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L’ordinamento giuridico internazionale come ordinamento giuridico primitivo

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 185-188)

3. Hans Kelsen e l’evoluzione macrostorica degli ordinamenti giuridici

3.5. Il futuro dell’ordinamento giuridico internazionale

3.5.1. L’ordinamento giuridico internazionale come ordinamento giuridico primitivo

Prima di procedere con l’analisi delle tesi kelseniane concernenti l’evoluzione del diritto internazionale, è necessaria una premessa relativa alle riflessioni che Kelsen propone in riferimento a natura e struttura “primitiva” dell’ordinamento internazionale del suo tempo. Come si è già avuto modo di sottolineare, a parere di Kelsen, l’ordinamento internazionale condivide numerose caratteristiche (e forse sarebbe meglio dire: carenze) tecniche con gli ordinamenti giuridici primitivi, motivo per il quale l’analisi della struttura di questi ultimi trova largo spazio in Law and Peace in International Relations. Il riferimento agli ordinamenti primitivi, in particolare, consente a Kelsen di connotare come propriamente giuridico l’ordinamento internazionale. In tal senso, dopo aver affermato che gli ordinamenti primitivi possono essere considerati giuridici in quanto presentano meccanismi sanzionatori del genere della vendetta – che si configura sempre come sanzione socialmente organizzata – Kelsen sostiene che, similmente, anche l’ordinamento internazionale può essere considerato come propriamente giuridico, nonostante le numerose carenze tecniche derivanti dalla sua struttura decentrata. Infatti, le guerre che gli Stati intraprendono, così come le vendette dei primitivi, possono essere considerate sanzioni socialmente organizzate in reazione ad illeciti e, conseguentemente, gli Stati stessi, così come i vendicatori primitivi, possono essere considerati agenti o rappresentanti della comunità giuridica. A proposito del carattere propriamente giuridico del diritto

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internazionale come ordinamento che, nonostante tutto, crea un monopolio dell’uso della forza da parte della comunità, Kelsen afferma:

Il diritto internazionale può essere considerato come autentico diritto, dal momento che può essere considerato come un ordinamento coercitivo che riserva l’uso della forza alla comunità internazionale, che stabilisce un monopolio dell’uso della forza […]. Si può affermare che uno Stato, il quale autorizzato dal diritto internazionale, applichi contro un altro Stato, che ha violato tale diritto, la sanzione da questo disposta – in altre parole ricorra alla rappresaglia o muova guerra – agisca come un organo della comunità internazionale. Altrimenti detto, è la stessa comunità giuridica internazionale che reagisce contro colui il quale abbia violato il diritto, per mezzo dello Stato che ricorre alla rappresaglia o muove una guerra.142

Sebbene, in base all’analogia con l’ordinamento giuridico primitivo, Kelsen arrivi ad affermare perentoriamente la giuridicità dell’ordinamento internazionale, in realtà egli esprime esplicitamente un dubbio circa la possibilità di una configurazione della guerra come sanzione socialmente organizzata e, conseguentemente, circa il carattere propriamente giuridico dell’ordinamento internazionale. Tale dubbio viene esplicitato nella sua riflessione sulla validità giuridica, nella comunità internazionale, del principio del bellum iustum, per il quale «la guerra è proibita in linea di principio e permessa solo come reazione nei confronti di un atto antigiuridico, un illecito, e solo quando è diretta contro lo Stato responsabile per questo illecito»143. Kelsen ritiene impossibile, dal punto di vista teorico, stabilire in maniera definitiva se sia corretta la teoria del bellum iustum o la teoria contraria di quanti ritengono che la guerra non è né un illecito né una sanzione e che «ogni Stato può procedere alla guerra contro un altro Stato per qualsiasi motivo, senza violare il diritto internazionale»144.

Pur essendo convinto di non poter arrivare ad una dimostrazione definitiva della validità giuridica del principio del bellum iustum, Kelsen non si sottrae al compito di proporre argomenti che dimostrino come sia quantomeno possibile, sebbene non necessario, considerare tale principio come giuridicamente vigente nella comunità internazionale. A tal fine, volgendosi sociologicamente alla dimensione dell’essere, Kelsen considera il generale comportamento dei governi che tentano sempre di giustificare la propria decisione di muovere guerra ponendola come contro-guerra, ossia come reazione per un torto subito. Inoltre, invita a porre attenzione a quei documenti di diritto positivo internazionale (ad esempio, il Patto Briand-Kellogg) che prescrivono la guerra sia sempre da condannarsi come illecito, meno che nei determinati casi

142 H. Kelsen, Diritto e pace nelle relazioni internazionali, cit. pp. 57-58.

143 Ivi, p. 36.

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in cui essa sia posta come sanzione: documentazioni diplomatiche e, soprattutto, dichiarazioni di guerra e trattati tra gli Stati che mostrano chiaramente che «i diversi Stati considerano la guerra un atto antigiuridico, proibito in linea di principio dal diritto internazionale generale, e permesso solo come reazione nei confronti di un torto subìto»145. Nonostante tutti questi dati storici, empirici e fattuali, Kelsen conclude che, da un punto di vista teorico, è unicamente possibile, sebbene non necessario, considerare come giuridico il principio del bellum iustum. Proprio perché, da un punto di vista teorico, la validità giuridica del principio del bellum iustum può essere assunta solo come una delle possibili ipotesi interpretative della realtà internazionale, allora Kelsen è costretto ad ammettere che «non è una decisione scientifica, ma politica, che dà preferenza alla teoria del bellum iustum»146. Tale preferenza è, infatti, accordata perché necessaria al riconoscimento della giuridicità dell’ordinamento internazionale: riconoscimento che Kelsen ritiene condizione essenziale per convalidare il progetto di riforma politica che egli intende proporre per la pacificazione delle relazioni internazionali.

In Law and Peace in International Relations, dopo aver esaminato a fondo l’autotutela come elemento caratterizzante sia l’ordinamento giuridico primitivo sia quello internazionale, Kelsen mette in luce altre carenze tecniche comuni. In primo luogo, osserva che l’ordinamento giuridico internazionale, così come quello primitivo, nell’applicare le sanzioni, non si fonda sul principio della responsabilità individuale, ma sul principio della responsabilità collettiva, in quanto «le specifiche sanzioni mediante le quali il dovere internazionale è costituito –la rappresaglia e la guerra– sono dirette contro uomini determinati non individualmente ma collettivamente»147. Tale carenza del diritto internazionale è considerata da Kelsen una delle più gravi e, proprio per questa ragione, dedica l’intera seconda parte di Peace Through Law148

del 1944 a mettere in evidenza la necessità di una valorizzazione della responsabilità individuale nella comunità internazionale.

Nell’ordinamento giuridico primitivo, come già osservato, all’applicazione delle sanzioni in base al principio della responsabilità collettiva si collega, quasi inevitabilmente, il fatto che le sanzioni sono eseguite non in base al principio della responsabilità basata sulla colpa, ma in base al principio della responsabilità oggettiva. Kelsen osserva che «anche sotto questo aspetto, il

145 Ivi, p. 38.

146 Ivi, p. 54.

147 Ivi. p. 97.

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diritto internazionale appare come un ordinamento giuridico primitivo»149 in quanto «né l’intenzione né la negligenza costituiscono un elemento essenziale dell’illecito di diritto internazionale»150. Infine, Kelsen evidenzia come tanto il diritto primitivo quanto il diritto internazionale siano tecnicamente carenti perché non presentano un’adeguata differenziazione tra diversi gradi di sanzione, ovvero in quanto non si fondano sul principio di equivalenza tra illecito e sanzione e non stabiliscono alcuna differenziazione tra pena ed esecuzione forzata.

Alla luce di queste caratteristiche comuni, Kelsen arriva a sostenere che «nei suoi aspetti tecnici, il diritto internazionale generale è un diritto primitivo»151 e conclude che se, a ragione delle sue carenze tecniche, lo si deve ritenere ben diverso dal moderno diritto statale, d’altra parte non si può negarne la giuridicità perché esso condivide con il diritto nazionale l’elemento essenziale che consente di connotare come giuridico un ordinamento sociale, ovvero l’ammissione dell’uso della forza solo come sanzione messa in atto dalla comunità:

Se il diritto internazionale può essere considerato come un ordinamento che monopolizza l’uso della forza – e questo è il caso, come abbiamo visto – allora esso è simile al diritto nazionale su un punto decisivo. Se ci si trattiene dal considerare il diritto internazionale come autentico diritto, solo perché esso non è centralizzato allo stesso grado del diritto nazionale, essendo decentrata non solo la creazione, ma anche l’applicazione delle sue norme, si fa una distinzione di rilevanza tecnica, ma non si tratta di una distinzione essenziale.152

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 185-188)