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Una filosofia della storia promozionale

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 195-200)

3. Hans Kelsen e l’evoluzione macrostorica degli ordinamenti giuridici

3.6. Hans Kelsen e la filosofia della storia

3.6.2. Una filosofia della storia promozionale

La lettura combinata di Law and Peace in International Relations e Secular Religion consente non solo l’attribuzione a Kelsen di una filosofia della storia concernente il futuro del diritto internazionale e la pacificazione delle relazioni interstatali, ma anche la comprensione della specifica funzione che Kelsen attribuisce alla stessa e alla filosofia della storia in generale. Un buon punto di partenza per chiarire tale questione è la considerazione di quanto Kelsen sostiene circa il valore di verità della sua interpretazione relativa all’evoluzione futura del diritto internazionale. Kelsen chiarisce che non è affatto certo che il diritto internazionale presenti la stessa tendenza evolutiva del diritto nazionale, benché effettivamente vi siano fatti storici che abilitano questa interpretazione. La previsione che il diritto internazionale seguirà le stesse

176 Ivi, p. 135.

177 Se in questa sede si ritiene più opportuno riferirsi alle tesi kelseniane concernenti futuro del diritto internazionale e pacificazione delle relazioni interstatali come espressione di una “filosofia della storia” e non come espressione di una “dottrina del progresso” è perché parlando di dottrine del progresso si è soliti fare riferimento a teorie che implicano elementi che sono estranei alla teoria kelseniana, ovvero: l’idea di un progresso

morale e culturale del genere umano e l’idea di una società perfetta come destinazione finale della storia del

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tendenze di sviluppo del diritto nazionale si presenta, dunque, nella teoria kelseniana, come una congettura plausibile e non come un’innegabile verità scientifica. Kelsen scrive:

Di certo una differente linea di sviluppo per il diritto internazionale non è esclusa assolutamente. Le leggi che determinano l’evoluzione sociale non sono così rigorose come quelle biologiche e fisiologiche. La volontà umana diretta ad un determinato fine è in grado di modellare la vita sociale in modo arbitrario, ma solo in una certa misura. Da ciò consegue che una riforma sociale ha maggiori possibilità di successo, se segue le tendenze finora mostrate dall’evoluzione sociale. Essa ha minori possibilità, se si oppone a queste tendenze.178

Kelsen appare consapevole del fatto che la conoscenza umana è inevitabilmente incline ad errori nel tentativo di predire il futuro del genere umano. Nella sua prospettiva, la filosofia della storia non può mai garantire verità indubitabili. Piuttosto, la filosofia della storia si configura sempre e solo come una più o meno plausibile congettura relativa al futuro del genere umano. Sui limiti teoretici intrinseci alla filosofia della storia Kelsen si esprime anche in Secular Religion, prendendo in esame le teorie di Lessing, Comte e Marx:

Questi filosofi credevano nel progresso dell’umanità secondo la legge d’evoluzione; ma, in quanto pensatori razionalisti ed empiristi che non pretendevano di essere dotati di forze cognitive sovrannaturali, essi erano pienamente consapevoli del fatto che la loro conoscenza delle leggi della natura e della storia, in quanto conoscenza meramente umana, fosse limitata e passibile di errori. Quando essi parlavano di un’evoluzione “necessaria” verso una futura condizione di miglioramento, facevano riferimento soltanto (quantunque non sempre lo abbiano dichiarato espressamente) a quella necessità che è accessibile alla conoscenza umana, ossia a un certo grado di probabilità. Di conseguenza, essi non assumevano, come a volte viene loro imputato, che la condizione futura, che essi reputavano in grado di prevedere, costituisse l’esito definitivo dell’evoluzione, né che essa significasse la fine assoluta della storia, come l’avvento del Regno di Dio. Una fine dell’evoluzione è incompatibile con l’idea di una legge dell’evoluzione.179

Posti questi limiti teoretici insuperabili, c’è da chiedersi perché Kelsen ritenga comunque di valore l’elaborazione di una filosofia della storia. Risolvere tale questione significa esplicitare, appunto, quale sia secondo Kelsen la funzione della filosofia della storia. Si ritiene possibile ipotizzare che, nel ripensare la funzione della filosofia della storia alla luce del riconoscimento dei limiti teorici intrinseci a qualsivoglia tentativo di predire il futuro del genere umano, Kelsen sia fortemente influenzato – ancora una volta – da Immanuel Kant. Il filosofo di Königsberg, infatti, non crede sia ammissibile una vera e propria scienza del futuro umano in ordine alla sua destinazione morale e politica. Kant riconosce solo la possibilità di una teoria del futuro umano

178 Ivi, p. 142.

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«come narrazione storica divinatoria di ciò che riserva l’avvenire, cioè come una esposizione a priori possibile dei fatti che devono succedere»180, ovvero come wahrsagende Geschichte, storia profetica o pronosticante con cui si fornisce una semplice ipotesi sul futuro. Tuttavia, convinto che l’uomo possieda la facoltà di cogliere alcuni eventi o fatti esterni come segni

prognostici rivelatori di certe disposizioni morali dell’umanità, Kant pretende che la storia

profetica – con cui si propone una previsione o congettura sull’orientamento morale e politico dell’umanità – sia fondata su segni ricavabili dalla realtà storica e politica, passata e presente. In tal senso, nel quinto paragrafo dello scritto Se il genere umano sia in costante progresso verso

il meglio, dal titolo È pur necessario riconnettere a una qualche esperienza la storia profetica del genere umano, Kant sostiene:

Nel genere umano deve sopravvivere una qualche esperienza che, come avvenimento, mostri una sua disposizione e una sua capacità a essere la causa del suo progresso verso il meglio e (poiché ciò dev’essere l’azione di un essere dotato di libertà) il suo autore […]. Devesi allora ricercare un avvenimento che riveli, sia pure senza determinazione in rapporto al tempo, l’esistenza di una tale causa, e anche l’azione della sua casualità nell’umanità, in modo da far concludere al progresso verso il meglio come conseguenza inevitabile. La quale conclusione potrebbe allora anche estendersi alla storia del tempo passato (posto che esso sia sempre stato in progresso), sempreché tale avvenimento debba essere considerato non come sua causa, ma solo come indicazione, come segno storico (signum rememorativum, demonstrativum,

prognosticum), così da poter dimostrare la tendenza della specie umana considerata nella sua totalità.181

Con la storia profetica, quindi Kant non mira ad una scienza della destinazione morale dell’uomo, ma alla semplice illustrazione, premonizione e promozione di un cammino che, in base all’osservazione del passato e del presente, appare verosimile per il genere umano: cammino che deve essere inteso come progetto da realizzare con un impegno attivo. Kant scrive:

Che cosa si vuole sapere? Si vuole un frammento della storia dell’umanità e propriamente non del passato, ma dell’avvenire, cioè che predìca il futuro […]. Come si può sapere questo? Come narrazione storica divinatoria di ciò che riserva l’avvenire, cioè come una esposizione a priori possibile dei fatti che devono succedere. Ma come è possibile una storia a priori? Risposta: se chi predice fa e organizza egli stesso i fatti che preannunzia.182

180 Kant, Immanuel, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, 1798; in Bobbio Norberto, Luigi Firpo e Vittorio Mathieu (a cura di), Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto. Torino, Unione Tipografico-editrice torinese, 1965, pp. 213-230.

181 Ivi, p. 218.

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Rileggendo questi passi kantiani, Norberto Bobbio arriva a sostenere che sia possibile attribuire al filosofo di Königsberg l’idea condivisibile che sia necessario rivalutare in senso pratico la funzione della filosofia della storia. Sulla scia di Kant, Bobbio sostiene quindi che la filosofia della storia debba abbandonare finalità conoscitive e assumere un duplice fine pratico: a) indicare, a partire da fatti concreti che devono essere considerati come tracce o segni premonitori, una tendenza e uno sviluppo possibile (non necessario, cioè non necessitato da leggi universali) dell’umanità; b) esortare l’umanità al lavoro per la realizzazione di quel cammino stesso la cui possibilità è stata stabilita a partire dai segni premonitori. In tal senso, nel saggio L’età dei diritti del 1987183, Bobbio scrive:

La prospettiva di filosofia della storia rappresenta la trasposizione dell’interpretazione finalistica dell’azione dell’individuo singolo all’umanità nel suo complesso […]. Ciò che rende problematica la filosofia della storia è proprio questa trasposizione, di cui non possiamo dare nessuna prova convincente. L’importante è che chi crede opportuno operare questa trasposizione, legittima o illegittima che sia dal punto di vista dello storico di mestiere, deve essere cosciente che si sta muovendo su un terreno che con Kant possiamo chiamare di storia profetica, vale a dire di una storia la cui funzione non è conoscitiva ma ammonitiva, esortativa, o soltanto suggestiva.184

Ritornando a Kelsen, bisogna riconoscere che una tale riconsiderazione in termini pratici della funzione della filosofia della storia non è da parte sua chiaramente esplicitata. D’altra parte, di tale ripensamento è facile trovare traccia leggendo tra le righe di quanto sostiene in Law and

Peace in International Relations in merito alla propria interpretazione del futuro del diritto

internazionale:

Noi propendiamo per questa interpretazione, sperando di aver riconosciuto l’inizio di uno sviluppo futuro e con l’intenzione di rafforzare tutti gli elementi del diritto internazionale contemporaneo che conducono a giustificare questa interpretazione e a promuovere l’evoluzione che desideriamo.185

Il frammento sopra riportato consente di riconoscere che Kelsen propone la sua congettura sull’evoluzione futura del diritto internazionale non solo perché essa risulta effettivamente plausibile sulla base di fatti storico-evolutivi e valutazioni sociologiche, ma anche al fine di promuovere una riforma politica che ritiene necessaria per raggiungere la pacificazione delle relazioni internazionali. Alla luce di ciò, pare sensato attribuire a Kelsen l’idea di origine kantiana che la filosofia della storia non debba più essere pensata come tentativo di rivelare verità

183 N. Bobbio, L’età dei diritti, in N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1997.

184 Ivi, pp.47-48.

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indiscutibili sul futuro del genere umano; piuttosto, la filosofia della storia acquisisce una funzione pratica, cioè quella di promuovere un particolare cammino per il genere umano mostrando, sulla base di fatti concreti, che questo cammino si rivela essere non solo effettivamente percorribile, ma anche il più “naturale” da seguire. In altri termini, per Kelsen il senso di una filosofia della storia sembrerebbe consistere nell’incoraggiare il genere umano ad assecondare una tendenza di sviluppo che pare essere effettivamente esistente, realizzabile e soprattutto desiderabile. In Peace through Law, Kelsen arriva ad essere più esplicito circa la funzione promozionale ed esortativa della propria filosofia della storia, chiarendo che la sua ricostruzione dell’evoluzione macrostorica degli ordinamenti giuridici e la sua congettura sul futuro del diritto internazionale sono essenziali al fine di individuare e promuovere un cammino desiderabile in direzione della pacificazione delle relazioni interstatali:

La centralizzazione del potere esecutivo è l’ultimo passo in questa evoluzione dalla comunità decentrata pre-statuale alla comunità centralizzata che noi chiamiamo Stato. Abbiamo buone ragioni per ritenere che il diritto internazionale – cioè il diritto della comunità internazionale – si sviluppi nella stessa maniera del diritto primitivo delle comunità pre-statuali. Se ciò è vero, possiamo con un certo grado di probabilità prevedere la direzione verso cui un tentativo può essere intrapreso con successo per assicurare la pace internazionale ed eliminare dal diritto internazionale il principio dell’autodifesa, accentuando e rafforzando la tendenza verso la centralizzazione.186

Ricollegando le proprie riflessioni concernenti l’evoluzione macrostorica degli ordinamenti giuridici ad una filosofia della storia esortativa riguardante il futuro del diritto internazionale e la pacificazione delle relazioni interstatali, Kelsen dà prova delle potenzialità pratico-politiche delle teorie evolutive del diritto, in quanto mette in evidenza come le stesse – intese quali interpretazioni relative a senso e direzione di certe metamorfosi del fenomeno giuridico nel contesto della storia sociale e culturale del genere umano – si rivelino atte a fungere da fondamento per la formulazione di ipotesi riguardanti la rotta da seguire in vista della riforma della realtà sociale, politica e giuridica: una rotta che si può valutare debba essere in consonanza o in dissonanza con la tendenza di evoluzione macrostorica riscontrata.

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Osservazioni conclusive

Al termine della lezione che introduce al corso dal titolo Origins of Legal Institutions, tenuto presso la facoltà di Scienze Politiche della Berkeley University of California nel 1951, rivolgendo agli studenti l’invito ad intervenire liberamente per richiedere precisazioni ulteriori in caso di eventuali perplessità, Kelsen afferma:

Non è la risposta ciò che conta: è la domanda. Forse non saremo mai in grado di trovare una risposta definitiva e assoluta ad alcuna domanda. Nel corso dell’evoluzione della scienza, ogni risposta implica una nuova domanda. Ciò che la scienza ci insegna non è forse altro che questo: porre domande.187

Non si tratta di una semplice esternazione retorica di circostanza, ma dell’espressione di una ponderata prospettiva teoretica ed epistemologica, in virtù della quale compito essenziale dello scienziato – e ancor più del filosofo – sarebbe non tanto fornire risposte definitive, quanto procedere ad una costante problematizzazione capace di fare emergere sempre nuovi interrogativi. Tale prospettiva teoretica ed epistemologica può essere considerata effettivamente sottesa a numerosi versanti della riflessione giusfilosofica di Kelsen, ad esempio alla sua trattazione del complesso problema della giustizia o anche alle sue considerazioni volte a promuovere la netta distinzione tra sociologia del diritto e scienza giuridica normativa: in entrambe i casi, infatti, si tratta, secondo Kelsen, di definire domande (o nuclei di domande) e di stabilire se e con quali strumenti specifici si possa ad esse rispondere.

Proprio il riferimento alla prospettiva teoretica ed epistemologica cui Kelsen fa appello al termine della prima lezione del corso Origins of Legal Institutions ben si presta ad alcune considerazioni conclusive in merito alla natura della disamina proposta nella presente ricerca dottorale. Infatti, l’indagine svolta non si configura come tentativo di fornire una spiegazione del complesso fenomeno dell’evoluzione giuridica, come sforzo di rispondere alla complessa e semanticamente ambigua domanda: come e perché il diritto evolve? Piuttosto, l’indagine proposta nasce e si sviluppa come lavoro di specificazione, ridefinizione e rivalutazione di domande riguardanti l’evoluzione del diritto. In particolare, si è innanzitutto provveduto a mettere in evidenza l’opportunità di tracciare una linea di confine nitida tra due differenti interrogativi concernenti l’evoluzione giuridica, corrispondenti rispettivamente a linee di

187 Trad. mia dall’originale inglese: «It is not the answer which counts, it is the question. For it is doubtful whether we will ever find a definite and absolute answer to any question. In the course of the scientific evolution, any answer implies a new question. What we may learn from science is perhaps nothing else but: asking questions» (H. Kelsen, Origins of Legal Institutions, cit., p. 2)

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 195-200)