• Non ci sono risultati.

John Locke

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 62-65)

2. Evoluzione macrostorica del diritto: la vasta storia di un’idea

2.2. Al di là del contratto sociale

2.2.3. John Locke

Si è avuto modo di considerare come per cogliere le riflessioni sull’evoluzione macrostoria del fenomeno giuridico sottese alla teoria del contratto sociale elaborata da Hobbes nel Leviathan, sia necessario procedere ad un notevole sforzo di astrazione dalle componenti ideologiche. Nella teoria di Locke, invece, la finzione del contratto sociale non preclude la possibilità di individuare pressoché immediatamente le riflessioni concernenti l’evoluzione macrostorica del diritto. In Essay Concerning the True Original, Extent, and End of Civil Government 71 del 1689, dopo aver affermato l’originaria eguaglianza degli uomini di contro a quelle teorie che riconoscevano come naturali determinati rapporti di subordinazione e di soggezione, Locke passa a caratterizzare lo stato di natura come «stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni, in cui gli uomini possono disporre dei propri beni e persone come meglio credono, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di un altro»72. Lo stato di natura, continua Locke, non è caratterizzato solo da perfetta libertà, ma «è anche uno stato di eguaglianza in cui ogni potere e autorità sono reciproci»73 in quanto «creature

70 W, Zaluski, Evolutionary Theory and Legal Philosophy, Cheltenham-Northampton, Edgar Elgar Publishing, 2009.

71 J. Locke, An Essay Concerning the True Original, Extent, and End of Civil Government, 1689; trad it. Secondo

trattato sul governo, Milano, Rizzoli, 2013.

72 Ivi, p. 65.

63

della stessa specie e grado, destinate senza discriminazione al godimento dei benefici della natura e all’uso delle stesse facoltà, debbono essere anche uguali fra loro, senza subordinazione o soggezione»74. A tale condizione di perfetta libertà ed eguaglianza però non corrisponde, secondo Locke, una condizione di totale anomia in quanto vige ed è rispettata una legge fondamentale: «Nessuno deve ledere gli altri nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi»75. Si tratta della cosiddetta legge di natura che «è per tutti vincolante»76: tanto in foro interno, ovvero dal punto di vista morale; quanto in foro esterno, perché esistono anche nello stato di natura meccanismi sanzionatori per punire chi ne sia trasgressore. In particolare – in qualche modo anticipando quanti, come Hans Kelsen, insisteranno sul carattere decentrato dell’esecuzione delle sanzioni negli ordinamenti giuridici primitivi – Locke spiega che «l’esecuzione della legge di natura in quello stato è affidata nelle mani di ciascuno, per cui ognuno ha il diritto di punire i trasgressori di quella legge in misura tale da impedirne la violazione»77. Cogliendo la natura propriamente riparativa della giustizia primitiva su cui insisteranno successivamente numerosi studiosi, Locke chiarisce inoltre come colui che agisce nei confronti del trasgressore non possa operare in modo arbitrario e «secondo gli appassionati furori o le stravaganze della volontà»78 ma solo con l’obiettivo «di retribuire ciò che è proporzionato alla trasgressione, secondo quanto gli dettano la serena ragione e la coscienza, vale a dire tanto quanto può servire come riparazione e prevenzione»79. Su tal punto, Petrucciani sintetizza efficacemente:

La legge di natura obbliga perché, anche nello stato di natura, i modi di punire chi la trasgredisce ci sono: non c’è un potere istituito che applichi sanzioni ai trasgressori (perché altrimenti non saremmo nello stato di natura), ma ognuno ha il diritto di punire coloro che attentano alla legge, e ciò dovrebbe, secondo Locke, scoraggiarne la violazione. È vero che essa sarebbe vana se non vi fosse nessuno dotato del potere di renderla esecutiva, ma per fortuna le cose non stanno così: anzi, nello stato di natura ognuno ha il diritto di punire chi trasgredisca le norme della ragione e della giustizia.80

Nella prospettiva di Locke, dunque, le società delle origini non sono totalmente prive di forme di regolamentazione e organizzazione giuridica: semplicemente sono caratterizzate da un modo decentrato di assolvere alle funzioni del diritto: non solo l’esecuzione della sanzione, ma

74 Ibidem. 75 Ivi, p. 67. 76 Ibidem. 77 Ivi, p. 69. 78 Ibidem. 79 Ivi, pp. 69.71.

64

anche l’accertamento dei fatti condizionanti, visto che nello stato di natura è normale «per gli uomini essere giudici della propria causa»81. Tuttavia, nella prospettiva di Locke, tale forma primitiva di diritto è destinata ben presto a rivelarsi incapace di garantire effettiva stabilità, essendo facile che lo stato di natura – che è uno «stato di pace, benevolenza, assistenza e difesa reciproca»82 – si tramuti in uno stato di guerra di tutti contro tutti, ovvero «uno stato di inimicizia, malvagità, violenza e reciproca distruzione»83. In tal senso, chiarendo sinteticamente mancanze e carenze dello stato di natura di Locke, Chevallier scrive:

Insomma, mancano, in questo stato di natura a prima vista idilliaco: leggi stabilite, conosciute, accolte ed approvate di comune accordo; giudici riconosciuti, imparziali, istituiti per porre fine ad ogni controversia conformemente a tali leggi stabilite; infine un potere di costrizione capace di assicurare l’esecuzione delle sentenze emesse.84

Proprio per ovviare a queste inevitabili carenze e incertezze del diritto primitivo – ovvero per il timore costante che lo stato di natura si tramuti in stato di guerra – si decide di uscire dallo stato di natura tramite un contratto sociale con cui avviene il riconoscimento di un’autorità terza al di sopra delle parti:

Evitare lo stato di guerra (in cui non vi è altro appello che al cielo, e in cui si risolve ogni più piccola divergenza in quanto non vi è alcuna autorità che decida tra i contendenti) è l’unico grande motivo per cui gli uomini si costituiscono in società e abbandonano lo stato di natura. Infatti, dove c’è un’autorità, un potere sulla terra cui appellarsi per avere un aiuto, lì è esclusa la permanenza di uno stato di guerra e ogni controversia è risolta da quel potere.85

A tale autorità, ovvero lo Stato, si riconoscono quei poteri che prima erano nelle mani di ciascuno – ovvero il potere di valutare quando sia avvenuta la trasgressione di una norma e il potere di mettere in atto le misure sanzionatorie – con l’aggiunta del potere di stabilire quali comportamenti debbano essere considerati passibili di punizione. In altri termini, allo Stato sono affidati rispettivamente potere giudiziario, potere esecutivo e potere legislativo:

Lo Stato acquisisce il potere di fissare quale punizione convenga alle trasgressioni che si verificano fra i membri della società e quali, fra di esse, ne siano meritevoli (è il potere di far leggi) […] con il potere d

81 J. Locke, Secondo trattato sul governo, cit., p. 77.

82 Ivi, p. 85.

83 Ibidem.

84 J. J. Chevallier, Le grandi opere del pensiero politico, cit., p. 115.

65

giudicare le offese, lo Stato assume anche il diritto di usare la sua forza per l’esecuzione dei giudizi emessi dallo Stato stesso, ogni qual volta sia richiesto.86

Al di là dell’artificio del contratto – che serve non solo ad affermare l’idea che il potere costituito possa essere legittimato unicamente tramite il consenso esplicito dagli associati, ma anche per individuare quali siano i limiti del potere stesso87 – è quindi possibile rinvenire nel pensiero di Locke una teoria evolutiva del diritto, in virtù della quale l’evoluzione macrostorica consiste sostanzialmente nel passaggio da ordinamenti giuridici in cui valutazione dei fatti condizionanti ed esecuzione delle sanzioni sono affidate a ciascun individuo secondo un regime di autotutela ad ordinamenti giuridici in cui si presentano organi specifici atti alla creazione ed applicazione delle norme giuridiche.

2.3. Dalla caccia al commercio: l’evoluzione di alcuni istituti giuridici fondamentali

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 62-65)