiuto dell'ottuso tradizionalismo della famiglia in favore di una più aperta e moderna identità tedesca comincia dal piano linguistico: Sibel preferisce parlare in tedesco invece che in turco. Le versioni italiane dei due film (intitolate rispettivamente La sposa turca e Un bacio appassionato) si muovono in direzione della neutralizzazione della dimensione bilingue che caratterizza le due pellicole. Se nel caso de La sposa turca tutti i personaggi del film parlano in italiano standard (compresi gli immigrati turchi di prima generazione), in Un bacio appassionato si cerca di compensare l'omogeneizzazione e la standardizzazione linguistica che prevale nel film (cfr. Monti, 2009, 2014; Bonsignori, 2012; Bruti & Bonsignori, 2014), facendo adottare ai genitori del protagonista Casimc una chiara intonazione straniera che serve a segnalare, almeno a livello fonologico, la distanza che separa prima e seconda generazione.

Diversa è la prospettiva con cui il film Gran Torino guarda all'integrazione degli immigrati, che in questo caso è vista attraverso gli occhi di un membro della società che li accoglie. Il protagonista del film è il burbero e scontroso Walt Kowalski (interpretato dal regista del film Clint Eastwood), un veterano della guerra in Corea, che mal sopporta di avere come vicini di casa dei “musi gialli”83

, nomignolo spregiativo con cui spesso chiama la famiglia di asiatici di etnia hmong che vivono nell'abitazione accanto alla sua. L'inaspettata amicizia che Walt instaurerà con il giovane Thao, nipote dei suoi vicini, lo spingerà ad avvicinarsi non solamente alla famiglia del ragazzo, ma a tutta la comunità

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In originale “chink” (o anche “zipperhead”). Sulla traduzione degli epiteti di natura etnica e sulle offese di stampo razzista nella versione italiana di questo film cfr. Filmer (2012).

hmong che vive nel quartiere, facendogli così superare i pregiudizi che nutriva da anni nei confronti degli asiatici. A differenza del doppiaggio dei precedenti due film analizzati, la versione italiana di Gran Torino preserva la dimensione bilingue presente nell'originale, mantenendo i dialoghi del film in lingua hmong che, al pari dell'originale, sono stati sottotitolati nella lingua dello spettatore (in merito cfr. anche Monti, 2014).

La dimensione multilingue viene preservata anche nella versione italiana del film Biutiful che il regista messicano Alejandro González Iñárritu ha diretto dopo Babel. Il film è ambientato a Barcellona, dove il faccendiere Uxbal (Javier Bardem) si guadagna da vivere procurando lavorando nero a immigrati che soggiornano clandestinamente nel paese. Lo stesso Uxbal vive con i due figli Ana e Mateo ai limiti della sussistenza, una situazione dunque non molto diversa da quella in cui si trovano i personaggi senegalesi e cinesi le cui vite si intrecciano con la sua. La versione italiana del film doppia i dialoghi in spagnolo e conserva, sottotitolandoli, quelli in lingua cinese e wolof.

In condizioni economiche estremamente precarie si ritrova anche il protagonista del film Un prophète, Malik El Djebena (Tahar Rahim), quando appena diciannovenne è mandato in prigione per scontare una pena di sei anni. Malik è un francese di origine araba (i cosiddetti “beur”), che nel corso della sua vita ha conosciuto soltanto orfanotrofi e riformatori. Al suo arrivo in carcere Malik non sa né leggere né scrivere, ma quando sei anni più tardi torna in libertà, è un uomo profondamente cambiato: ha imparato a leggere e scrivere in francese; ha imparato a parlare la lingua corsa; ha imparato a usare il suo plurilinguismo come un'arma di potere (cfr. King, 2014) nella lotta fra le due bande rivali che si contendono il controllo della prigione (gli arabi vs. i corsi); ha imparato, grazie alla protezione offertagli in carcere dal mafioso corso César Luciani (Niels Arestrup), a uccidere senza rimorsi e soprattutto a condurre traffici loschi, ma economicamente vantaggiosi. La versione italiana del film (Il profeta) riduce la dimensione multilingue dell'originale, mantenendo solo parzialmente le lingue secondarie del film (l'arabo e il corso) in quelle scene in cui la presenza di due lingue in opposizione fra loro assume un peso narrativo essenziale per lo sviluppo della trama, elemento che non si poteva cancellare adattando interamente i dialoghi in italiano. Ci si riferisce a quelle scene in cui il protagonista Malik sfrutta la sua conoscenza di più lingue per ingannare gli altri personaggi e trarne così vantaggio.

Immigrazione, globalizzazione e terrorismo si intrecciano nel film Auf der anderen Seite diretto da Fatih Akin, che ha come protagonisti personaggi con diversi retroterra linguistici e culturali: tedeschi, turchi, turchi che vivono in Germania (i.e. prima

generazione di immigrati) e tedeschi di origine turca (seconda generazione). Le vicende del film si sviluppano lungo due assi geografici distinti che alla fine si ricongiungono: la Germania (Berna e Amburgo) e la Turchia (Istanbul). L'uso delle lingue è realistico: nel film si alternano dialoghi in tedesco, in turco e in inglese, quest'ultimo usato come lingua di comunicazione fra i personaggi tedeschi e quelli turchi che non conoscono il tedesco, in particolare le tedesche Lotte e Susannae Straub e la turca Ayten. La ricchezza linguistica descritta nel film si perde nella versione italiana (Ai confini del paradiso), in cui tutti i dialoghi sono doppiati in italiano. In un paio di occasioni si segnala anche il possibile insorgere di ciò che Chiaro (2008, 2009), ricorrendo alla metafora della fornitura di corrente elettrica, definirebbe “drop in translational voltage”, vale a dire un problema di coerenza complessiva fra ciò che viene detto e ciò che appare sullo schermo. La prima volta, si verifica all'arrivo in Germania di Ayten (Nurgül Yesilçay): la ragazza che non parla una parola di tedesco cerca su un dizionario bilingue l'equivalente tedesco della parola ʻscarpaʼ (ʻSchuhʼ), perché vuole trovare il negozio di scarpe in cui lavora la madre Yeter (Nursel Köse), che da anni vive in Germania. In un film in cui dove tutti i personaggi parlano la stessa lingua, uno spettatore accorto potrebbe chiedersi il significato di quello che incoerentemente vede comparire sullo schermo. Il secondo punto problematico è la resa in italiano di un caso di interpretazione diegetica (O’Sullivan, 2007, 2011; Bleichenbacher, 2008) che produce un effetto straniante simile a quanto avviene ne Il disprezzo con il personaggio di Francesca. Lotte (Patrycia Ziolkowska), a Istanbul per cercare di aiutare l'amica Ayten che è stata arrestata, si reca pressa un'associazione umanitaria per ottenere una consulenza legale: se nel dialogo originale uno dei due avvocati presenti parla in turco e l'altra collega semplicemente traduce in inglese quanto è stato appena detto, nel dialogo riscritto interamente in italiano il secondo avvocata sembra fare commenti superflui e inutili su quanto già esaustivamente spiegato dal primo collega.

Capitolo Quattro

IL MULTILINGUISMO NELLA COMMEDIA

COME VEICOLO DI UMORISMO

4.1. Il multilinguismo nella commedia: giocare con la lingua vs. giocare