• Non ci sono risultati.

Oltre la seconda guerra mondiale: altri conflitti rappresentati

3.4. La corrispondenza veicolare fra lingue della storia e lingue del discorso in film con

3.4.2. Oltre la seconda guerra mondiale: altri conflitti rappresentati

Le ultime considerazioni svolte nella sezione precedente in merito alla situazione della Tunisia invasa dai nazisti portano ora a prendere in considerazione quei film che all'interno del campione hanno al centro del loro intreccio un conflitto bellico diverso dalle due guerre mondiali. Sempre rimanendo sul versante dell'Africa magrebina occupata dai colonizzatori francesi, un altro conflitto rappresentato nel campione è la guerra di indipendenza algerina (1954-1962), messo in scena da due film: l'italiano La battaglia di Algeri (Gillo Pontecorvo, 1966) e il francese Hors la loi / Uomini senza legge (Rachid Bouchared, 2010). I due film sono accomunati non solo dal tema che affrontano, ma anche dall'uso realistico che fanno delle lingue coinvolte nella storia (il francese e l'arabo), nonché per le stesse scelte adottate dal doppiaggio nelle rispettive versioni italiane (la neutralizzazione della dimensione bilingue).

La battaglia di Algeri mette in scena il sanguinoso scontro avvenuto ad Algeri nel 1957 fra i paracadutisti francesi del colonnello Mathieu (Jean Martin) e i rivoluzionari algerini del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), asserragliati nella Casbah, che poterà alla cattura e all'uccisione di Ali La Pointe (Brahim Haggiag), uno dei capi della guerriglia. Il film, girato con molti attori non professionisti, si caratterizza per il forte taglio documentaristico (cfr. Morandini, 2012; Mereghetti, 2013; Farinotti, 2014), per una ricostruzione accurata e veritiera di fatti ed eventi, a cominciare dalle lingue usate dai personaggi del film: gli algerini parlano l'arabo, i francesi il francese. Queste due lingue si dividono la scena in uguale proporzione, dato che il film mostra il conflitto seguendo la prospettiva di entrambe le parti in causa.

Una simile corrispondenza veicolare fra lingue della storia e lingue del discorso è presente anche in Hors la loi, che affronta la questione dell'indipendenza algerina più sul piano della definizione delle tattiche ad opera dei vertici del movimento indipendentista che sul piano della guerriglia vera e propria, come era invece avvenuto nel film di Gillo Pontecorvo. Le vicende di Hors la loi64 hanno inizio sul finire della seconda guerra mondiale, quando le rivendicazioni indipendentiste e le agitazioni di protesta in Algeria si fanno sempre più numerose e violente. Il film prende avvio dal massacro di Sétif e Guelma dell'8 maggio 1945, operazione con cui la Francia ha represso nel sangue le rivolte sempre più frequenti e il disordine diffuso fra il popolo algerino. I protagonisti del film sono tre fratelli, Saïd (Jamel Debbouze), Messaoud (Roschdy Zem) e Abdelkader

64

L'espressione ‘hors la loi’ del titolo è la traduzione francese della parola araba ‘fellagha’ (‘fuorilegge’) come si autodefinivano i combattenti indipendentisti all'epoca della guerra d'indipendenza algerina, i quali in

(Sami Bouajila), cresciuti nel risentimento contro l'occupazione francese. Espropriati dai colonizzatori della terra dei padri, i tre si trasferiscono in Francia con la madre alla ricerca di un destino migliore. In terra francese, fra condizioni di vita indigenti e l'oppressione inflitta gli algerini, Abdelkader prende coscienza della loro identità nazionale e diventa in breve tempo il leader del Fronte di Liberazione Nazionale, trascinando nella causa anche gli altri due fratelli che lotteranno fino all'alba della liberazione65. Nella parte ambientata in Algeria i dialoghi del film sono esclusivamente in arabo. Quando l'azione si sposta in Francia, all'arabo spesso i protagonisti alternano il francese66, la lingua degli oppressori di cui gli oppressi, paradossalmente, si appropriano, usandola come mezzo per organizzare la loro lotta di liberazione. Il francese diventa simbolicamente la lingua del potere (cfr. King, 2014), la lingua dell'arena politica, la lingua dell'istruzione e della modernità che si oppone all'arabo, “the mother tongue, the language of tradition” (Blanchon, 2010: 135), la lingua dell'ambito privato e familiare.

Se il conflitto fra l'arabo e il francese si perde nelle corrispondenti versioni in italiano di questi due film, l'opposizione linguistica è invece mantenuta nel caso del film Des hommes et des dieux / Uomini di Dio (Xavier Beauvois, 2010). La pellicola ripercorre un evento più recente nella travagliata storia della relazione fra Francia e Algeria: l'assassinio dei monaci di Tibhirine avvenuto nel 1996, quando sette monaci francesi appartenenti all'ordine dei cistercensi sono stati sequestrati e successivamente uccisi da un gruppo di terroristi algerini. Il film si apre mostrando la pacifica convivenza fra otto monaci trappisti di origine francese che vivono in un monastero fra i monti dell'Algeria e la popolazione locale di fede musulmana. Il rispetto reciproco e l'armonia fra le due parti vengono messe a dura prova quando le minacce del fondamentalismo islamico comincia a farsi sentire nella regione. Malgrado il pericolo, i monaci decidono di restare al loro posto per continuare ad aiutare i loro fratelli musulmani, finché i religiosi non vengono sequestrati da un gruppo di terroristi che un giorno fa irruzione nel loro monastero. L'arabo da lingua della pacifica convivenza con il prossimo diventa la lingua minacciosa dell'aggressore: anche quando nella seconda parte del film esso entra maggiormente in primo piano, resta sempre non tradotto, di modo che lo spettatore possa seguire e immedesimarsi nella

65

Il film presenta molti elementi combinati fra loro. Se si volesse seguire le tipologie individuate da Wahl (2005, 2008) per il cinema poliglotta, questo film mostra tratti tanto del film di migrazione quanto del film coloniale. Senza dubbio, lo si può considerare espressione del cosiddetto “cinema beur” (cfr. Hargreaves & Kealhofer, 2010; Biscio, 2013) o “cinema delle banlieue” (cfr. Mével, 2009; Johnston, 2010).

66

Dei tre fratelli, Saïd è quello che nel film appare meno incline a parlare francese. La scelta linguistica operata da questo personaggio non è casuale, ma si rivela un importante mezzo di caratterizzazione (cfr. Bleichenbacher, 2008): Saïd, pur essendo il fratello minore, è infatti quello che ha meno istruzione fra i tre e quello che più agisce ai limiti della legalità, vivendo solo di espedienti e traffici loschi.

prospettiva dei monaci sequestrati. La versione italiana doppia i dialoghi francesi ma lascia in originale quelli in arabo, che in genere non è stato mai reinciso anche quando è usato da personaggi bilingue, come per esempio il capo dei terroristi Ali Fayattia (Farid Larbi). Solo in un paio di occasioni l'attore doppiatore italiano (Francesco Pannofino) ha reinciso dei brevi passaggi in arabo quando il suo personaggio parla fuori campo, così da consentire al pubblico italiano di identificarlo facilmente.

Lo spinoso problema del fondamentalismo islamico porta così a prendere in considerazione quei film che trattano della delicata situazione del Medio Oriente, che è il filo conduttore di pellicole molto diverse fra loro per paese di produzione e tematica specifica affrontata. Il dominio dei talebani in Afganistan e la condizione di segregazione della donna sono esaminati nel film Safar e Ghandehar / Viaggio a Kandahar (2001) del regista iraniano Mohsen Makhmalbaf, nel film Osama (Siddiq Barmak, 2003), primo film afgano prodotto nel paese dopo la caduta del regime talebano, e in parte anche in The Kite Runner / Il cacciatore di aquiloni (Marc Forster, 2007), film statunitense tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore di origine afgana Khaled Hosseini pubblicato nel 2004. La versione italiana di questi film tende a neutralizzare le situazioni multilingue presenti nei film, doppiando interamente i dialoghi in italiano. Altri film guardano alla questione mediorientale da una prospettiva squisitamente occidentale: l'invasione sovietica in Afganistan negli anni Ottanta e le sue conseguenze geopolitiche sono al centro del film americano Charlie Wilson’s War / La guerra di Charlie Wilson (Mike Nichols, 2007) ed è toccata in parte anche in The Kite Runner, la lotta americana al terrorismo islamico internazionale è il tema portante del film Body of Lies / Nessuna verità (2008) di Ridley Scott, mentre la guerra in Iraq (2003-2011) fa da perno alle vicende di Route Irish / L'altra verità (2010) diretto da Ken Loach. Poiché in questi ultimi tre film l'inglese resta la lingua principale dei dialoghi, la versione italiana doppia soltanto l'inglese e conserva l'opposizione con le lingue secondarie.

Due film israeliani raccontano, invece, della prima guerra del Libano avvenuta nel 1982: Vals Im Bashir / Valzer con Bashir (Ari Folman, 2008) e Lebanon (Samuel Maoz, 2009). Vals Im Bashir67 è un film d'animazione in cui il regista e sceneggiatore Ari Folman ripercorre i drammatici eventi che portarono al massacro di Sabra e Shatila del 1982 compiuto dalle falangi cristiano-maronite contro profughi palestinesi e libanesi sciiti. La dettagliata ricostruzione avviene attraverso alcune interviste condotte dallo stesso

67

Il titolo del film fa riferimento al valzer che un soldato si mette a danzare, mentre spara all'impazzata con il mitra davanti a un poster che raffigura Bashir Gemayel, politico libanese eletto nel 1982 presidente della

regista ad alcuni dei suoi vecchi compagni d'armi all'epoca dei fatti. Il film si chiude con una sequenza di immagini che non sono più in animazione, ma sono bensì filmati d'archivio che mostrano i cadaveri dell'eccidio in mezzo alle macerie del campo profughi, con alcuni primi piani di donne sopravvissute che urlano la loro disperazione. Questi passaggi in arabo non necessitano traduzione: le immagini parlano da sole. La scelta di concludere il film con materiale d'archivio, dunque con immagini dal vero, vuole mettere in risalto la vocazione documentaristica che lo caratterizza. Le immagini di repertorio non solo ben riassumono il conflitto fra le identità in gioco, ma mostrano soprattutto le tragiche conseguenze che scelte politiche e strategie militari decise a monte hanno avuto sulla vita della gente comune.

Il film Lebanon racconta il conflitto dalla prospettiva di quattro giovani soldati chiusi all'interno di un carro armato israeliano che si fa strada lentamente in un villaggio libanese appena attaccato dall'aviazione. Il film ha un'ambientazione per così dire claustrofobica in quanto la vicenda si svolge interamente all'interno del mezzo cingolato, mentre quello che succede al di fuori viene sempre filtrato attraverso la lente del mirino-obiettivo, accompagnato dal rumore dei motori della torretta. A differenza di Vals Im Bashir, la prospettiva dei civili libanesi, le loro urla di dolore e le loro suppliche di compassione sono sistematicamente sottotitolate, in modo da offrire agli spettatori una visione più ampia, oltre che ideologicamente più equilibrata di quanto sta accadendo. Dei quattro protagonisti soltanto uno di loro possiede qualche nozione di lingua araba, ma non sufficientemente buona da permettergli di capire la disperata richiesta di aiuto che un prigioniero di guerra siriano rivolge loro68.

La guerra civile libanese, in particolare come l'opposizione fra cristiani e musulmani, fa da sfondo alle vicende del film franco-canadese Incendies / La donna che canta (Denis Villeneuve, 2010), tratto dall'omonima opera teatrale di Wajdi Mouawad del 2003 (cfr. Bollettieri, 2013). Il film si sviluppa lungo due assi narrativi distinti: il presente ambientato in Quebec e il passato ambientato in Libano. Il film realizza una perfetta corrispondenza veicolare per cui ogni personaggio del film si esprime nella lingua che una persona userebbe nella vita reale: il francese in Quebec, l'arabo in Medio Oriente. La versione italiana segue da vicino quella originale: doppia i dialoghi in francese, ma mantiene in originale le lunghe sequenze del film in arabo, sottotitolandole in italiano.

68

Questo ostaggio siriano ha, infatti, ricevuto una minaccia di morte da parte di un ambiguo falangista libanese che è entrato nel carro armato presentandosi come un alleato degli israeliani. Approfittando del fatto che nessuno degli israeliani capisce l'arabo, l'uomo ha potuto tranquillamente intimidire il prigioniero siriano senza paura di essere scoperto. Solo lo spettatore, grazie all'ausilio dei sottotitoli, è a conoscenza di quello che i due uomini si sono realmente detti nel corso della loro conversazione in arabo.

Se nel caso di Nessuna verità e di L'altra verità l'arabo presente nei due film è stato reinciso dagli attori doppiatori, quando esso è usato da un personaggio bilingue, per garantire l'armonizzazione delle voci, lo stesso non avviene né per Lebanon né per La donna che canta dove è stato sempre mantenuto in originale. In particolare in Lebanon, questa decisione fa avvertire per il personaggio del falangista libanese uno scarto piuttosto netto fra la voce dell'attore originale (Ashraf Barhom) e quella dell'attore italiano (Angelo Maggi) che lo reincide quando il personaggio parla in inglese con i quattro soldati israeliani69. Per il personaggio di Nawal Marwan, protagonista di Incendis, i responsabili della versione italiana hanno scelto un'attrice italiana (Tatiana Dessi) con un timbro di voce molto simile a quello dell'attrice originale (Lubna Azabal), in modo da ridurre la distanza fra le due. Fra l'altro, il personaggio di Nawal non passa mai da una lingua all'altra nel corso di una stessa scena, ma solamente fra scene diverse del film (nelle scene ambientate in Libano nel passato usa l'arabo, mentre in quelle ambientate in Quebec nel presente parla francese), situazione che sembra agevolare ulteriormente il quadro.

Lo spinoso problema del conflitto israelo-palestinese, in particolare il modo in cui esso si ripercuote sulla vita quotidiana della gente, è al centro di film come Free Zone (2005) di Amos Gitai, The Syrian Bride / La sposa siriana (2004) e Etz Limon / Il giardino di limoni - Lemon Tree (2008) entrambi diretti da Eran Riklis, che sono tutti “film al femminile” (Morandini, 2012) in cui le delicate questioni identitarie si legano a tematiche di genere; nonché nel film The Time that Remains / Il tempo che ci rimane (2009) del regista palestinese Elia Suleiman, una riflessione sulla situazione dei palestinesi che viene raccontata attraverso episodi tragicomici della vita di tutti i giorni, lungo un arco temporale che va dalla proclamazione dello stato di Israele nel 1948 e arriva al presente. Nei film The Syrian Bride e Free Zone le diverse lingue usate dai personaggi70 sono così intrecciate fra loro da spingere il distributore italiano a sottotitolare i due film: essi infatti presentano personaggi poliglotti che con una certa frequenza passano da una lingua all'altra all'interno della stessa scena o in scene diverse del film. I casi di commistione di codice (code-mixing) e di commutazione di codice (code-switching) si rivelano particolarmente difficili da gestire in traduzione, specie nel caso del doppiaggio (cfr.

69

Questo personaggio parla soltanto in arabo e in inglese nel film.

70

Le lingue del film The Syrian Bride sono: arabo, inglese, ebraico, francese e russo. Le lingue di Free Zone sono: inglese, ebraico, arabo e spagnolo. È interessante notare che nel DVD italiano di Free Zone (General Video, 2007) è disponibile anche la versione doppiata in francese del film, in cui tutti i dialoghi sono stati adattati in francese. La decisione di neutralizzare le diverse lingue presenti nel film ha portato a volte i dialoghi francesi a risultare ridonanti, poco plausibili o curiosi. Questo può mettere a serio rischio la sospensione dell'incredulità linguistica, principio su cui il doppiaggio si basa come modalità di traduzione

Diadori, 2003; Monti, 2009, 2014; Minutella 2012; Vermeulen, 2012; Pettit, 2011, 2014). Nel caso de Il giardino di limoni e de Il tempo che ci rimane la presenza in scena di due lingue (ebraico e arabo) in modo pressoché paritario, in termini sia quantitativi (narrativi) sia qualitativi (testuali), ha orientato i professionisti del doppiaggio ad adattare in italiano tutti i dialoghi del film.

La stessa scelta in direzione della neutralizzazione delle lingue presenti in originale (ebraico, inglese, tedesco e arabo) è stata fatta anche nella versione italiana del film israeliano Walk on Water (Eytan Fox, 2004) intitolata Camminando sull’acqua, un film che mostra come la giovane democrazia israeliana non abbia ancora chiuso del tutto i conti con i demoni del passato (l'antisemitismo). In direzione di una riduzione delle originali situazioni multilingue caratterizza invece la versione italiana del film Va, vis et deviens (Radu Mihăileanu, 2005) dal titolo Vai e vivrai. Coprodotto da Francia, Israele, Belgio e Italia, il film mette in scena un altro controverso capitolo nella storia della democrazia israeliana: l'Operazione Mosè, iniziativa realizzata nel 1984 con il sostegno degli Stati Uniti, che aveva come obiettivo il trasferimento in Terra Santa di migliaia di ebrei etiopi, opinabili discendenti del re Salomone e della regina di Saba, detti falascià (che in lingua amarica significa ʻesiliatiʼ o ʻemigratiʼ). Il protagonista è un bambino etiope cristiano che per fuggire alle pessime condizioni in cui riversa il suo paese si spaccia per ebreo e viene ribattezzato Shlomo. Arrivato in Israele viene adottato dagli Harrari, un'amorevole famiglia di ebrei francesi. Per poter vivere in questa nuova realtà il piccolo Shlomo deve intraprendere una vera e propria trasformazione identitaria: imparare l'ebraico e il francese, attenersi ai dettami religiosi di una nuova fede (l'ebraismo), lottare per difendere la sua nuova (ma fasulla) identità di ebreo nero. La versione italiana del film mantiene i dialoghi in amarico presenti nella parte iniziale del film, ma adatta in italiano sia l'ebraico sia il francese in considerazione del fatto che la famiglia adottiva di Shlomo usa, alternandole, entrambe queste lingue.

La conservazione della dimensione bilingue del film è invece la strada seguita dal doppiaggio italiano di due film di Ken Loach le cui vicende si svolgono sullo sfondo di un conflitto: Land and Freedom / Terra e libertà (1995) e Carla's Song / La canzone di Carla (1996). Il primo film è ambientato durante la guerra civile spagnola e segue le vicende di una piccola formazione della milizia internazionale del Poum (Partido Obrero de Unidad Marxista), di cui fa parte anche il protagonista David Carr (Ian Hart), giovane volontario inglese (cfr. Cipolloni, 1997; Scelfo, 2007). Gli avvenimenti narrati nel film Carla's Song hanno, invece, luogo nel 1987 sullo sfondo della guerra civile nicaraguense che ha visto

contrapposti il governo sandinista e i Contras, gruppi armati controrivoluzionari appoggiati dagli Stati Uniti. In entrambi i film, lo spagnolo si alterna all'inglese nei dialoghi, situazione che viene conservata anche nelle rispettive versioni italiane, le quali doppiano l'inglese e mantengono le parti in spagnolo che vengono sottotitolate in italiano. In merito a quest'ultimo aspetto, è il caso di segnalare come ne La canzone di Carla i sottotitoli interlinguistici accompagnano i dialoghi in spagnolo anche quando un personaggio del film (specie la protagonista Carla) funge da interprete diegetico e la loro mediazione non sarebbe pertanto necessaria: in simili casi i sottotitoli finiscono o per anticipare quanto un personaggio sta a punto di tradurre o quanto un personaggio ha appena detto, fornendo dunque un'informazione che risulta ridondante (su quest'aspetto cfr. Tortoriello, 2012). In entrambi i film, inoltre, il doppiaggio italiano tende a far reincidere agli attori doppiatori le battute in spagnolo pronunciate da personaggi bilingue, così da armonizzare le voci, anche se questa operazione non viene fatta in maniera sistematica71.