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La vocazione storico-genetica delle teorie del contratto sociale

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 53-57)

2. Evoluzione macrostorica del diritto: la vasta storia di un’idea

2.2. Al di là del contratto sociale

2.2.1. La vocazione storico-genetica delle teorie del contratto sociale

Sotto l’etichetta di “contrattualismo” rientrano quelle teorie filosofico-politiche che, partendo dall’ipotesi di un primordiale stato di natura, riconducono l'origine e le condizioni di legittimità della società civile/politica e dello Stato ad un contratto, attraverso il quale vengono stabiliti determinati obblighi e specifici diritti tanto per gli individui che ne entrano a far parte quanto per i governanti. Il paradigma contrattualista può vantare una lunga storia. Si è già avuto modo di considerare come la prima formulazione articolata del contratto sociale sia rinvenibile nel De

rerum natura di Lucrezio, ma in Storia della filosofia del diritto Guido Fassò parla di possibili

“accenni contrattualistici” anche nella Sofistica del mondo classico greco:

Si incontra presso alcuni Sofisti, enunciata più o meno esplicitamente, anche un’altra dottrina che sarà ripresa più tardi da vari scrittori, e che avrà grande sviluppo e fortuna nell’età moderna: la dottrina cioè per la quale il diritto e lo Stato, e secondo alcuni la società stessa, non sono istituzioni esistenti per natura, ma hanno origine da un atto della volontà umana, da un’espressa convenzione con la quale gli uomini danno loro vita.43

Del modello contrattualista si avvalgono poi anche pensatori medievali nel tentativo di trovare soluzione al problema di come conciliare potere temporale e potere spirituale, ovvero con

42 Ivi, p. 128.

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l’obiettivo di stabilire limiti e criteri di legittimità del potere politico e del diritto positivo. In

Grandi opere del pensiero politico44, Jean-Jacques Chevallier sottolinea, ad esempio, come sia proprio in età medievale che si radichi la netta distinzione tra due tipi di accordi sociali distinti: il pactum societatis (o unionis) e il pactum subjectionis45. Chevallier scrive:

I teologi del medioevo avevano, in realtà, distinto due contratti. In base al primo, detto pactum unionis o

societatis, gli uomini isolati dello stato di natura si costituivano in società. In base al secondo, detto pactum subjectionis o di sottomissione, la società così costituita trasferendo o alienando i propri poteri mediante

certe condizioni, si dava un capo, un sovrano.46

Il paradigma contrattualistico viene così ereditato dall’età moderna che rappresenta di certo il momento di maggiore fortuna delle teorie del contratto sociale, soprattutto tra i secoli XVII e XVIII. A partire dall’elaborazione che ne viene proposta nel 1651 da Thomas Hobbes nel

Leviathan47, la “sfida contrattualistica” viene infatti accolta da numerosi altri pensatori, tra i quali i più noti sono certamente Baruch Spinoza, John Locke, David Hume, Jean Jacques Rousseau e Immanuel Kant. Con particolare riferimento a tali formulazioni moderne delle teorie del contratto sociale, in Modelli di filosofia politica48, Stefano Petrucciani spiega che il paradigma contrattualista deve essere considerato come tentativo di rispondere alla «problematica della legittimità dell’ordine statale e del carattere vincolante dell’obbligo politico che ad esso ci lega», ovvero come «un metodo per dare una risposta razionale alla domanda che in un certo senso fa tutt’uno con il pensiero politico: come deve essere organizzato uno stato legittimo, cui tutti i cittadini siano tenuti a dare il loro assenso?»49. Dalla caratterizzazione che ne fornisce Petrucciani, emerge chiaramente che tali dottrine presentano una netta vocazione normativa e prescrittiva e che loro obiettivo non è solo la legittimazione del potere politico in generale, ma anche (e forse soprattutto) la promozione e giustificazione di determinate forme di governo: monarchia assoluta per pensatori come Hobbes, democrazia per altri contrattualisti come invece Spinoza e Locke. Il carattere intrinsecamente prescrittivo

44 J. J. Chevallier, Les grande ouvres politiques. De Machiavelli à nos jours, 1949 ; trad. it. Le grandi opere del

pensiero politico, Bologna, Il Mulino, 1998.

45 Si tratta di una distinzione cruciale in quanto, a seconda che si insista sulla rilevanza dell’uno o dell’altro tipo di patto, si arriva a sostenere una certa configurazione del potere politico statale. In particolare, i teorici che attribuiscono maggior peso al pactum societatis intendono sottolineare con nettezza gli obblighi dello Stato nei confronti dei cittadini e sono quindi in genere propensi a forme di governo democratiche; d’altra parte, i pensatori che attribuiscono maggiore rilevanza al pactum subjectionis insistono in particolar modo sui doveri del cittadino nei confronti dello Stato e in genere propendono per forme di governo assolute.

46 J. J. Chevallier, Le grandi opere del pensiero politico, cit., p. 76.

47 T. Hobbes, Leviathan or The Matter, Form and Power of a Common-Wealth Ecclesiastical and Civil, 1651; trad. it. Leviatano, Firenze, La nuova Italia, 1987.

48 S. Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Torino, Einaudi, 2003.

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delle teorie del contratto sociale emerge inoltre dal fatto che esse vanno spesso di pari passo con l’affermazione dei più disparati diritti naturali, ovvero con il tentativo di definire degli spazi di libertà ed autonomia degli individui rispetto al potere costituito. In tal senso, in riferimento al contrattualismo moderno, Fassò in Storia della filosofia del diritto scrive:

Il giusnaturalismo dell’età moderna non si esaurisce nell’affermazione dell’esistenza di leggi naturali e nella teoria di uno stato di natura dal quale si passi per un atto di volontà degli individui allo stato sociale e politico. Di questo artificio logico, talvolta travestito da fatto storico, i giusnaturalisti propriamente detti si servono per un fine ben preciso, che è la garanzia dei diritti innati dell’uomo anche nella condizione sociale e politica; e per essi il diritto naturale non è soltanto il fondamento di validità logica di quello positivo, ma ne è anche e soprattutto il limite quanto al contenuto.50

Nella sua introduzione al modello contrattualistico, Petrucciani chiarisce inoltre come le teorie del contratto sociale non presentino alcuna ambizione o valenza storico-genetica in quanto le ricostruzioni del passaggio dallo stato di natura allo stato politico e civile che in esse è possibile rilevare sono (più o meno dichiaratamente, a seconda dei casi51) frutto dell’immaginazione ed evidentemente strumentali alla promozione di determinati valori politici:

La forza del modello contrattualistico non sta certo nella pretesa di ricostruire il processo storico-genetico della società politica a partire da individui originariamente pensati come isolati […]. L’interesse del modello contrattualista non è certo da vedersi, dunque, nel fatto che esso fornisce uno schema lungo il quale ricostruire la genesi dello stato politico.52

In merito a questo secondo giudizio di Petrucciani concernente l’assenza di qualsivoglia vocazione storico-genetica nei pensatori moderni che fanno proprio il paradigma del contratto sociale, si può entro certi limiti dissentire. Le teorie del contratto sociale si configurano certamente come teorie politiche con evidenti finalità prescrittive, ma rivelano al contempo una certa tendenza ed esigenza a pensare alla società civile/politica e allo Stato in termini evolutivi e macrostorici, ovvero una vocazione ad affrontare il problema effettivo della genesi e dello sviluppo tanto delle società politiche, quanto dello Stato. A riprova di tale interpretazione, si può notare con Norbert Nisbet che è indubbia l’influenza esercitata su questi pensatori dalla letteratura antropologica ed etnografica del tempo. Infatti, nello specifico a partire dal XVI secolo, iniziano a circolare profusamente in Europa numerosi resoconti redatti

50 G. Fassò, Storia della filosofia del diritto. L’età moderna, Bologna, Il Mulino, 1970, p. 151.

51 L’idea che il contratto sociale sia semplice finzione si ritrova già in Pufendorf, ma si radica in particolare grazie a Rousseau, Kant e Fichte che, ancora più chiaramente, ne riconoscono e affermano il carattere propriamente e puramente congetturale.

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dagli esploratori dei paesi scoperti tramite le spedizioni iniziate sin dal XV secolo. Concernenti popoli “selvaggi” che venivano considerati come esempi viventi di fasi anteriori della storia dei popoli “civilizzati”, tali resoconti andavano ad incrementare la curiosità nei confronti delle origini primitive del mondo occidentale e – benché certamente viziati da valutazioni etnocentriche – fornivano la possibilità di ancorare a dati più o meno attendibili le caratterizzazioni della genesi della socialità come quelle elaborate appunto dei contrattualisti. In History of the idea of Progress Nisbet scrive:

Viene raramente ricordato il fatto che questi pensatori, Locke specialmente, erano immersi nella letteratura antropologica del loro tempo e profondamente influenzati da ciò che leggevano. Hobbes, come testimoniato dal famoso paragrafo del Leviatano, rimase impressionato da ciò che aveva letto e ascoltato sulle bellicose popolazioni tribali del Nordest America. Nelle opere di Locke vi sono ben più numerosi riferimenti ai popoli primitivi. […] è possibile constatare che egli si dedicò a letture approfondite relative tanto alle medesime popolazioni bellicose di indiani del Nord America che avevano interessato Hobbes, quanto ai ben più pacifici indiani del Sudest. L’attenzione di Rousseau si focalizzò invece sugli Indiani del Centro America, ma era certamente a conoscenza di altre popolazioni a cultura orale.53

Della stessa opinione di Nisbet, è l’antropologo José Gil che in Antropologia delle forze: dalle

società senza Stato alle società statuali insiste sul fatto che le teorie moderne del contratto

sociale furono ampiamente condizionate dalle scoperte, iniziate già nel XV secolo, delle società “selvagge” dell’Africa e dell’America:

Lo sfondo cui tale rappresentazione dello stato di natura rinviava comprendeva indubbiamente le società primitive che l’Occidente era venuto scoprendo, a partire dal XV secolo, in Africa e soprattutto in America. Così Hobbes, alla fine del terzo capitolo del Leviatano fa riferimento all’America del suo tempo, prendendone i selvaggi a modello di quello stato di natura che non è “forse mai esistito”. E Locke, nel secondo dei Two Treatise of Government, scrive che l’America “è ancora un esempio delle prime età dell’Asia e dell’Europa”.54

Alla luce delle puntualizzazioni di Nisbet e Gil, pare quindi possibile concludere a favore di una pur sottile vocazione storico-genetica delle teorie moderne del contratto sociale. A fronte di questa conclusione, pare quantomeno ragionevole chiedersi se nelle dottrine dei pensatori che

53 Trad. mia dall’originale inglese: «What is too little and too seldom noted is the fact that these men, Locke especially, were steeped in the anthropological literature of their times and where without question deeply influenced by what they read. Hobbes, as the famous paragraph in Leviathan makes evident, was sensitive to what he had read and heard about warlike tribes of northeastern America. There are many more references to primitive peoples in Locke’s works […] We can see his reading interests move, for example, from the same warlike North American Indians Hobbes had been stuck by all the way down to the much more peaceful, landholding Indians of the South-east […] Rousseau’s political attention went to the Indians of Central America, but he was not unaware of other preliterate peoples» (N. Nisbet, History of the Idea of Progress, cit. p. 149).

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in età moderna adottano il paradigma del contratto sociale sia possibile rinvenire alcune riflessioni concernenti la genesi e l’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico. A tale domanda si ritiene possibile rispondere affermativamente, con la precisazione però che per cogliere le riflessioni concernenti l’evoluzione macrostoria del fenomeno giuridico contenute nelle teorie moderne del contratto sociale risulta necessario fare astrazione dalle componenti propriamente ideologiche e, quindi, in primo luogo (e in un certo senso paradossalmente) dall’artificio del contratto sociale stesso che, diversamente declinato, è certamente strumento per esprimere e promuovere determinate soluzioni politiche55. In alcuni casi, come nella teoria di Locke, la finzione del contratto sociale non preclude la possibilità di individuare pressoché immediatamente le riflessioni concernenti l’evoluzione macrostorica del diritto; in altri casi, come nella teoria elaborata da Hobbes nel Leviathan, risulta decisamente maggiore lo sforzo di astrazione dalle componenti ideologiche che è necessario per cogliere la teoria evolutiva del diritto sottesa. In ogni caso, si può affermare che è proprio con le teorie contrattualiste moderne – e in particolare con il loro pur sporadico riferimento a dati storici e ai resoconti degli esploratori di Africa e America – che ha avvio quel processo attraverso il quale le teorie evolutive del diritto si approssimano al rispetto degli standard epistemici richiesti perché si possa riconoscere loro attendibilità scientifica.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 53-57)