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Tito Lucrezio Caro

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 49-53)

2. Evoluzione macrostorica del diritto: la vasta storia di un’idea

2.1. I primordi di una storia

2.1.4. Tito Lucrezio Caro

Anche nel De rerum natura31 di Tito Lucrezio Caro, uno dei capolavori della poesia latina, è possibile rinvenire riflessioni concernenti l’evoluzione macrostorica del fenomeno giuridico. In particolare, nel Libro V Lucrezio narra dell’origine e del progresso della civiltà umana e, nel contesto di tale racconto, propone una ricostruzione della genesi e degli sviluppi del fenomeno giuridico. L’approccio di Lucrezio richiama quello filosofico-congetturale già riscontrato in Protagora e Platone, ma nella sua ricostruzione si innesta un elemento innovativo, ovvero l’ipotesi del contratto sociale, su cui sarà necessario soffermarsi in seguito, in quanto determinante per gli sviluppi della storia delle teorie evolutive del diritto.

Nel suo resoconto, Lucrezio parte dalla contrapposizione tra stato di natura e stato di società, caratterizzando il primo come condizione in cui gli uomini vivono in buona sostanza a guisa di bestie (more ferarum). Errabondi, gli uomini abitano le caverne dei monti, fra le foreste, e si nutrono dei prodotti spontanei del suolo. Non hanno alcuna conoscenza tecnica e sono privi

30 Ivi, p. 94.

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non solo di un’organizzazione propriamente politica e giuridica, ma anche di qualsivoglia semplice forma di organizzazione sociale. Infatti, precisa Lucrezio, gli uomini delle origini «né a un bene comune riuscivano a guardare, né di alcuna consuetudine tra loro sapevano usare, né di leggi»32.

La natura ferina dell’uomo inizia, tuttavia, a smussarsi: si assiste ad alcuni miglioramenti sul piano tecnico/materiale e, parallelamente, vengono stabilite una serie di convenzioni (foedera) per la regolamentazione della vita sociale. Così ha luogo l’uscita dallo stato di natura e la nascita della prima forma di vita associata. Tali convenzioni, la cui ratio è essenzialmente di evitare o limitare danni reciproci, risultano tutto sommato efficaci nell’assicurare la conservazione della vita e della specie umana. Rimangono tuttavia alcuni soggetti “devianti” e, dunque, stabilità e sicurezza sono ancora ben lungi dall’esser garantite in modo effettivo:

Poi, dopo che si procurarono capanne e pelli, e il fuoco, e una donna unita ad un uomo si ritirò e videro prole nata da loro, allora per la prima volta la stirpe umana iniziò ad addolcirsi […] Allora, cominciarono a unire amicizie tra loro i vicini, non volendo né nuocere né prendere dànno, e i fanciulli si affidarono l’un l’altro, e la razza delle donne, con voci e con gesti a parole spezzate indicando esser giusto che tutti avessero compassione dei deboli. Né tuttavia in modo assoluto poteva nascere accordo ma grande e massima parte osservava i patti (foedera) piamente; altrimenti la razza umana già allora tutta sarebbe stata distrutta né la propagazione avrebbe potuto fin qui trasmettere le stirpi.33

Dopo un dettagliato resoconto relativo alla genesi di un linguaggio comune, Lucrezio procede a mettere in evidenza un secondo momento di sviluppo sociale, ovvero il passaggio ad una terza fase, successiva tanto allo stato di natura ferino quanto alle forme primitive di vita associata. Gli uomini più dotati di ingegno e forza di spirito, ovvero quelli che più contribuiscono allo sviluppo delle condizioni materiali di vita, acquistano sempre maggiore autorità e ben presto vengono ad assumere la funzione di reges. Ai re si deve non solo la fondazione delle città e delle fortificazioni, ma anche un’ulteriore organizzazione della società, ad esempio la distribuzione delle terre e dei beni e, consequenzialmente, l’istituzione di una classe aristocratica:

Di giorno in giorno, sempre più, insegnavano a mutare il cibo e la vita di prima con nuove cose e col fuoco quelli che emergevano per intelligenza ed erano forti nel cuore. Cominciarono dunque a fondare città, e collocare fortezze, i re stessi per loro, difesa e grande rifugio, e greggi e campi divisero e li assegnarono secondo bellezza e forza e intelligenza d’ognuno.34

32 Ivi, p. 391 (vv. 958-959).

33 Ivi, pp. 395-397 (vv. 1011…1027).

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Per comprendere la natura di questa terza fase di sviluppo della società e in particolare il ruolo svolto dai reges nell’organizzazione della società, val la pena considerare quanto Aglaia McClintock scrive in Il 753 a.C. L’anno zero del diritto a proposito della figura e del ruolo del rex nel mondo latino come sorta di sacerdote cui spetta il compito di indicare la retta via, più che il compito di comandare autoritativamente:

Dobbiamo allontanare dal nostro discorso ciò che oggi comunemente si intende per re: la concezione medievale del re detentore del potere supremo, che, attraverso il sangue, per virtù divina trasmette al principe suo figlio. Questi concetti sono sconosciuti in Roma: il principe è il princeps senatus, il più anziano dei senatori. Sarà Augusto a dare a questo titolo una nuova rilevanza. Fra rex e princeps, dunque, non vi è una relazione nel senso che vi diamo oggi […] Rex è colui che traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto. La sua missione non è di comandare, ma di fissare regole, di determinare ciò che è in senso proprio, retto. Il rex così definito assomiglia più a un sacerdote che a un sovrano.35

Ritornando alla storia narrata nel De rerum natura, Lucrezio chiarisce che la fase di dominio dei più meritevoli e forti, dei reges, non poteva tuttavia durare a lungo a causa dell’inevitabile scontro delle volontà di potenza. Gli uomini divengono assetati di gloria, potere e soprattutto di benessere materiale. Infatti, una volta comparsa la proprietà e divenuto l’oro una merce di scambio, si perviene alla situazione per cui il riconoscimento sociale è veicolato dal possesso di ricchezze. I re vengono così uccisi e si piomba in uno stato anarchico di bellum omnium contra

omnes:

Poi fu inventata la proprietà, fu scoperto l’oro, che facilmente sottrasse il rispetto a forza e onore; per lo più infatti gli uomini s’accodano al ricco, benché forti e dotati di corpo ben fatto […] Ma gli uomini si vollero famosi e potenti, perché su base ben ferma ristesse il loro destino, e potessero, ricchi, condurre una liscia esistenza; ma inutilmente, poiché lottando per giungere alla vetta del potere, pericoloso si resero il percorrere quella vita […] Allora, uccisi i re, sconvolti giacevano l’antica maestà dei troni e gli scettri superbi, e l’insigne ornamento di testa regale, macchiato di sangue, sotto i piedi del popolo il grande onore piangeva; infatti con passione si calpesta ciò che prima fu troppo temuto. La vita pubblica dunque tornava a massimo caos e sconvolgimento, ciascuno cercando per sé potere e supremazia.36

Per uscire dallo stato di anarchia seguìto alla cacciata dei re, gli uomini decidono di stipulare dei nuovi patti di pace, il cui risultato è la nascita di una effettiva organizzazione giuridica che si caratterizza per l’istituzione di magistrature e la formulazione di princìpi giuridici (iura) per potersi valere di leggi:

35 A. McClintock, Il 753 a.C. L’anno zero del diritto, cit., p. 248.

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Ma allora alcuni insegnarono a creare la magistratura e fondarono il diritto, perché volessero obbedire alle leggi. Infatti, la razza umana, spossata dal vivere con violenza, languiva per le ostilità; e perciò essa stessa di suo volere cadde sotto le leggi e lo stretto diritto. Ciascuno, spinto da rabbia, era pronto a vendicarsi in modo più crudo di quanto oggi è concesso da leggii costanti; e per questo stancò gli uomini il vivere nella violenza. Da allora la paura di punizioni macchia i premi della vita. Violenza e ingiustizia irretiscono chi le pratica e spesso ritornano proprio là donde sono nate, né è possibile che conduca una vita serena e tranquilla chi rompe con le sue azioni i comuni accordi di pace (communia foedera pacis).37

Considerata in larghe linee la ricostruzione macrostorica di Lucrezio, bisogna ora soffermarsi sull’elemento specifico ed innovativo che la caratterizza, ovvero l’idea del contratto sociale. A tal fine, illuminante risulta essere il commento di Guido Fassò al Libro V del De rerum natura. In buona sostanza, in Storia della filosofia del diritto38, Fassò sottolinea che per Lucrezio il diritto è frutto di un contratto: tanto il diritto “primitivo” che si rivela al momento della prima associazione degli uomini tramite la stipulazione di semplici regole di condotta, quanto il diritto nella sua forma matura che nasce in seguito al periodo di anarchia e si caratterizza per l’istituzione di magistrature e per la determinazione di princìpi giuridici:

Il diritto nasce dunque come patto comune diretto ad assicurare la pace fra gli uomini; e le leggi non sono perciò per natura, bensì, come l’agricoltura, la poesia, l’arte, fan parte di ciò che il bisogno (usus) e l’alacre esperienza della mente hanno a poco a poco insegnato agli uomini che progredivano passo passo.39

L’approccio di Lucrezio, dunque, si colloca non solo sulla scia delle storie filosofico-congetturali di Protagora e Platone, ma anche e soprattutto sulla scia della dottrina di ispirazione contrattualista proposta da Epicuro. Tuttavia, nota Fassò, se dai frammenti a noi pervenuti è possibile sostenere che Epicuro si limita ad affermare l’essenza utilitaria e il fondamento contrattuale della giustizia, non spingendosi a parlare di un’origine convenzionale della società e delle leggi positive, «da Lucrezio invece la tesi dell’origine, e perciò del fondamento contrattuale tanto della società quanto del diritto è esplicitamente affermata ed ampiamente illustrata»40. Ecco perché Fassò sostiene che il Libro V del De rerum natura può essere considerato a pieno titolo «il primo documento della teoria del contratto sociale»41. E proprio il contratto sociale, nell’ottica delle teorie evolutive del diritto, pare possa essere considerato come artificio atto a significare che nell’evoluzione macrostorica delle forme politiche e del fenomeno giuridico un ruolo di primo piano è giocato dalla determinazione razionale e

37 Ivi, p. 405 (vv. 1144-1156).

38 G. Fassò, Storia della filosofia del diritto. Antichità e Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1970.

39 Ivi, p. 128.

40 Ivi, p. 126.

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dall’azione intenzionale degli individui. Tale interpretazione del significato che la finzione del contratto sociale può assumere nell’ottica delle teorie evolutive del diritto pare in qualche modo suggerita anche da Fassò, quando spiega che per Lucrezio il contratto si configura come patto immanente al progresso del genere umano:

Dimostrando senso storico assai maggiore di quanto ne riveleranno teorie contrattualistiche posteriori, Lucrezio non concepisce il foedus commune, il patto che dà vita al diritto, come un evento accaduto, una volta per tutte, in un determinato momento: il diritto nasce da un patto, ma da un patto immanente al progresso stesso del genere umano, il quale a poco a poco, “passo passo” (pedetemptim) impara, e si foggia, con la ragione e con l’esperienza gli strumenti e le forme della civiltà.42

Ciò che in conclusione interessa rilevare è che la componente del contratto sociale rinvenibile nella ricostruzione macrostorica proposta nel Libro V del De rerum natura si rivela, ai fini della presente ricerca, di estrema importanza in quanto si intende argomentare a favore dell’idea che la storia delle teorie evolutive del diritto prosegua proprio attraverso i pensatori che, in età moderna, faranno proprio il modello contrattualista di cui Lucrezio è l’iniziatore.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 49-53)