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Le ragioni del discredito delle teorie evolutive del diritto

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 27-34)

1. I due volti dell’evoluzione giuridica

1.3. Il senso misconosciuto di evoluzione giuridica: l’evoluzione macrostorica del diritto…

1.3.2. Le ragioni del discredito delle teorie evolutive del diritto

Nel paragrafo in cui è stata proposta una breve ricostruzione della storia delle teorie dell’evoluzione nel diritto, si è avuto modo di osservare sviluppi e fortuna di tale linea di ricerca che continua a maturare, nella cultura giuridica contemporanea, tanto grazie agli sforzi dei sostenitori dell’evoluzionismo giuridico, quanto grazie alla sociologia del diritto. Una stessa fortuna non può dirsi caratterizzi anche la storia dell’altra linea di ricerca che si è proceduto a delineare, ovvero quella che corrisponde alle teorie evolutive del diritto. Bisogna riconoscere, in effetti, che nel XX secolo lo sviluppo delle teorie evolutive del diritto ha conosciuto una frenata così sostanziale da indurre alla diffusa convinzione che quella delle teorie evolutive del diritto sia una parentesi infelice nella storia della cultura giuridica, ovvero un modo errato e ormai superato, sostanzialmente circoscrivibile al XIX secolo, di declinare il tema dell’evoluzione giuridica. In tal senso, infatti, è alle teorie evolutive del diritto che, pur ambiguamente, Peter Stein si riferisce quando conclude che «nella loro forma più compiuta, le teorie dell’evoluzione giuridica sono essenzialmente un fenomeno del XIX secolo e non sopravvivono oltre la fine dello stesso»42. Prima di procedere, nel secondo capitolo, a mettere in evidenza come quella delle teorie evolutive del diritto non sia una parentesi infelice e circoscritta nella storia della cultura giuridica, ma una linea di ricerca che può vantare una lunga tradizione che, risalente fino all’antichità classica, viene portata avanti ancora oggi da alcuni studiosi, si ritiene opportuno esaminare quali siano le ragioni della crisi dei tentativi di elaborare ricostruzioni dell’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico, per considerare poi la fondatezza di tali ragioni stesse e cercare, infine, di argomentare a favore della possibilità di una rivalutazione delle teorie evolutive del diritto.

La crisi delle teorie evolutive del diritto può essere considerata dipendente tanto da alcuni accadimenti storici, quanto da specifici rivolgimenti culturali. Dal punto di vista storico, bisogna ricordare che nel periodo che intercorre tra gli anni Settanta del XIX secolo e gli anni Trenta del XX secolo si assiste ad un mutamento improvviso dell’assetto economico nel mondo occidentale, specialmente in riferimento all’andamento del capitalismo globale. Tale mutamento corrisponde sostanzialmente al tramonto del ciclo sistemico di accumulazione che era fondato sull’egemonia britannica e sul cosiddetto “imperialismo del libero scambio”: tramonto cui coincide, d’altra parte, l’ascesa degli Stati Uniti come potenza egemone capace di

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determinare verticalmente gli assetti economici globali43. Tali metamorfosi sul piano economico globale, insieme con i tristi accadimenti della Prima Guerra mondiale, portano con sé inevitabilmente un clima di generale incertezza che, a sua volta, determina il venir meno di quella fiducia nel progresso (non solo scientifico e materiale, ma anche morale e culturale) che aveva caratterizzato il XIX secolo. La fiducia nella capacità umana di progredire verso il meglio aveva permeato anche il mondo della filosofia e delle scienze, determinando la proliferazione di teorie che pretendevano di ricostruire la storia sociale e culturale del genere umano in termini evolutivi e progressivi44. Come sottolinea Domenico Maddaloni in Visioni in movimento.

Teorie dell’evoluzione e scienze sociali dall’Illuminismo ad oggi, al venir meno della fiducia nel

progresso corrisponde certamente il declino di quelle teorie dell’evoluzione del mondo sociale che, appunto, della retorica del progresso si nutrivano:

Non sorprende, data l’associazione – o meglio, la confusione – tipica dei pensatori del XIX secolo tra evoluzione e progresso, che insieme con la fiducia nel progresso sia scemata anche quella nella teoria dell’evoluzione quale criterio esplicativo da applicare al mondo sociale, al punto da tradursi in una reazione antievoluzionista non meno che antiprogressista.45

Tale conclusione può essere considerata valida anche in riferimento alle teorie evolutive del diritto perché le ricostruzioni concernenti l’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico proposte nel XIX secolo da autori come Henry Sumner Maine e Lewis H. Morgan – così come quelle proposte nel secolo precedente da alcuni pensatori scozzesi come Lord Kames, Adam Smith e John Millar – sono caratterizzate da un’innegabile visione progressiva dell’evoluzione. Per questi studiosi, stabilire sequenze di evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico significa render conto del passaggio da forme giuridiche inferiori e imperfette a forme giuridiche più complesse e avanzate, tanto dal punto di vista della tecnica giuridica quanto dal punto di vista morale. Essendo, dunque, le teorie evolutive del diritto del tempo intrise della retorica del progresso, si può sostenere che una prima ragione del venir meno dell’interesse nei confronti dei progetti di ricostruzione dell’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico

43 Cfr. G. Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Milano, Il Saggiatore, 1996, pp. 87-97

44 Basti pensare, in tal senso, a Cours de philosophie positive, opera in sei volumi che appare tra il 1830 e il 1842, in cui Auguste Comte elabora una teoria relativa all’evoluzione macrostorica delle forme di conoscenza e propone due tesi essenziali: (i) che all’evoluzione, intesa appunto in termini di progresso, delle forme di conoscenza corrisponda lo sviluppo organico della società; (ii) che con l’approdo finale alla sociologia -intesa come massima manifestazione della scienza positiva- si realizzi quella completa autocoscienza suscettibile di condurre l’umanità al governo perfetto (Cfr. A. Comte, Cours de philosophie positive, Paris, Costes, 1934).

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sia il crollo improvviso della fiducia nel progresso, a sua volta determinato dai rivolgimenti storico-economici occorsi tra gli anni Settanta del XIX secolo e gli anni Trenta del XX secolo. Tuttavia, ancor più che il naturale venir meno della fiducia nel progresso, a determinare la crisi delle teorie evolutive del diritto contribuiscono proprio le numerose critiche mosse alle teorie di studiosi come Henry Sumner Maine, Johann J. Bachofen, John F. McLennan, Lewis H. Morgan, Eduard B. Tylor e Albert H. Post. Tali studiosi sono in genere considerati come rappresentanti della cosiddetta antropologia evoluzionistica del XIX secolo in quanto, a dispetto delle differenze rilevabili nelle loro rispettive teorie, condividono la tesi di fondo dell’evoluzionismo unilineare, ovvero l’idea che sia possibile riconoscere una sequenza evolutiva universale e costante caratterizzante lo sviluppo culturale e giuridico di tutte (e quasi tutte) le società46. Sintetizzando efficacemente la legge dell’evoluzionismo unilineare sottesa alle ricostruzioni dell’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico proposte da autori come Maine, Morgan e Post, Anna Paltrinieri Casella, in Lineamenti di antropologia culturale47, scrive:

La legge dell’evoluzionismo antropologico può essere così definita: “Tutti i popoli subiscono un processo storico a ritmo fisso, in linea ascendente, dal meno perfetto al più perfetto, secondo le leggi deterministiche del mondo fisico”. Si tratterebbe perciò di un processo storico (inteso come movimento progressivo, diveniente e perfettibile) ascendente, di tipo deterministico e non creativo (quindi soggetto a leggi naturali necessarie), che si sviluppa nelle stesse forme per tutti i popoli.48

A partire dalla fine del XIX secolo, la tesi dell’evoluzionismo unilineare viene presa di mira da numerosi storici e antropologi. Tra questi, un posto di rilievo – per veemenza ed efficacia dell’attacco sferrato – spetta al geografo e antropologo di origine tedesca Franz Boas. Ad esempio, in Some Traits of Primitive Man49 del 1904, lapidariamente, Boas sostiene:

L’idea di un grande sistema dell’evoluzione delle culture che sia valido per l’umanità intera sta perdendo sempre più plausibilità. In luogo di una singola linea di evoluzione si riconoscono una molteplicità di linee convergenti e divergenti che si fatica a tenere insieme in un unico sistema.50

46 L’appellativo “antropologia evoluzionistica” in riferimento alle teorie antropologiche del XIX secolo che condividono l’assunto dell’evoluzionismo unilineare risulta in qualche modo fuorviante, benché comunemente utilizzato. In effetti, di propriamente “evoluzionistico” -in senso darwiniano- tali teorie presentano ben poco e sembrano piuttosto rifarsi a quella concezione di evoluzione come “sviluppo” tipica dell’embriologia tra i secoli XVIII e XIX. Sul debito delle teorie antropologiche del XIX secolo nei confronti dell’embriologia si avrà modo di ritornare nel prossimo capitolo.

47 A. Paltrinieri Casella, Lineamenti di antropologia culturale, I.S.U. Università Cattolica, Milano, 2000.

48 Ivi, p.20.

49 F. Boas, Some traits of primitive man, in «Journal of American Folk-lore», n. 17, 1904.

50 Trad. mia dall’originale inglese: «The grand system of the evolution of culture, that is valid for all humanity, is losing much of its plausibility. In place of a single line of evolution there appears a multiplicity of converging and diverging lines which it is difficult to bring under one system» (F. Boas, Some Traits of Primitive Man, cit., p. 522)

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È tuttavia in un saggio del 1896, dal titolo The Limitations of the Comparative Method in

Anthropology51, che Boas procede alla sua critica più serrata dell’evoluzionismo unilineare. Punto di partenza di Boas è la caratterizzazione dell’idea sottesa all’evoluzionismo unilineare, ovvero che in contesti sociali differenti fenomeni culturali simili devono avere la medesima causa e la medesima funzione. Scrive Boas:

Le indagini comparative cui mi riferisco pongono attenzione a costumi e idee che presentano rimarchevoli somiglianze e possono essere rinvenuti in diversi contesti. Tuttavia, le indagini comparative cui faccio riferimento si ripropongono anche un obiettivo più ambizioso, cioè di scoprire le leggi e ricostruire la storia dell’evoluzione della società umana. Il fatto che molti aspetti della cultura sono universali o, quantomeno, occorrono in differenti luoghi, interpretato alla luce della convinzione che tali aspetti devono sempre derivare dallo stesso genere di cause, conduce alla conclusione che v’è un grande modello unico caratterizzante l’evoluzione del genere umano in qualunque circostanza; conclusione da cui consegue l’idea che eventuali variazioni siano nient’altro che dettagli minori in tale grande uniforme evoluzione. È chiaro che questa teoria ha come sua base logica l’assunto che stessi fenomeni hanno sempre medesime cause.52

Per smentire tale assunto di fondo, Boas fornisce controesempi specifici, tratti da indagini etnografiche sul campo, e dimostra come tratti culturali simili, in effetti, possono apparire in contesti diversi senza alcuna origine comune e con funzioni differenti. A fronte di tale dimostrazione, Boas allora conclude circa l’infondatezza dell’approccio evolutivo stesso:

Dobbiamo, quindi, considerare di dubbio valore tutti gli ingegnosi tentativi di costruire grandi sistemi di evoluzione della società, a meno che non riescano a dare prova del fatto che fenomeni uguali derivano sempre da origini comuni. Finché ciò non sia provato, bisogna inevitabilmente propendere in favore dell’idea che esista una grande varietà di percorsi che la storia può prendere.53

Inoltre, in alternativa all’approccio comparativo ed evoluzionistico dei padri dell’antropologia culturale e giuridica, Boas propone il particolarismo storico come modo di guardare alle culture

51 F. Boas, The Limitations of the Comparative Method in Anthropology, in F. Boas, Race, Language and Culture, New York, The MacMillan Company, 1940, pp. 270-280

52 Trad. mia dall’originale inglese: «The comparative studies of which I am speaking here attempt to explain customs and ideas of remarkable similarity which are found here and there. But they pursue also the more ambitious scheme of discovering the laws and the history of the evolution of human society. The fact that many fundamental features of culture are universal, or at least occur in many isolated places, interpreted by the assumption that same features must always have developed from the same causes, leads to the conclusion that there is one grand system according to which mankind has developed everywhere; that all the occurring variations are no more than minor details in this grand uniform evolution. It is clear that this theory has for its logical basis the assumption that the same phenomena are always due to the same causes» (F. Boas, The Limitations of the

Comparative Method in Anthropology, cit. p. 275).

53 Trad. mia dall’originale inglese: «Therefore we must also consider all the ingenious attempts at construction of a grand system of evolution of society as of very doubtful value, unless at the same time proof is given that the same phenomena must always have had the same origin. Until this is done, the presumption is always in favor of a variety of courses which historical growth may have taken» (F. Boas, The Limitations of the Comparative Method

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a partire dal presupposto che esse siano totalità dotate ciascuna della propria specificità, pur nel riconoscimento del fatto che esse possono influenzarsi vicendevolmente. Boas scrive:

Proponiamo un altro metodo, che sotto diversi punti di vista si rivela molto più sicuro. Uno studio dei costumi in relazione con la cultura totale del popolo che li pratica, in connessione con un’indagine della distribuzione geografica di tali costumi tra popolazioni vicine, ci garantisce quasi sempre strumenti per determinare con considerevole accuratezza tanto le cause storiche che hanno condotto alla formazione dei costumi in questione, quanto i processi psicologici che erano in opera nel loro sviluppo.54

Tuttavia, la tesi dell’evoluzionismo unilineare non rappresenta l’unico elemento critico delle teorie proposte da studiosi come Maine, Tylor e Morgan. Infatti, essi non si limitano a proporre l’idea già di per sé problematica che sia possibile individuare sequenze universali di evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico, caratterizzanti cioè lo sviluppo di tutte o quasi tutte le società, ma pretendono anche di considerare tali sequenze evolutive in termini progressivi. In altri termini, se già l’evoluzionismo unilineare di per sé risulta problematico in quanto conduce a negare le specificità storiche e culturali dei popoli, ancor di più esso risulta inaccettabile nella misura in cui, accostato alla retorica del progresso, porta a considerare alcune realtà sociali, culturali e giuridiche come intrinsecamente inferiori rispetto ad altre. Come se ciò non bastasse, in tali pensatori è possibile riscontrare anche un sostanziale etnocentrismo che fa da corollario alla retorica del progresso, nella misura in cui essi valutano come progredite e civili le configurazioni sociali, culturali e giuridiche tipiche del mondo occidentale e come invece inferiori e imperfette non solo numerose realtà del passato, ma anche e soprattutto le realtà sociali, culturali e giuridiche caratterizzanti quelle popolazioni indigene con cui si ebbe la possibilità di entrare in contatto, a ragione delle grandi spedizioni geografiche prima e del colonialismo poi. Ovviamente, anche il progressismo e l’etnocentrismo impliciti nelle elaborazioni proposte dagli antropologi evoluzionisti vengono aspramente criticati da Boas. Per minare le basi stesse di progressismo ed etnocentrismo, Boas si sforza di smentire la visione dell’indigeno come uomo violento e impulsivo, dalle facoltà mentali sottosviluppate. Nella seconda versione rivisitata di The Mind of Primitive Man55 risalente al 1937, in tal senso, Boas sottolinea che se si considerano i comportamenti degli indigeni in riferimento allo specifico

54 Trad. mia dall’originale inglese: «We have another method, which in many respects is much safer. A detailed study of customs in their relation to the total culture of the tribe practicing them, in connection with an investigation of their geographical distribution among neighboring tribes, affords us almost always a means of determining with considerable accuracy the historical causes that led to the formation of the customs in question and to the psychological processes that were at work in their development» F. Boas, The Limitations of the

Comparative Method in Anthropology, cit. p. 275).

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contesto sociale e culturale in cui essi vivono, allora tali comportamenti si rivelano non solo dotati di senso, ma anche non troppo dissimili dai nostri:

Si è spesso osservato che l’uomo primitivo è caratterizzato da mancanza di autocontrollo in merito allo sfogo delle proprie passioni, anche nel caso di lievi provocazioni. Anche in questo caso, le differenze tra l’attitudine dell’uomo civilizzato e quelle dell’uomo primitivo spariscono se attribuiamo il giusto peso al contesto sociale in cui gli individui vivono. Abbiamo infatti ampie prove del fatto che il primitivo controlla le sue passioni così come noi le controlliamo, solo che il primitivo le controlla in circostanze differenti.56

Ovviamente, Franz Boas non è voce critica isolata: in difesa della specificità storica e della dignità dei diversi popoli e delle diverse culture, le teorie evolutive del diritto basate sulla tesi dell’evoluzionismo unilineare, implicanti forme inaccettabili di progressismo ed etnocentrismo, vengono prese di mira da numerosi storici e antropologi57. Si comprende allora perché, citando il famoso antropologo nordamericano Edward A. Hoebel, Peter Stein concluda che furono in generale gli sviluppi dell’antropologia culturale e giuridica a determinare il discredito dell’idea di uno schema universale di evoluzione giuridica:

Il risultato principale della ricerca antropologica è il rifiuto di qualsivoglia schema universale di evoluzione giuridica. La varietà rilevata tra le differenti società allo stesso stadio di sviluppo sociale ed economico è così ampia che diviene necessario concordare con Hoebel quando sostiene che “non esiste una linea di sviluppo del diritto che sia predefinita”.58

Ritornando, dunque, alle ragioni del discredito delle teorie evolutive del diritto, si può sostenere che la critica delle elaborazioni fondate sull’evoluzionismo unilineare sia stata così feroce nel XX secolo da determinare, di conseguenza, la svalutazione di qualsivoglia tentativo di ricostruire l’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico, come se un tale tentativo

56 Trad. mia dall’originale inglese: «It has been claimed that lack of control is exhibited by primitive man in his outbursts of passion occasioned by slight provocations. In this case also the difference in attitude of civilized man and of primitive man disappears if we give due weight to the social conditions under which the individual lives. We have ample proof that his passions are just as much controlled as ours, only in different directions» (F. Boas,

The Mind of Primitive Man, cit., pp. 126-127).

57 Così, ad esempio, nel 1951 E. E. Evans-Pritchard critica l’evoluzionismo unilineare degli antropologi del XIX secolo: «Io ritengo che l’elemento di maggior confusione tra gli antropologi del secolo scorso non fu tanto la loro fede nel progresso e la ricerca di un metodo con cui ricostruirne il cammino, poiché essi erano ben consapevoli che i loro schemi non erano che ipotesi che non avrebbero mai potuto essere completamente verificate. Io credo piuttosto che tale elemento si debba ricercare nell’assunto, ereditato dall’illuminismo, secondo cui le società sono sistemi naturali, o organismi che hanno un determinato corso di sviluppo riducibile a principi o leggi generali» (E. E. Evans-Pritchard, An Introduction to social Anthropology, 1951; trad. it. Introduzione all’antropologia sociale, Bari, Laterza, 1975, p. 54).

58 Tda dall’originale inglese: «The main result of anthropological research is that any scheme of universal legal evolution must be rejected. Such is the variety found in different societies at the same stage of social and economic development that we must hold with Hoebel that “there has been no straight line of development in the growth of law”» (P. Stein, Legal Evolution: the Story of an Idea, cit., p. 104).

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inevitabilmente implicasse le problematicità rilevate nelle elaborazioni di studiosi come Maine e Morgan. In altri termini, assimilate alle teorie basate sull’evoluzionismo unilineare e proposte dagli antropologi evoluzionisti nel XIX secolo, le teorie evolutive del diritto in generale vengono accantonate e si inizia a considerare come chiuso e concluso, perché inevitabilmente problematico, il tentativo di un’indagine dedicata all’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico.

Ma a consolidare la convinzione di una sostanziale problematicità delle teorie evolutive del diritto contribuiscono anche altre circostanze culturali, come ad esempio, l’affermazione dello storicismo. Proposto innanzitutto da Carl Menger in ambito economico, lo storicismo viene poi sviluppato da Wilhelm Dilthey che, di contro alle filosofie della storia idealistiche che pretendevano di spiegare l’evoluzione delle società e delle culture umane sulla base di un’unica causa o principio, arriva a sottolineare l’impossibilità di racchiudere il divenire storico in uno

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