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L’uomo primitivo tra animismo e interpretazione socio-normativa della natura

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 167-171)

3. Hans Kelsen e l’evoluzione macrostorica degli ordinamenti giuridici

3.3. L’ordinamento giuridico primitivo

3.3.1. L’uomo primitivo tra animismo e interpretazione socio-normativa della natura

Come accennato in precedenza, è in Society and Nature che Kelsen sviluppa, nel modo più compiuto e sulla base di un ricco materiale etnografico, le sue riflessioni concernenti animismo e concezione socio-normativa della natura come elementi essenziali della Weltanschauung dell’uomo primitivo. A tali riflessioni, bisogna ora volgere l’attenzione al fine di comprendere in che senso, secondo Kelsen, animismo e interpretazione socio-normativa della natura si rivelino essere decisivi, sotto certi profili, per il funzionamento dell’ordinamento sociale primitivo. Il punto di partenza di Kelsen in Society and Nature è la spiegazione di alcuni aspetti cognitivi della mente primitiva. In primo luogo, Kelsen sottolinea che «la coscienza dell’uomo primitivo

71 Ivi, p. 137.

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è caratterizzata essenzialmente dal fatto che in lui il fattore razionale, che aspira alla conoscenza obiettiva, è molto meno sviluppato del fattore emotivo»73. In secondo luogo, Kelsen invita ad osservare che l’uomo primitivo è caratterizzato da «una considerevole assenza di autocoscienza, vale a dire una mancanza di qualsiasi consapevole esperienza delle proprie forze»74. Proprio la mancanza di autocoscienza risulta particolarmente rilevante agli occhi di Kelsen, per due ragioni in particolare. La prima è che dalla carenza di autocoscienza deriva l’attitudine collettivistica degli uomini primitivi, ovvero il fatto che gli individui siano totalmente pervasi dalla vita sociale e assorbiti dal gruppo di appartenenza. A tale attitudine collettivistica Kelsen riconduce, in seconda battuta, quel «tradizionalismo peculiare della mentalità primitiva»75 che ha una rilevanza anche sotto il profilo giuridico in quanto esso si riflette «nella formazione della legge attraverso la consuetudine, nell’osservanza scrupolosa ed esagerata degli usi e dei costumi tramandati dagli antenati e nel fatto che l’ordine sociale sia violato molto meno spesso nella società primitiva che in quella civile»76. La seconda ragione per cui la mancanza di autocoscienza negli uomini primitivi risulta rilevante agli occhi di Kelsen è che essa si rivela il fondamento su cui si innesta quell’animismo che consiste essenzialmente nella convinzione «che il mondo circostante sia pervaso di spiriti potenti, in particolar modo spiriti dei defunti, dotati di poteri sovraumani»77. In combinazione con la sostanziale carenza di coscienza delle proprie forze, l’animismo (ovvero, l’idea che la natura sia animata da spiriti) porta con sé una specifica predisposizione nei confronti del mondo circostante, ovvero il fatto che «l’uomo primitivo, contrariamente all’uomo civile, non si consideri signore della creazione, superiore agli animali, alle piante e alle cose inanimate, bensì loro pari, e qualche volta anche loro inferiore»78. Che l’uomo primitivo si collochi in tal modo specifico rispetto alla realtà che lo circonda è comprovato, secondo Kelsen, dal modo in cui egli agisce nei confronti di tutti gli esseri (animati e inanimati), ovvero con rispetto e timore reverenziale, seguendo le stesse norme di condotta che regolano le relazioni sociali tra i membri della comunità cui appartiene. Kelsen scrive:

Poiché l’uomo primitivo considera gli animali, le piante e gli oggetti inanimati come affini ai suoi compagni di tribù, si comporta nei confronti delle cose naturali come si comporta coi suoi compagni. Convinto che le

73 H. Kelsen, Società e natura, cit., p. 17.

74 Ivi, p. 24.

75 Ivi, p. 44.

76 Ivi, p. 44.

77 Ivi, p. 25.

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une e gli altri agiscono in base agli stessi principi, egli pensa di dover trattare le cose secondo quanto prescrivono le regole della condotta sociale.79

Collaterale a questo specifico modo di rapportarsi a tutti gli esseri (animati e inanimati) secondo i princìpi che regolano la vita sociale è, secondo Kelsen, il modo in cui i primitivi interpretano i più disparati eventi, ovvero la loro concezione socio-normativa della natura. Mentre l’uomo moderno distingue tra natura e società e spiega gli eventi naturali in base al principio di causalità, l’uomo primitivo «concepisce la natura come parte della società»80, ovvero «interpreta l’ambiente che lo circonda secondo determinate categorie sociali»81 e, in particolare, secondo il principio di retribuzione. A tal proposito, Kelsen scrive:

L’elemento caratteristico della legge di causalità sta nel fatto che essa collega l’effetto con la causa. La causa è un evento obiettivo, omogeneo all’effetto e, come questo, è un evento naturale; essendo dello stesso genere dell’effetto, è a sua volta effetto di una causa. Di qui ha origine la catena infinita di cause ed effetti, inconcepibile per l’uomo primitivo, che è un elemento essenziale nella concezione scientifica della causalità. Il pensiero personalistico e il pensiero causale si escludono l’un l’altro. L’uomo primitivo fa risalire gli eventi che vuol comprendere non già ad elementi della stessa specie, ma ad elementi di specie diversa non a un oggetto ma ad un soggetto, non ad una cosa ma ad una persona. Quando vuole spiegarsi alcunché l’uomo primitivo non si domanda, come l’uomo civile fornito di un’educazione scientifica: “Com’è avvenuto questo?”; ma “Chi l’ha fatto?”.82

Fornita una breve ricostruzione delle riflessioni che, sulla base di un ricco materiale etnografico, Kelsen dedica alla Weltanschauung dell’uomo primitivo, diviene possibile considerare in che senso, a suo avviso, animismo e interpretazione socio-normativa della natura si rivelino decisivi per il funzionamento dell’ordinamento sociale primitivo. In primo luogo, essi risultano decisivi in quanto rappresentano il fondamento su cui si innesta la credenza – tipica dell’uomo primitivo – che in caso di violazione di determinate norme di condotta siano gli spiriti dei defunti ad intervenire direttamente con punizioni o sanzioni quali morte, malattie o incidenti. Ad esempio, Kelsen spiega che, nelle società primitive, per i casi di omicidio interni al gruppo familiare non sono previste sanzioni socialmente organizzate, perché si ritiene siano gli spiriti dei membri defunti della famiglia stessa ad intervenire con punizioni o sanzioni. Al proposito, in Law and

Peace in International Relations, Kelsen scrive:

79 Ivi. p 57.

80 Ivi, p. 179.

81 Ivi, p. 57.

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La prima sanzione, per l’infrazione commessa da uno dei suoi membri all’interno del più piccolo gruppo – la famiglia, per esempio – è una sanzione trascendente. Un’autorità sovraumana, una divinità, punisce un crimine commesso da un tale in seno alla propria famiglia. Le prime divinità sono le anime degli antenati defunti, che vigilano attentamente sul rigoroso mantenimento dell’ordine sociale da parte dei loro discendenti. In caso di omicidio, è lo spirito dell’individuo ucciso, del padre o della madre dell’ucciso, che punisce l’omicida con la malattia o la morte.83

Posta la credenza primitiva che gli spiriti dei defunti possano intervenire con azioni punitive in caso di violazione di determinate norme, è possibile sostenere di conseguenza che nelle società primitive la paura dell’anime vendicative dei defunti – timore che si fonda su animismo e interpretazione socio-normativa della natura – assume funzione deterrente, ovvero contribuisce a che le norme sociali non vengano violate. Tuttavia, in relazione al funzionamento degli ordinamenti giuridici primitivi, la paura delle anime dei defunti gioca anche un altro ruolo cruciale, nella misura in cui si rivela capace di attivare determinate procedure sanzionatorie. Infatti, in talune circostanze, per evitare la ritorsione di spiriti offesi da un certo crimine, l’uomo primitivo è costretto egli stesso ad intervenire contro chi si sia macchiato del crimine offensivo in questione. Ad esempio, l’uomo primitivo è obbligato (onde evitare che gli spiriti gli si ritorcano contro provocando morte, malattia e altri mali indesiderati) a vendicare egli stesso l’uccisione di un membro della propria famiglia nel caso in cui l’assassino appartenga ad un’altra tribù: ciò perché si ritiene che, in questa specifica circostanza, lo spirito del defunto non possa intervenire direttamente con un atto punitivo nei confronti del criminale. In Law and Peace in

International Relations, Kelsen scrive:

L’azione diretta dell’anima di un uomo ucciso è l’imitata, almeno originariamente, al suo stesso gruppo; essa può vendicarsi direttamente solo sui membri del suo gruppo, cioè sui suoi parenti, spargendo malattia o morte. Sembra che, almeno in origine l’anima del defunto non fosse in grado di vendicarsi direttamente nei confronti di un omicida che appartenesse a un altro gruppo. Solo se i parenti di un uomo morto credono che la sua morte sia stata causata, direttamente o indirettamente, da un membro di un altro gruppo, essi si sentono obbligati nei confronti dell’anima del defunto a vendicare il crimine. Questa è l’origine, così come il retroterra ideologico-religioso, della cosiddetta vendetta, che in principio era sempre diretta contro un gruppo esterno.84

In conclusione, dunque, dal punto di vista del funzionamento degli ordinamenti sociali primitivi, la paura delle anime vendicative dei defunti (timore che si fonda su animismo e interpretazione

83 H. Kelsen, Diritto e pace nelle relazioni internazionali, cit., p. 42.

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socio-normativa della natura) non solo assume una decisiva funzione deterrente, ma si rivela anche essenziale per l’attivazione di meccanismi sanzionatori primitivi del tipo della vendetta.

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